Il più recente debutto sul mercato fumettistico statunitense è stato quello della TKO Studios, casa editrice newyorkese fondata da una serie di importanti autori di fumetti e professionisti del settore tech e dell’economia.
Una sorta di nuova start up del fumetto, per così dire, che ha deciso di puntare su un modello di fruizione delle storie a fumetti mutuato direttamente da realtà quali Netflix e Amazon Prime Video: il binge reading.
TKO ha infatti esordito con quattro miniserie complete – ciascuna composta di sei numeri tutti già disponibili – che i lettori, dopo la lettura gratuita dell’albo d’esordio, possono decidere se acquistare in formato digitale, in numeri singoli cartacei raccolti in un cofanetto oppure in volume.
I primi quattro titoli presentati, a cui presto seguiranno ulteriori quattro miniserie, oltre a mettere in campo una serie di rinomati autori del panorama fumettistico internazionale, spaziano in generi completamente diversi, dal western al fumetto di guerra, passando per il pulp fino alla narrazione della contemporaneità.
Noi abbiamo deciso di presentarvi le miniserie già disponibili recensendo il primo numero di ciascuna: ecco a voi quindi le analisi di, rispettivamente, Simone Rastelli, Emilio Cirri, Marco Marotta e David Padovani.
Texas 1867: una banda di pellerossa guidata da un bianco assale una fattoria e rapisce una donna, un bambino e un neonato; la notizia è trasmessa dai giornali e letta con grande preoccupazione da padre Antonio, assistente di padre Threadgill presso la sua missione.
Questo l’incipit di 7 Deadly Sins – miniserie scritta da Tze Chun, disegnata da Artyom Trakhanov con i colori di Giulia Brusco – che ci precipita immediatamente in un’atmosfera soffocante, dove il passato sembra letteralmente invadere il presente attraverso ricordi e ricerche di vendetta. Questo vero e proprio fiume di rancori travolge i protagonisti, li riunisce in una prigione e poi li infila in un carro blindato che dovrebbe condurli al processo. Per molti di loro la sentenza attesa è di morte, ma quello che trovano è un’inaspettata alternativa.
Il racconto presenta uno a uno i sette personaggi (uno per ciascun peccato capitale) dei quali seguiremo i destini e vive su toni scuri e tensioni emotive estreme, resi dall’interpretazione delle figure umane e della loro espressività, valorizzata dalle tante inquadrature ravvicinate, e amplificati dai cromatismi cupi che marcano le tavole.
Ciascun personaggio è introdotto attraverso il suo delitto, ma in un modo che lascia presagire che quel crimine, pur marcando indelebilmente e irreversibilmente la sua esistenza, non ne esaurisca l’umanità; mentre per la giustizia i loro delitti rappresentano l’ultimo atto, il racconto ci suggerisce che saranno la porta per condurci nelle loro vite, come se il peccato si trasformasse in un’invocazione (di aiuto, di volontà di farsi comprendere?) del peccatore.
Los Angeles, California. Sole, spiagge bellissime, opportunità all’apparenza infinite. Ma anche incendi estivi devastanti, speculazione edilizia e centinaia di senza tetto. In questo contesto fatto di degrado e contrasti si consuma l’omicidio di una giovane tossicodipendente che sconvolge la vita di Eddie, un senza fissa dimora che si ritrova suo malgrado coinvolto nelle indagini.
Joshua Dysart e Alberto Ponticelli, coppia rodata già al lavoro su Unknown soldier e i webcomics LL-3: Iraq e LL-3, mettono in scena una storia che parte molto lentamente e che si concentra più sulla costruzione del contesto urbano e sociale che sugli eventi narrati.
L’opera si pone quindi in linea con i precedenti lavori di Dysart, attento narratore dei conflitti interni alla nostra società e delle guerre, reali o intestine, che la agitano. Se da una parte la trama imbastita dall’autore non riesce pienamente a coinvolgere il lettore e in alcune parti si impantana in scene eccessivamente verbose, il sottotesto politico e sociologico crea interessanti spunti di riflessione sulle controversie degli Stati Uniti moderni, dilaniati da una crescente divisioni tra ricchi e poveri.
La dettagliata caratterizzazione di ambienti e interazioni interpersonali ricrea un ritratto fedele della variegata società dei senzatetto statunitensi, fatta di usanze e slang, disperazione e senso dignitoso della comunità. Alberto Ponticelli riesce a dar vita a questo mondo parallelo con competenza e cura del dettaglio: ogni espressione, ogni ruga sul volto dei personaggi riesce a creare un’atmosfera di degrado e lotta per la sopravvivenza che contrasta con lo scintillio di alcune panoramiche sulla città, in una sintesi efficace del tema portante della storia. La scelta dei colori di Giulia Brusco completa quest’affresco californiano, dove la solarità viene sporcata da una nota malinconica e cupa.
Questo primo numero di Goodnight Paradise si presenta quindi come un lavoro ambivalente, in cui la trama del giallo incontra la critica sociale, senza però riuscire a trovare il giusto equilibrio narrativo.
Il primo numero del nuovo fumetto di Garth Ennis ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale si presenta, a livello strutturale, in maniera estremamente semplice. Sara, abile cecchino dell’esercito sovietico, se ne sta appollaiata su un albero aspettando che il suo bersaglio, un colonnello nazista, faccia la sua comparsa. A inframezzare questo lungo momento, dei flashback che illustrano la routine che la ragazza conduce nel campo militare in cui è di stanza. Stop.
Appare dunque chiaro che non è sull’intreccio o sulle svolte narrative che l’autore ha voluto puntare in questo esordio, bensì sulla costruzione di quella che è, a tutti gli effetti, la vera protagonista dell’albo: l’attesa. Il tema dell’attesa, della pazienza, è infatti il leitmotiv che attraversa tutta la narrazione. Pazienza che è la caratteristica fondamentale che ogni buon cecchino deve possedere e che, in un sottile gioco metanarrativo, l’autore stesso sembra intimare ai lettori.
La calma, il senso di anticipazione, la minuziosa pianificazione, il tempo che sembra dilatarsi man mano che si avvicina il fatidico momento di premere il grilletto, scandito dai respiri sempre più regolari di Sara, e infine tutta la tensione accumulata che viene rilasciata di colpo quando lo spruzzo di sangue annuncia che il proiettile ha raggiunto la sua destinazione.
Tutto ciò viene reso magistralmente da Ennis, mediante l’impiego di efficaci monologhi interiori, che vanno a delineare in modo credibile e sfaccettato la psicologia della protagonista, e a una gestione dei tempi ben studiata.
Fanno la loro figura anche i disegni di Steve Epting che col loro tratto aspro si adattano ottimamente al setting esteuropeo attanagliato dalla morsa del gelo.
San Francisco, 1906. Nei meandri della Chinatown cittadina, due fratelli poliziotti sono sulle tracce del “Terribile” Dottor Fang, un misterioso criminale. Uno dei due, Patrick, muore durante l’azione e il sopravvissuto, Nayland, vota la sua vita alla vendetta contro il misterioso villain.
Con questo incipit, Tze Chun e Mike Weiss danno l’avvio alla miniserie da loro scritta per la TKO Studios, chiarendo fin da subito ai lettori che l’atmosfera della storia si rifà direttamente ai racconti contenuti nei Pulp Magazine, in particolar modo a quella narrativa di genere avventuroso in stile Indiana Jones.
I due sceneggiatori mettono in campo una serie di personaggi peculiari di questo tipo di storie – dal poliziotto protagonista, forzuto ma non acuto, alla giovane archeologa con un segreto, al misterioso e tecnologico Dottor Fang fino a una setta di assassini mascherati – e lo fanno ben caratterizzandoli attraverso dialoghi frizzanti e scambi di battute veloci, senza lesinare sul ritmo dell’azione che resta adrenalinica dalla prima all’ultima pagina. A questa positività si aggiunge una trama ricca di colpi di scena, sorprese e intrighi che centra in pieno l’obiettivo di invogliare il lettore a proseguire la lettura dei seguenti cinque numeri della miniserie, tutti già disponibili insieme al primo.
Alla riuscita di questo esordio contribuiscono anche i disegni di Dan McAid arricchiti dalla riuscita colorazione di Daniela Miwa. Con uno stile realistico che ricorda da vicino la lezione del miglior John Byrne, il disegnatore crea delle tavole dalla griglia variegata, con trovate strutturali interessanti ma sempre votate alla chiarezza narrativa.
Efficace la recitazione dei personaggi, tanto nei corpi che nelle espressioni facciali, così come l’uso delle splash page o delle vignette di più grandi dimensioni, posizionate sempre in punti importanti per lo sviluppo della trama.