Stile e influenze
La trama e i personaggi di Preacher si possono definire senza dubbio il punto di forza della serie, ma il disinteresse di Ennis per la forma è soltanto apparente.
Un merito della sceneggiatura è proprio quello di saper narrare una storia complicata come un romanzo gotico con la stessa linearità e immediatezza di un western classico.
A prima vista sembra infatti di trovarsi dinanzi a un fumetto ricco di scene d’azione e di violenza, ma in realtà queste sono nettamente inferiori ai dialoghi e alle scene che evidenziano il carattere e le dinamiche tra personaggi.
In Preacher è l’azione interiore ad avere la meglio su quella esteriore. L’abilità di Ennis, coadiuvato dal tratto semplice e incisivo di Dillon, sta proprio nel movimentare le scene dialogiche con un sapiente uso delle inquadrature e del ritmo, mantenendo alta la tensione della storia e lavorando molto sull’effetto sorpresa. I momenti action compaiono infatti all’improvviso, spesso interrompono tavole e tavole di battute tra personaggi, spaesando il lettore e apparendo ancora più brutali e devastanti. È uno stratagemma narrativo molto simile a quello adottato da Quentin Tarantino fin dai tempi de Le iene e poi perfezionato nel recente Bastardi senza gloria.
Cassidy: “Probabilmente stupra le pecore, sai, potresti avere ragione…”
Jesse: “Fidati Cass, è così / Un uomo a cui non piacciono Stanlio e Ollio non vale un cazzo”.
Preacher è una storia sui generis perché si presenta in apparenza come un’avventura d’azione, ma è narrata secondo gli stilemi di una storia di personaggi. Il fatto stesso che l’obiettivo portante dell’eroe-Jesse sia quello di trovare Dio e leggere nei pensieri di Genesis, l’entità divina intrappolata nella sua mente, presenta la vicenda su due piani interpretativi, uno esterno-avventuroso, un altro interno-intimistico.
Si potrebbe obiettare che nelle migliori storie d’azione i personaggi devono comunque essere costruiti in modo credibile e coinvolgente in modo da provocare empatia nel lettore, ma in Preacher avviene qualcosa di più. Durante la narrazione, infatti, non si può mai dire se a Ennis interessi di più l’evoluzione dei personaggi o lo svolgimento della vicenda, che spesso viene a essi subordinata. Al riguardo, è da notare l’uso che lo sceneggiatore fa della splash page. Nei fumetti classici americani la “vignettona” unica contiene spesso totali o campi lunghi, al massimo figure intere, con l’obiettivo di raffigurare spettacolari momenti action, come, per esempio, rocamboleschi combattimenti tra supereroi. Nella splash page ennisiana, invece, prevalgono i primi o i primissimi piani, a sottolineare il vissuto psicologico. E anche quando compare un totale, come nell’ultima tavola del settimo numero della serie originale, l’intento è il medesimo.
L’uso che Ennis fa di questa tecnica narrativa lo avvicina a Frank Miller e a quello che diventerà l’approccio della collana Vertigo. Non a caso, infatti, ciò che colpisce più del finale della saga non sono tanto le vicende risolutive dell’azione, ma è il cambiamento per eccellenza, ovvero la trasformazione di Cassidy da mostro a essere umano, con le conseguenti implicazioni psicologiche.
Ma Preacher non sarebbe Preacher senza Elmore Leonard o Cormac McCarthy.
Leonard, scrittore di noir e crime-story, ha ispirato sia Garth Ennis che Tarantino. L’autore del romanzo di Jackie Brown è noto per lo humour feroce, le situazioni sgangherate ed esplosive e soprattutto i dialoghi incisivi e perfetti, che sono una peculiarità della serie ennisiana. Curioso, poi, notare come, a volte, le influenze possano essere mutue: Hot Kid, scritto da Leonard nel 2005, è un western/noir incentrato su uno sceriffo in lotta contro criminali e Ku Klux Klan che rimanda all’episodio preacheriano di Salvation.
Importante per la genesi di Preacher è anche la scrittura sintetica ed evocativa, quasi polverosa, di Cormac McCarthy, l’autore di Non è un paese per vecchi, che mescola momenti duri e caustici a espressioni di rara poesia e lirismo.
Il gusto per la violenza esagerata e per i criminali descritti nella loro folle quotidianità è senza dubbio legato a Tarantino; lo sceneggiatore irlandese, infatti, gli dedica un omaggio inserendo nel fumetto la locandina di Pulp Fiction.
Sempre restando in ambito cinematografico, il riferimento a quella sarabanda pulp che è Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez (tra l’altro sceneggiato e interpretato dallo stesso Tarantino) è d’obbligo, ma, essendo la pellicola datata 1996, viene da pensare più a un mood generale di reciproche contaminazioni e influssi.
Per quanto riguarda il western, si è già detto molto sulla predilezione di Ennis per John Ford e sul suo culto per l’archetipo del cowboy tutto d’un pezzo come John Wayne.
L’apporto di Sergio Leone è comunque fondamentale, non solo a livello contenutistico con la già citata somiglianza tra il cinico e avventuriero Eastwood e il Santo degli Assassini. Il regista italiano fornisce a Ennis soprattutto una lezione formale, evidente nel taglio e nel montaggio delle inquadrature, sia negli intensi primi piani che, soprattutto, nelle sequenze d’azione più prettamente western, e anche nei dialoghi, in cui Leone era maestro.