Garth Ennis: Darkness (1 di 4) – Il lato oscuro della libertà

Garth Ennis: Darkness (1 di 4) – Il lato oscuro della libertà

Darkness è una delle creazioni più interessanti e importanti di Garth Ennis. In questo articolo viene contestualizzato all'interno dell'"Ennisverso".

Se si dovesse dare uno sguardo d’insieme all’intera opera di Garth Ennis, alla ricerca di un aggettivo o di una frase che possano descriverla, capiterebbe, presto o tardi, di tirare in ballo “il lato oscuro”.

La copertina del primo numero di The Darkness © Top Cow Productions.
La copertina del primo numero di The Darkness © Top Cow Productions.

Lo hanno fatto in molti, con più o meno aderenza filologica al termine, sia redattori italiani, in editoriali e articoli sugli albi firmati dall’irlandese, sia redattori americani, o inglesi; tutti, in un modo o nell’altro, ci hanno detto che Ennis guarda al e parla del “lato oscuro”.

Lo ha detto anche, forse meglio di altri, lo scrittore statunitense Joe R. Lansdale, parlando della scrittura di Ennis inserita nel contesto dell’arte sequenziale: “È la nostra opportunità di guardare al lato oscuro senza prendervi parte. È come guardare un alligatore mangiare un maiale”.1

Edmund Burke, nel suo Inchiesta sul bello e sul sublime, sostiene che oltre a un piacere positivo (pleasure), esista anche un piacere negativo (delight), provocato dalla scomparsa di un forte sentimento appena provato, da una tranquillità, quindi, oscurata dalla paura, dal terrore o dal disgusto. Tale diletto, per Burke, è il tipo di piacere che porta a provare il sublime, inteso come un momento in cui il soggetto che prova sentimenti di paura, stupore, terrore o disgusto, sia a una distanza di sicurezza tale da non mettere a repentaglio la sua incolumità. Il sublime deve quindi essere contemplato come uno spettacolo da un soggetto posto a una certa distanza, ma capace di lasciarsi coinvolgere empaticamente nello spettacolo osservato: come analizza Burke, noi proviamo diletto nelle reali disgrazie e nei dolori degli altri2.

Come guardare un alligatore mangiare un maiale, diceva Lansdale; che aggiunge: “Specialmente se noi non siamo il maiale”.3

Ennis, con il suo teatrino, porta in scena (anzi, in sceneggiatura) personaggi e situazioni sgradevoli, violente, volgari, eccessive. Ma qualcosa, nonostante questo, spinge ad averne bisogno, a volerne assaporare sempre di più. Come, nuovamente, afferma l’illuminante Lansdale (parlando di Preacher): “Questa roba mi ha davvero turbato e, a volte, ho pensato fosse un po’ eccessiva. Ma mi sono trovato ad attendere ogni nuovo numero con trepidazione”.4.

Diventa dunque evidente come la parte centrale sia la fascinazione verso l’eccesso religioso e la sua storia, e di come il credo cristiano faccia parte del substrato culturale occidentale, fattore che lo rende quindi utilizzabile come elemento narrativo. Ennis, infatti, è a conoscenza di cosa significhi parlare a un pubblico occidentale di un Gesù nero, di predicatori ubriachi e assassini con i poteri di un mezzo diavolo. Per fortuna sa che i propri lettori sono anche, nella maggior parte dei casi, abbastanza arguti da considerare l’intento dichiaratamente satirico e dissacrante come un normale, ma contenutisticamente forte, elemento narrativo, e non come una provocazione per gettare legna sul fuoco dei conservatori cattolici.

Se, dunque, dovessimo tirare le somme di quello che è il lato oscuro secondo Garth Ennis, non dovremmo che appellarci a un unico sostantivo aggettivabile: libertà.

La libertà espressiva è la grande e unica metanorma (la norma delle norme, una norma di livello superiore) a cui Ennis sembra sempre attenersi. Ma, a ben vedere, una metanorma non da poco conto.

E se questa metanorma esiste, significa che l’opera di Ennis appartiene allo stesso grande universo. E proprio di universo sembra corretto parlare, in quanto tutte i lavori dell’irlandese, anche se essi stessi facenti parti di altri universi narrativi ancora, sono accomunati dalla stessa inconfondibile impronta, come se tutte le diegesi fossero inserite sotto il medesimo ordine cosmico, che è poi quello della libertà espressiva a favore di un ipotetico lato oscuro.

darkness

Siamo di fronte a un vero e proprio “Ennisverse”, dove il Punitore può fare del verbo che sostantivizza il suo nome un monito e un esempio, dove un prete cerca Dio per farGli dire pubblicamente che ha fallito, dove i supereroi vengono tenuti a bada da un branco di iene ghignanti, dove un mago stregone prende un cancro ai polmoni, dove una prostituta può entrare nella Justice League, dove un mafioso con il potere della Tenebra può giocare a essere un diavolo. Di universo torneremo a parlare in quanto è bene porre una certa attenzione a una delle co-creazioni più interessanti e importanti a cui Ennis abbia lavorato: The Darkness. Perché è anche quando si possono valutare gli scarti tra la piena libertà e la completa restrizione che si riesce a dimostrare la completezza di un autore. E, in questo caso, il tutto inserito all’interno dell’universo Top Cow.

(continua…)


  1. Ibidem. 

  2.   Cfr. Edmund Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful, «Bartelby» 2010. 

  3. Joe R. Lansdale, op. cit., pp. 83-84. 

  4. Ivi, p. 85.)

    Ennis rappresenta una delle punte di diamante dello scrivere per soddisfare l’esigenza del fruitore nel provare a fare i conti con le parti più cupe, ripugnanti e violente della nostra realtà.

    E se è il lato oscuro, quello che Ennis canta nelle sue storie, è bene precisare cosa intenda definire lo sceneggiatore irlandese con questo termine : non il Male in senso lato, non il lato oscuro della forza Jedi, ma quello della forza narrativa, quello che ai supereroi morigerati sostituisce dei disadattati amorali (ma non immorali); ma anche, semplicemente, il grottesco, il tragicomico, lo humour nero, il politically uncorrect, la volgarità senza mezzi termini, la depravazione sessuale. Nel lato oscuro dell’autore non c’è il Male, perché nelle sue storie Bene e Male non sembrano avere, per niente, una distinzione netta.

    Per accorgersi di questo non è necessario uno sguardo troppo approfondito. Riprendiamo ancora una volta, ad esempio, quella che può essere considerata l’opera massima, fin’ora, di Ennis: Preacher.
    Un predicatore amorale, Jesse Custer, posseduto dal figlio di un angelo e una diavola (Bene e Male e, come da tradizione epica statunitense, il Male è la donna, come è donna anche la terribile nonna di Jesse Custer), che intraprende un road trip alla ricerca di Dio, sceso in terra, per obbligarGli a confessare di aver vergognosamente mollato il Regno dei Cieli. In Cielo, i messaggeri di Dio si ubriacano (come lo stesso Jesse), e sacrificano un loro buon compagno per risvegliare il Santo degli Assassini. Gli stessi angeli dicono, testualmente: “The kingdom of heaven is fucked”.

    “Il regno dei cieli è fottuto” in Preacher n. 3, p. 2. © dc Comics/Vertigo.
    “Il regno dei cieli è fottuto” in Preacher n. 3, p. 2. © dc Comics/Vertigo.

    In questa rapida carrellata del plot di Preacher, è immediatamente individuabile l’assoluta mancanza di un qualsivoglia canonico “Good vs Evil. Certamente, Jesse Custer è comunque il personaggio più positivo della narrazione, ma non agisce secondo canoni etici (in Ennis la moralità sembra non esistere), nonostante sia un predicatore, e si muove in mezzo alla follia e alla depravazione più smisurata.

    Ma non solo Preacher, anche The Punisher, The Boys e quasi ogni altra produzione dell’irlandese sono, effettivamente, storie che si muovono in zone oscure, dove non esistono né Bene né Male. The Punisher, con la serie max, ha portato il personaggio creato da Romita, Andru e Conway a muoversi in una realtà effettivamente a lui consona, dove violenza, corruzione, volgarità e rettitudine si mischiano in continuazione. Frank Castle è un assassino, un giustiziere, ma è mosso da un personale senso del bene e del giusto, con cui soddisfa, a fin del Bene appunto, il proprio istinto omicida nato tra il Vietnam e la strage della sua famiglia.

    È anche un gioco di backstory, quello che spinge Ennis a indirizzare i propri personaggi verso una determinata strada. Il passato di Castle, raccontato in The Punisher: Born o la sottotrama crudele e spietata che ha per protagonista l’adolescenza di Jesse Custer. Tutto il mondo presente delle storie di Ennis si crea e si modella anche in base al passato, ugualmente folle, dei suoi personaggi.

    Come il passato di Wee Hugie, che in The Boys sceglie di diventare un guardiano di supereroi proprio perché un supereroe, A-train, uccide la sua ragazza per sbaglio. Quello di The Boys è un altro degli esempi della capacità dell’irlandese di inscenare il lato oscuro, dove Bene e Male non sono divisi e in lotta. I Boys devono far rigare dritto i supereroi, che, per abuso di potere, sono autogiustificati nel fare quello che più loro aggrada, da orge brutali e perverse, fino alla corruzione più subdola. Dei supereroi, quindi, normalmente incaricati di difendere e di essere d’esempio, che vengono violentemente puniti da un gruppo di uomini potenziati da un siero militare. I Boys sono, letteralmente, “who watch the watchmen”, dei super partes, i giudici dei paladini, con i propri discutibili metodi per svolgere il lavoro.

    Ma c’è un altro aspetto del lato oscuro del fumetto di Ennis: la verità. Non certo una verità dogmatica, etica o morale. È una verità di eventi, di situazioni e di particolari: la scurrilità di un certo linguaggio, la stravaganza di molti personaggi o la scabrosità di alcuni particolari. Ennis, in fondo, non ha peli sulla lingua, tutto è narrabile, non esiste nessun tabù. Questo, non poteva essere altrimenti, porta sulle pagine situazioni imbarazzanti, di cui, normalmente, si evita di narrare.
    Ma Ennis non si cura di ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere raccontato, come un Robert Crumb, o un Chester Brown; niente deve rappresentare un problema di censura. In questo senso l’irriverenza, se così può essere definita, di alcune situazioni e di alcuni temi, ben si avvicina al comix, il fumetto indipendente, dove non sussistono divieti e dove, anzi, si è fatto di tutto per distanziarsi dal preconfezionamento di molto fumetto mainstream.

    E un altro grande caratteristica di questo profondo lato oscuro che Ennis abbraccia, che racchiude in sé molti degli atteggiamenti visti fin’ora, è una certa attenzione verso la religione cristiana, utilizzata in vena satirica. Di nuovo Preacher, ma anche il personaggio di Starlight in The Boys e, soprattutto, Chronicles of Wormwood, dove il figlio di Satana, cioè l’Anticristo, è un produttore televisivo che ha come migliore amico Gesù, che è un uomo di colore con pettinatura rasta. Interessante, tra l’altro, è la possibilità di scorgere, nel produttore televisivo Wormwood, un alter ego di Ennis, attaccato dai gruppi di destra e osservanti per l’irriverenza dei programmi di sua produzione, quando in realtà lo stesso Papa, nel fumetto, è un depravato sessuale.

    Alla domanda “sei un uomo religioso?”, Ennis ha risposto: “Non del tutto. Sono affascinato dalla religione, dalla fede, dal suo abuso, dalla storia della religione e dall’idea di Dio, ma no” ((“Not at all. I’m fascinated by religion, faith, the abuse of it, the history of religion and the idea of God, but no”. Ennis Garth (intervista a), An Interview with Garth Ennis, «thepunishercomics» 2008. 

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