Adam Wild mette in scena una forma tutto sommato classica dell’avventura: Gianfranco Manfredi costruisce un racconto che scorre attraverso una serrata concatenazione di eventi e sfrutta le relazioni fra i personaggi per aprire spiragli sulle loro vicende umane. Tempi e caratterizzazioni si affidano pienamente, almeno nei primi numeri, ai luoghi ricorrenti del genere: la “barriera d’entrata” al mondo di Adam Wild è quindi minima per un appassionato del genere.
Fra i vari punti di forza fin qui schierati sulla pagina, risulta particolarmente interessante la caratterizzazione del Conte Molfetta, che già nell’arco dei primi numeri ha già mostrato una notevole ricchezza di sfumature.
Se nel primo numero, Gli schiavi di Zanzibar (qui la recensione di Rossella Lo Faro), era (pericolosamente) vicino allo stereotipo della spalla comica, destinata a innescare scenette utili a rilassare la tensione, già nel successivo La carica degli elefanti (qui la recensione di David Padovani) aveva rivelato completa padronanza di sé in nei momenti critici, una mira precisa e nessuna esitazione ad uccidere il nemico. Nel terzo numero I diari segreti di Livingstone (qui la recensione di David Padovani) lo scopriamo pienamente capace di affrontare scoperte (la storia di Livingstone attraverso i suoi diari) che mettono in crisi la propria visione del mondo. Il Conte Molfetta si confronta con la realtà, accetta di essere all’inizio di un percorso di riflessione e maturazione e non indugia in alcuna velleità o falsa speranza: prende atto e si mette a ricostruire, praticamente da zero, il senso del proprio viaggio.
Se il protagonista della serie, Adam Wild, incarna, per ora, il tipico eroe epico, che attraversa il mondo con leggerezza e sicurezza di sé, il Conte Molfetta è in continua evoluzione; se all’esordio sembrava semplicemente il personaggio di cui ridere, al momento è candidato ad essere il nostro occhio sul mondo che Manfredi ci racconta.