Un ragazzo stava entrando di fronte a me.
Lo colpirono alla testa. Cadde. Si dibatteva a terra e strillava come un pollo sgozzato.
Mi voltai per vedere cosa succedeva… e arrivò un altro ad ammazzarlo. Con una bastonata in testa.
Come si chiamava?
Non lo so. In quel momento era difficile.
Sembrava il giorno del giudizio.
C’è la Storia, quella con la S maiuscola, schematizzata e semplificata nei sussidiari e approfondita a tratti sugli scaffali delle librerie. E poi ci sono le storie, quelle con la s minuscola, di persone e fatti talvolta proprio minuscoli, impercettibili. Le piccole tragedie dell’umanità fatte di massacri nell’ordine di qualche decina di vittime, che svaniscono dalla memoria e sublimano all’interno del dramma più grande che spesso le contiene.
Con Palestina, Area Protetta Goraz-De e Neven Joe Sacco aveva cominciato a sondare quei fatti legati a quei protagonisti oscuri, cittadini qualunque di aree devastate del pianeta, inserendoli in contesti più grandi. E così spiegava la nascita (a conti fatti) tutt’altro che spontanea della Striscia di Gaza o le ipocrisie della politica internazionale sulla Bosnia Erzegovina. Condiva di piccoli eventi solitamente relegati a note a margine fatti noti, ricostruendoli con accuratezza.
Oggi, con Gaza 1956 le sue interviste riportate a fumetti cercano di investigare ancora più indietro nel tempo, e di concentrarsi in particolare su due eventi. Due fatti che – come dice il titolo originale – sono proprio considerate Note a margine, Footnotes from Gaza. Secondo alcuni rapporti dell’Onu, dichiarazioni di ufficiali israeliani e testimonianze frammentate di palestinesi, nel ’56 a Rafah e Khan Younis, nella striscia di Gaza allora controllata dagli egiziani, vennero uccise un numero imprecisato di persone, a distanza di pochi giorni. Si parla di cifre che arrivano a 256 morti, tutti uomini tra i 14 e i 60 anni. Tutti palestinesi.
Alla vigilia dell’attacco americano all’Iraq del 2002, Sacco torna in Palestina per spiegare le ragioni dell’odio arabo radicate in mezzo secolo di conflitti. Sia per questo evento, sia per le consuete repressioni attuate in quegli anni, prima che Israele lasciasse la Striscia, il reporter prestato al fumetto (o è il contrario?) a volte svia dalla sua missione. L’attualità si fa strada nella sua cronaca, nonostante sin da subito Sacco chiarisca ai lettori e ai suoi intervistati che il suo interesse è per quei tragici fatti. Ma non riesce a tenere fuori quelle circostanze attuali che gli ricordano i motivi delle sue indagini. Le rumorose esequie pubbliche dei “martiri”, le ruspe che devastano le case dei palestinesi, i kamikaze rinnegati da alcuni e osannati da altri, i droni o i traccianti che passano sopra le teste di Sacco e dei suoi amici, sono tutte conseguenze di decenni di storie e di Storia che si accavallano e si nutrono vicendevolmente.
E anche se i libri sottacciono i fatti del ’56 che Sacco vuole portare alla luce, questa storia apparentemente minuscola non lo è, sia per la portata della tragedia, sia per il metodo. Un metodo crudele: incursioni, rastrellamenti, fucilazioni e bastonate verso prigionieri civili, senza speranze di fuga e con la faccia al muro. E documenti ufficiali appositamente distorti, fredde spiegazioni che parlano di obiettivi da colpire nel mucchio o sommosse da mitigare. Fatti che ricordano cosa successo solo pochi anni prima agli stessi ebrei, da altre parti del mondo, per mano di altri carnefici. E in un processo che chi ha letto La banalità del male di Hannah Arendt conosce bene, l’odio genera altro odio e la guerra si autoalimenta.
Non ci sono particolari evoluzioni grafiche nello stile di Sacco, in Gaza 1956, libro portato a termine nel 2009. L’autore si diverte ancora a scomporre didascalie e vignette per raccontarci il caos delle strade polverose e invase da liquami di Rafah o Khan Younis, e il suo tipico tratteggio rappresenta bene – come sempre – lo sporco, il degrado, il marcio di quegli angoli di disperazione.
Se proprio bisogna trovare un difetto in questa opera, forse risiede nella cautela nel vagliare le fonti dell’autore stesso, che ci viene ricordata a partire dall’introduzione fino al termine del fumetto. Sacco sa bene che la sua indagine si scontrerà con ricordi inaffidabili, testimoni suggestionati, documenti mancanti, inaffidabili o controversi. Forse questi scrupoli influenzano il lettore dal punto di vista della credibilità giornalistica dell’opera, ma d’altro canto non intaccano il valore emozionale. Anzi, i racconti talvolta esagerati (come quello del sopravvissuto a trentasei pallottole in testa) e le testimonianze che si accavallano o si contraddicono, di anziani sopravvissuti a un elenco insopportabile di tragedie, sono il vero valore di Gaza 1956. E forse Sacco dovrebbe dividere con loro il prestigioso Eisner Award 2010 come “migliore autore completo per un’opera realistica” vinto per questo volume.
Con questa opera, forse la sua più ambiziosa, Sacco non è più ormai debitore solo del new journalism in stile Wolfe e Capote, ma di interpretazioni storiografiche che vedono l’importanza dell’uomo e solo dell’uomo come motore della Storia. E restituisce la legittima notorietà a quei fatti, e quindi a quelle vittime e quei sopravvissuti, trasformando le storie in Storia.
Prima che una grande lezione di fumetto, Gaza 1956 è una grande lezione di giornalismo.
Abbiamo parlato di:
Gaza 1956
Joe Sacco
Traduzione di Daniele Brolli
Mondadori, 2010
432 pagine, brossurato, bianco/nero – 20 €
ISBN: 978-8804602316