Negli ultimi anni il mondo del fumetto mainstream statunitense ha visto affacciarsi sulla scena numerose nuove realtà, ognuna caratterizzata da una propria identità, da idee a volte coraggiose e ben precise, da una direzione aziendale ed editoriale curata per cogliere l’attenzione di una fetta di mercato sempre meno convinta dalle case editrici più blasonate.
Tutte queste realtà hanno in comune la presenza di professionisti navigati, carismatici e competenti, capaci di attrarre numerosi creatori nel loro roster grazie a una politica orientata al creator owned. Nel 2015 ha fatto il suo esordio Aftershock Comics, fondata da Joe Pruett (autore di Negative Burns per Caliber Comics e di alcune storie di Cable) e Mike Marts (editor di lungo corso per la Marvel, su X-Men, e per la DC Comics, su Batman). Nel 2018 sono state create TKO Studios, fondata da Tze Chun (produttore per film e TV) e Salvatore Simeone, che si è presentata con un concept innovativo di produzione e distribuzione di serie autoconclusive come cofanetti di albi e TPB in un’unica soluzione, e Ahoy Comics, nata da un’idea di Hart Seely, Tom Peyer (editor di grande successo, noto soprattutto per il suo lavoro come assistant editor su Sandman) e Stuart Moore (autore di numerosi fumetti per Marvel e DC Comics).
L’ultima realtà in questo mercato in continua evoluzione è AWA Studios, concepita dalla mente di due nomi di grande peso del fumetto statunitense, ovvero Bill Jemas e Axel Alonso. Il primo è noto come l’uomo che ha salvato la Marvel dalla bancarotta alla fine degli anni ’90, personaggio controverso che ebbe l’indubbio merito di inaugurare una stagione di prosperità creativa per la Casa delle Idee, designando Joe Quesada come Editor in Chief e sviluppando idee di grandissimo successo come le linee Marvel MAX, Marvel Knights e Marvel Ultimate. Il secondo è stato Editor in Vertigo su titoli epocali come Preacher, Doom Patrol, 100 Bullets, Animal Man, Hellblazer, per poi trasferirsi in Marvel e diventare Vice President, Executive Editor e poi, dal 2011 in poi, Editor In Chief proprio al posto di Joe Quesada. La sua gestione, amata e odiata da molti fan, si è fatta notare per una particolare attenzione alla rappresentazione di minoranze (etniche, religiose e di genere) nei fumetti della casa delle idee.
Nel 2019 i due hanno unito le forze, lanciando AWA Studios, casa editrice che si distingue per la produzione di fumetti distribuiti gratuitamente sul proprio sito web, ma anche stampati e distribuiti nelle fumetterie. In poco tempo il roster dell’editore si è arricchito con numerosi autori di grande peso: J. M. Straczynski, Tommy Lee Edwards, Peter Milligan, ACO, Benjamin Percy, Dalabor Talijic, Ramon Rosanas, Kaare Andrews, Javier Pulido.
In questa puntata di First Isse Presenta parleremo di alcuni degli albi di esordio delle serie presentata dall’editore.
Un hotel, quattro stanze, una miniserie di quattro episodi: un capitolo per ogni camera, una storia per ogni avventore. È questo il piano concepito da John Lees, sceneggiatore reclutato da Axel Alonso insieme al disegnatore Dalibor Talajić e al colorista Lee Loughridge.
Il titolo del fumetto, proposto con una bella copertina di Kaare Andrews, è Hotell, un nome programmatico perché unisce la parola inglese che indica l’albergo e hell, inferno. È un buon biglietto da visita per un horror suggestivo che mette in scena violenza domestica, arretratezza culturale e soprannaturale. In questo numero uno i protagonisti sono una mamma e il figlio che porta in grembo: la donna, in fuga dal padre del nascituro, trova rifugio in un hotel, ma comincia a stare poco bene. L’azione, seppur atipica e non forsennata, non manca, ma a colpire sono soprattutto alcuni passaggi introspettivi e drammatici, capaci di emozionare.
I testi scorrono tra monologhi, battute di dialogo e didascalie, riempiendo senza saturare le vignette di dimensioni variabili, distribuite prevalentemente con orientamento orizzontale. La scelta è vincente, perché nelle scene più concitate i singoli rettangoli sembrano sommarsi uno all’altro, proprio seguendo il climax, fino a sfociare in una splash-page o in un pannello più ampio.
I personaggi appaiono espressivi e sono delineati con un tratto spesso e perlopiù spigoloso, tuttavia molto chiaro anche grazie alla colorazione di Loughridge. Infatti, l’artista è attento sia a ricreare l’atmosfera malsana del racconto che a valorizzare il passaggio dal giorno alla notte, giocando con la luce. Da sottolineare, in un esordio convincente, anche il lavoro svolto sui flashback, per i quali viene adottata una tinta ocra tendente al marrone, e sui dettagli dell’arredamento e delle tende.
Federico Beghin
Cos’è che ci rende umani? Questa domanda ha pervaso la letteratura fin dalla sua nascita e ha trovato varie declinazioni diverse, in particolare nella fantascienza. Peter Milligan, uno dei grandi autori britannici dei comics USA, sembra avere una risposta ben chiara: è l’empatia a renderci ciò che siamo. E forse questa caratteristica ci potrebbe rendere anche più che umani, magari superumani. Questa la premessa di American Ronin: in un mondo del futuro dominato dalle multinazionali e in cui la democrazia non conta più nulla, il Ronin americano è un’assassino, un agente segreto che si infiltra sotto la pelle dei suoi obiettivi, iniettandosi il loro DNA per poterli capire e conoscere, portandoli a fare quello che vuole. Così riesce a piegare al suo potere Gigi Lo, erede della Lo Eletrics di Bangkok; oppure Barret Cornell, figura di spicco della multinazionale Lincoln’s Eye. Ma l’American Ronin non è l’unico superumano, e non tutti sono dalla stessa parte.
Con un primo numero ricco di azione, che unisce atmosfere alla James Bond, The Bourne Identity e Mr. Robot a quelle cyberpunk dei romanzi di William Gibson e Altered Carbon, Peter Milligan e ACO creano un mondo dominato da denaro, violenza e sotterfugi. Sebbene molte soluzioni non siano originali (in particolare quella dello strapotere delle multinazionali) e forse nemmeno da annoverarsi tra le più ispirate di Milligan, l’autore è bravo a bilanciare avanzamento della trama e trattazione delle tematiche concettuali principali, addentrandosi nella psicologia di alcuni personaggi con riflessioni interessanti e lasciando al contempo molti misteri sul protagonista.
A prescindere dalla trama e dal suo svolgimento, spesso rallentato dalla sovrabbondanza di dialoghi tipici del genere spy, il vero punto forte dell’albo è tutto nella narrazione e nell’arte di ACO, non nuovo a questo genere di storie, avendo già disegnato una miniserie dedicata a Nick Fury. L’artista fa un grande lavoro nella costruzione delle tavole, sfruttando sia architetture minimali e classiche che altre più barocche ma mai indecifrabili, e nella scelta delle inquadrature, sempre tese al dinamismo e all’esaltazione dei momenti più intensi (basti vedere la sequenza mozzafiato dell’inseguimento, le tipiche tavole sincroniche dell’autore o la costruzione del climax che porta al salto di Cornell). A questo si unisce un tratto dalle volumetrie voluttuose, dalle linee precise e dettagliate, che risente dell’influenza di disegnatori come McNiven e Deodato Jr. David Lorenzo rifinisce i disegni con chiarezza e fermezza, dando al tratto ancor più incisività. A riempire ed esaltare questo tratto potente i colori acidi e squillanti, tipicamente cyberpunk, di Dean White, che si conferma uno dei più grandi coloristi del fumetto statunitense.
Emilio Cirri
Se davvero ormai tutto è già stato raccontato nel mondo della fantasia e della finzione narrativa (come già Umberto Eco affermava decenni fa) e il tema degli zombie è stato uno dei più usati e abusati negli ultimi anni, la differenza la fa come sempre il modo in cui una storia, a fumetti e non, viene raccontata. D’altronde, a pensarci bene, i film di Romero sono attuali ed efficaci oggi come lo furono al momento dell’uscita.
Benjamin Percy, nell’approcciarsi al racconto di quella che appare l’ennesima apocalisse zombie, decide di dare il là alla storia con un albo di esordio che mai mette in campo visivamente la minaccia, pur facendola ben percepire al lettore seppur celata “dietro” le tavole del fumetto.
Year Zero #1 presenta una sceneggiatura quadripartita ambientata nel presente narrativo della vicenda, aperta da un prologo che racconta un fatto avvenuto un anno prima e un epilogo ambientato ai tempi di Leonardo da Vinci. I quattro tempi della narrazione hanno per protagonisti coloro che sono, presumibilmente, i protagonisti della miniserie: personaggi ciascuno diverso dall’altro – per età, genere e professione – sparsi in nazioni diverse del pianeta. Tutti, chi più sorpreso chi meno, vengono rappresentati nel momento dello scoppio della pandemia zombie: i loro occhi assistono all’orrore e al crollo della quotidianità – qualunque essa sia per i protagonisti – elementi che vengono celati a quelli dei lettori.
La bella linea chiara di Ramon Rosanas e lo storytelling chiaro e pulito delle sue tavole contribuiscono al corto circuito che si genera tra la normalità del racconto (e dei disegni) e la straordinarietà dei fatti narrati.
Lee Loughridge decide di assegnare un tono cromatico a ciascun protagonista e alla sequenza che lo vede coinvolto, sottolineando visivamente la quadripartitura del racconto. Lo stesso effetto ricerca Sal Cipriano nel lettering, con gli sfondi delle didascalie dei pensieri dei personaggi distinti l’uno dall’altro e giocando con i caratteri, scegliendo il corsivo per i pensieri e lo stampatello per i dialoghi.
Da sottolineare, infine, la cover quasi fotografica di Kaare Andrews, ennesimo corto circuito visivo tra soggetto e ambientazione.
Questo albo di esordio fa in modo egregio ciò che un #1 deve fare: anche se i lettori capiscono che genere di storia andranno a leggere, restano così incuriositi da ciò che gli autori decidono di non mostrare loro che non possono non continuare a seguire la serie.
David Padovani
Gli Stati Uniti rurali, quelli più appartati e che sembrano nascondere segreti e riti oscuri e misteriosi, sono fonte inesauribile di ispirazione per numerosi autori e creativi. Jeff McComsey e Tommy Lee Edwards trovano la loro storia recandosi in Kentucky, terra di agricoltura e di duro lavoro. La cittadina di Grendel, in particolare, ha una florida economia basata sulla coltivazione di marijuana, ma dietro questo si nasconde un fosco segreto che coinvolge direttamente la famiglia di Marnie Wallace, ragazza che ha abbandonato il villaggio per diventare capo di un gruppo di motocicliste.
I due autori ricostruiscono una provincia dura e oscura, in cui crimine e lavoro onesto, giustizia e violenza si mescolano tra loro, rendendo labili i confini tra giusto e sbagliato. McComsey recupera elementi e ispirazioni di molti film horror tipicamente statunitensi, da The Texas Chainsaw Massacre a Jeepers Creepers, unendoli a quelli di Sons of Anarchy et similia, e inserisce su questi alcune piccole, ma significative variazioni, come quello di puntare su un’”eroina” (o forse meglio anti-eroina) che si confronta con un mondo fortemente maschile.
Ognuno di questi eventi trova nelle matite di Edwards la sua perfetta rappresentazione: il segno scuro e denso dell’artista, i suoi colori cupi e opprimenti, creano un mondo in cui il terrore si insinua nella vita quotidiana e in cui la violenza di uomini e mostri si sovrappone. La qualità artistica non solo del tratto e dei chiaroscuri, ma anche della narrazione e della progressione delle tavole, costruite con una padronanza assoluta del ritmo e del dettaglio, eleva questo fumetto ponendolo al pari di alcuni dei migliori fumetti horror-pulp degli ultimi anni, e fa anche venire voglia di vedere molti più fumetti disegnati da un artista talentuosissimo come Edwards.
Emilio Cirri
Sulla falsariga di Grendel, Kentucky, anche Devil’s Highway si muove nella provincia americana dal sapore horror e thriller, questa volta scegliendo come ambientazione il mondo dei camionisti e di tutti coloro che si muovono nella notte su strade deserte. Esattamente come nella serie di McComsey ed Edwards, anche Benjamin Percy pone al centro del racconto un personaggio femminile, Sharon, che torna nella sua cittadina dopo l’omicidio del padre e si mette sulle tracce dell’assassino del padre.
I dialoghi di Percy sono quelli che potremmo ritrovare su Wolverine e X-Force, duri e crudi, ancor più secchi e scevri da narrazioni che contemplino continuity orizzontali e verticali. Il mistero in questo caso non è sovrannaturale, ma si sviluppa tutto in una società quasi parallela, quella fatta di gesti e segnali tipici dei camionisti: un mondo che Percy ha studiato con dovizia di particolari e che ricrea con grande attenzione. Brent Schoonover fa lo stesso nella messa in scena di questo mondo, ponendo cura nella rappresentazione di vestiti, mezzi di trasporto e dettagli fisici. Pur non essendo ai livelli di Lee Edwards e mostrando alcuni limiti nella realizzazione delle espressioni dei personaggi e delle scene d’azione più concitate, il disegnatore riesce comunque a ricreare un’atmosfera inquietante che ben si adatta alla storia di Percy. I colori di Nik Filardi, pur risultando a volte troppo accessi, restituiscono le giuste sensazioni orrorifiche nelle scene ambientate in notturna.
Emilio Cirri
I fan dell’Uomo Ragno che leggeranno l’accoppiata di J.M. Straczynski e Mike Deodato Jr. forse scapperanno a gambe levate: i due, qualche anno fa, proprio quando Axel Alonso era editor di Spider-Man, realizzarono una delle storie più controverse del personaggio, vale a dire Sins Past. Ma Alonso è anche riuscito a tirar fuori il meglio di Straczynski proprio sul Ragno, realizzando alcune storie epocali e di grande impatto (positivo). Quindi non deve stupire che sia stato proprio Alonso a riportare Straczynski nel mondo del fumetto alcuni anni di lontananza, offrendogli una delle cose che sa fare meglio (come visto in Squadron Supreme, Rising Stars e nella serie tv Babylon 5): creare mondi o interi universi. Questo il compito dello sceneggiatore e dell’artista, che nel primo numero di The Resistance ci introducono a un mondo devastato (per ironia della sorte) da una pandemia che ha ridotto drasticamente la popolazione umana, portato a scontri e guerre devastanti, fino a far arrivare al potere negli Stati Uniti un rappresentante indipendente populista e dittatoriale. Quando il virus è scomparso per cause ancora sconosciute, però, i sopravvissuti si sono ritrovati con poteri sovrumani, diventando la resistenza.
Straczynski in questo primo numero presenta esclusivamente la Terra da lui ricreata, lasciando ampie parti della storia alla narrazione di media, personalità politiche, scienziati e altre autorità, mentre protagonisti e trama sono appena accennati. Questa scelta ha un duplice effetto: da una parte, pur lasciando il lettore completamente all’oscuro di gran parte delle intenzioni future dell’autore, lo affascina e lo spinge a voler sapere di più; dall’altra, l’aver scelto di filtrare la narrazione attraverso un approccio realistico a una (quantomai possibile) attualità raccontata incessantemente dai media lascia addosso a chi legge un senso di inquietudine e di oppressione, come nei migliori racconti di fantascienza. Accanto a questi, lo scrittore aggiunge scene di vita quotidiana e di drammi personali, che aumentano la carica empatica del racconto.
Lo stile di Mike Deodato Jr. è ormai quello noto a tutti: un tratto realistico sui generis, fatto di pose plastiche che si impongono sulla scena, anche se spesso un po’ statiche e ingessate e l’uso di modelli famosi per alcuni personaggi (ad esempio Harrison Ford e Ed Harris per il vecchio e il nuovo presidente degli States). Al contrario di alcuni lavori più recenti, Deodato dimostra una particolare brillantezza narrativa e di costruzione della tavola, rendendo il racconto chiaro e al tempo stesso coinvolgente.
Stando ai piani di autori ed editore, The Resistance dovrebbe aprire le porte a un progetto più grande, a un mondo espanso e con più autori al lavoro su storie diverse: sicuramente un progetto ambizioso che parte con idee chiare e uno spunto non innovativo, ma con un grande potenziale e certamente coinvolgente, complice anche un periodo non semplice per le nostre esistenze.
Emilio Cirri
In conclusione, le copertine degli altri albi di esordio di AWA Studios.