Il martedì e il mercoledì in USA sono i giorni dedicati all’uscita dei nuovi albi a fumetti, molti dei quali sono numeri di esordio di serie e miniserie, i first issue.
First Issue è la rubrica de Lo Spazio Bianco dedicata ai nuovi numeri uno in uscita negli States! In questo episodio #74 ci occupiamo di alcune delle novità uscite mercoledì 25 novembre e 2 dicembre 2020.
Marvel Comics
L’immagine rappresentata nella carta del Dieci di Spade dei Tarocchi è terrificante: mostra un uomo sdraiato a faccia in giù e trafitto da ben dieci spade. Tuttavia, sulla carta sono raffigurati anche elementi positivi: in lontananza, oltre le montagne, l’oscurità fa spazio a un po’ di luce e il mare è calmo, completamente statico.
Tutto ciò, secondo l’interpretazione dei tarocchi, simboleggia segno di un nuovo inizio: dietro la sconfitta c’è la vittoria. Tutte le spade disegnate rappresentano il compimento del percorso di una vita che apparentemente sembra essersi conclusa nel peggiore dei modi, ma si tratta solo di apparenza: dopo questo momento di sofferenza si cela una rinascita.
Il significato del primo crossover mutante dell’era di Jonathan Hickman è racchiuso proprio in questa interpretazione del Dieci di Spade, un percorso in ventidue tappe (tante sono state le parti della saga che si è sviluppata sulle diverse testate mutanti e su tre one shot) che ha portato a un primo, importante, sconvolgimento dell’aspetto politico della nazione-stato di Krakoa, con conseguenze che si riverberano sull’intero multiverso della Marvel Comics.
Destruction è l’albo conclusivo del crossover e i suoi demiurghi, Hickman e Vita Ayala (supportati efficacemente in questi due mesi di storie da tutti gli altri X-sceneggiatori), tirano le fila della vicenda che ha visto al proprio centro il Multiverso governato da Opal Saturnyne e lo scontro tra i mutanti di Krakoa e i guerrieri di Arakko, l’isola che un tempo – insieme alla prima – formava il continente senziente di Okkara.
Se da un punto di vista editoriale, la prima conseguenza di X of Swords è il passaggio dalla Dawn of X – che ha segnato l’inizio del nuovo status quo mutante stabilito in HoXPoX – al Reign of X che porterà ai lettori anche nuove testate mensili, il significato maggiore di questo crossover risiede nella (ancora una volta) confermata capacità di Hickman di spiazzare sorprendendo.
Più che un duello tra guerrieri interdimensionali e mutanti, la saga ha messo in scena un duello contro le aspettative dei lettori, convinti di trovarsi davanti a una sorta di shonen supereroistico suddiviso in un torneo a eliminazione. Il torneo, per certi aspetti c’è stato, i duelli pure, ma Hickman e Ayala hanno da subito fatto capire che la posta in gioco non era la semplice vittoria e sopravvivenza di una o dell’altra parte in campo, bensì il cambiamento – reale e psicologico – a cui gli scontri hanno sottoposto i vari protagonisti.
La conclusione della saga raccontata in Destruction è epica, tanto nel racconto degli avvenimenti che nella loro messa su pagina dal duo sempre più affiatato di Pepe Larraz e Marte Gracia. La coppia di artisti spagnoli si sbizzarrisce nella rappresentazione di scenari di battaglia a doppia pagina, con decine di guerrieri in campo in un immenso territorio alieno. I colori di Gracia, oltre che da anima, servono da “ordinatori” agli innumerevoli corpi e personaggi disegnati in ciascuna vignetta dalla matita di Larraz, sempre più erede del lascito stilistico lasciato da Stuart Immonen da quando si è allontanato mondo dei supereroi.
L’attenzione per le architetture, per gli ambienti, per gli indumenti; la scelta dei punti di vista le idee compositive delle tavole, costringono volentieri gli occhi a soffermarsi sulle varie pagine e questo tempo permette di capire l’ordine dietro ogni struttura grafica, dietro ogni posa, dietro ogni scelta di movimento da rappresentare.
X of Swords, riallacciando alcuni nodi narrativi che sembravano essere stati abbandonati dopo HoXPoX, è la dimostrazione della chiarezza del piano che Hickman ha in mente per i mutanti e che sta svelando a poco a poco. Certo, la necessità di “diluire” le sue idee e i suoi propositi nelle varie serie mensili necessariamente porta a una efficacia ondivaga da un punto di vista del racconto (ogni sceneggiatore ha un proprio stile e, giustamente, anche degli obiettivi personali da perseguire nella testata che scrive). Tuttavia, da due anni a questa parte, nel leggere le storie mutanti si percepiscono una direzione e un “manico” forti alla base di ogni storia e X of Swords è un’ulteriore aggiunta di pennellate a un affresco mutante ancora in divenire e di cui ancora, forse, non riusciamo a capire tutta l’estensione e la complessità.
David Padovani
È tempo di riposo per l’unica, vera, sensazionale famiglia Marvel, sin dal 1961. I nostri quattro prodi con pargoli al seguito partono, con destinazione Grand Canyon, per una vacanza tra le rocce e la polvere di uno dei luoghi più suggestivi al mondo. Lo scopo, manco a dirlo, è quello di rinsaldare i legami di squadra, quelli familiari e passare momenti piacevoli lontano dal pressante obbligo di combattere chi minaccia il nostro pianeta. Solo la geniale mente di Reed Richards non sembra trovare pace, impegnata a inseguire ossessivamente la realizzazione di un nuovo esperimento scientifico dai risultati imprevisti e pericolosi. Grazie a una trama di chiara ispirazione cinematografica (Cabin Fever e più in generale le pellicole di David Cronenberg), che incrocia elementi horror e grotteschi, la sceneggiatura realizza un’interessante mescolanza di generi.
È proprio nel concetto di trasformazione del corpo e infezione della carne che Christopher Cantwell si gioca la carta dei colti e riusciti rimandi al cinema cronenberghiano, tirando un’immaginaria linea di congiunzione tra la mutazione subita dai nostri eroi all’inizio della loro carriera e le tematiche body horror più volte affrontate dal regista canadese. Un’analisi che partendo dalla rappresentazione della metamorfosi fisica non tralascia rimandi alla psicologia dei personaggi colpiti con violenza dal cambiamento.
La storia, scarna di fronzoli, procede rapida sfruttando una narrativa semplice e diretta nella quale la caratterizzazione dei singoli, seppur accennata, risulta adatta a mostrare le note salienti delle diverse personalità.
I disegni, sviluppati in doppie splash page, aggiungono il giusto tocco visivo, facendo immergere il lettore in vignette dagli spazi e dai tempi dilatati che ben colgono l’iniziale spirito rilassato dei nostri vacanzieri. Grazie a un tratto morbido, molto personale e riconoscibile, Filipe Andrade coglie e sottolinea le particolarità dei protagonisti, rappresentando efficacemente anche le stranezze e le deformità che ne accompagnano il mutamento.
Fantastic Four – Road trip #1 si dimostra una buona lettura, specialmente per gli appassionati di un certo filone horror cinematografico. Malgrado l’interessante e suggestivo intento analitico dei mutamenti fisici e piscologici dei nostri protagonisti, correlati all’acquisizione dei loro poteri, il racconto risulta a tratti affrettato in quanto sviluppato nel formato autoconclusivo con sole 40 pagine a disposizione. La sensazione che rimane, al termine della lettura, è quella di un interessante progetto che avrebbe meritato più ampi spazi editoriali.
Ferdinando Maresca
Di seguito, le copertine delle altre novità della Marvel Comics.
DC Comics
Attesa fin dalla conclusione della run su Batman, debutta Batman/Catwoman, serie in 12 numeri targata Black Label con la quale Tom King (affiancato da Clay Mann ai disegni e Tomeu Morey ai colori) dovrebbe suggellare l’esplorazione della vicenda dei due personaggi eponimi.
Alte le aspettative, alimentate dal fatto stesso che questo racconto è staccato dalla testata principale e, si suppone e spera, libero dai vincoli editoriali che la limitano: non un arco narrativo, quindi, ma una vera e propria serie autonoma, nella quale poter sviluppare compiutamente spunti, suggestioni e aspetti problematici.
Questo primo numero si apre con una tavola divisa in due parti: quella superiore è piena di sole, con Selina Kyle che viaggia in un auto scoperta. Sta ascoltando Silent Night, ha i capelli grigi, un gatto nero in grembo. Ed è da sola. La metà inferiore è invece buia: siamo nella magione Wayne e da dietro le spalle del padrone di casa vediamo Andrea Beaumont seduta in poltrona, illuminata dal fuoco del grande camino di fianco all’albero di Natale (curiosità: nella tavola successiva, abbiamo un’inquadratura che richiama immediatamente un momento di Visione).
Due tempi diversi, molto lontani fra loro, innestati l’uno nell’altro senza soluzione di continuità. Questa è la caratteristica strutturale di base di questo primo numero e, si immagina, del racconto: intrecciare o giustapporre più linee temporali, che mettono in scena fasi diverse del rapporto fra Bruce/Batman e Selina/Catwoman e richiamano la loro intera vita (la Beaumont, infatti, emerge dal lontano passato di Batman). Seguendo questa impostazione, ci aspettiamo che quelle linee temporali dialogheranno fra loro: che propongano diverse prospettive su temi e situazioni e offrano indizi da collegare in un disegno generale. Una dialettica che immediatamente genera l’aspettativa di una sintesi.
La costruzione dell’intreccio e la resa visuale ci portano subito nella più classica delle atmosfere hard-boiled, rese in forma rassicurante. D’altra parte, mentre sono chiari i modi della narrazione, non lo sono gli obiettivi e i centri tematici, ovvero il che cosa e i perché. Le immagini sono patinate, i corpi plastici e perfetti: Andrea Beaumont è sfacciatamente seducente come da specifiche per una dark lady, ogni scena di lotta è tale da mettere in evidenza le forme dei protagonisti e la stessa interpretazione del Joker, seppur arricchita dai tratteggi del volto, resta largamente all’interno dello stereotipo, al quale appartengono le smorfie e le risate che utilizza. A questo, aggiungiamo alcune immagini che hanno caratteristiche più illustrative che narrative: nelle pagine 5, 6 (Batman e Catwoman) e 15 (Cat e il Joker) troviamo infatti ritratti e non momenti di un racconto.
L’albo chiude con Andrea Beaumont seduta sul letto, con una vanga e una maschera, mostrata in uno zoom al contrario mentre guarda nel vuoto. Tutto è ancora lucido e levigato ma l’immagine, con la sua simmetria che restituisce uno spazio perfettamente stabile e una durata temporale indefinita, insinua finalmente una sfumatura di inquietudine.
Simone Rastelli
Il nuovo evento crossover di casa DC debutta con questo speciale oversize, scritto da Andy Lanning e Ron Marz per i disegni di Howard Porter. Quando delle operazioni di scavo nel Circolo Polare Artico risvegliano un antico e potente essere conosciuto come Frost King, tocca alla Justice League intervenire per cercare di arginare la sua furia, prima che il mondo intero finisca soffocato nella morsa di un inverno perenne.
Una cosa che chi segue i comics americani supereroistici con costanza dovrebbe ormai avere imparato è che non è mai una buona idea cedere all’hype generato dai teaser criptici che preannunciano l’ennesimo “sconvolgente evento che stravolgerà ogni cosa”, dal momento che questo finisce per rivelarsi il più delle volte ben al di sotto delle aspettative. Sfortunatamente questo sembra essere il caso anche per Endless Winter che, almeno in questo capitolo introduttivo, si rivela un prodotto piatto e scontato, proprio quanto la breve sinossi raccontata poc’anzi lo fa sembrare.
L’elemento che pesa maggiormente sulla valutazione è proprio l’entità della minaccia che i nostri eroi devono affrontare. Il Frost King, infatti, non solo è un antagonista banale dal punto di vista del design ma è anche penalizzato da una caratterizzazione monodimensionale, con dialoghi che non sfuggono mai allo stereotipo del villain di serie b che sproloquia su quanto nessuno possa fermarlo, su quanto il mondo assaggerà la sua ira e su quanto tremenda sarà la sua vendetta. La sua introduzione è inoltre troppo estemporanea, poco d’impatto e manca del tutto un qualunque build up che avrebbe potuto creare aspettativa nel lettore. Anche la gamma di poteri a sua disposizione -la capacità di generare orde di anonimi mostri di ghiaccio da mandare contro la Justice League a mo’ di carne da cannone e l’abilità di provocare un’istantanea glaciazione a livello globale – sono ridondanti e sanno fortemente di già visto. Anzi, la sensazione che si ha, leggendo l’albo, è quella di trovarsi di fronte a una riproposizione a grandi linee di Drowned Earth, solo con la neve al posto dell’acqua. Anche sul lato dei buoni, a parte un paio di momenti più introspettivi legati a Flash, i vari eroi appaiono più come dei cliché di loro stessi che come individui sfaccettati, sebbene da questo tipo di storie orientate al divertissement senza pretese non ci si possa aspettare particolare profondità in tal senso.
Decisamente di un altro livello i disegni, laddove il tratto preciso e pulito di Porter regala intricate composizioni ricche di dettagli per le ambientazioni e i character design, oltre che fisionomie ed espressioni sempre impeccabili.
Marco Marotta
Di seguito, le copertine della DC Comics.
Image Comics
Di seguito, la copertina della novità della Image Comics.
Altri editori
Geralt di Rivia non se la passa bene: pare che in giro non ci siano mostri da uccidere e, quindi, i soldi non entrano nelle sue tasche. Ecco il punto di partenza di The Witcher: fading memories, miniserie di quattro capitoli scritta da Bartosz Sztybor per i disegni di Amad Mir e i colori di Hamidreza Sheykh. Lo strigo creato da Andrei Sapkowski per la sua saga di libri fantasy, che già in passato è stato protagonista di comics oltreché di vari videogiochi e della serie televisiva prodotta da Netflix, torna in fumetteria, per volere della Dark Horse Comics, dopo più di un anno di assenza.
Lo sceneggiatore si concentra prevalentemente sulla natura del personaggio principale, qui raffigurato simile alla figura giocabile in The Witcher III: wild hunt e non a Henry Cavill che l’ha impersonato sul piccolo schermo, sottolineando il fatto che, per quanto provi a riciclarsi in altre occupazioni, il richiamo dello scopo per il quale è nato gli impedisce di condurre una vita normale.
È interessante il modo in cui viene impostato il discorso, perché la personalità di Geralt emerge per analogia quando a raccontare è un pescatore in crisi d’identità. Questa scelta ravviva la narrazione e prepara un colpo di scena che chiude la trama verticale, mentre per lo sviluppo orizzontale occorre attendere gli episodi futuri.
Come la storia alterna momenti sereni a sequenze cupe e drammatiche, così la colorazione asseconda i cambiamenti di scenario e il ritmo circadiano, rendendo apprezzabile l’estetica dell’esordio. Infatti, più delle movenze delle figure, che in alcuni casi vorrebbero rifarsi all’essenzialità di Mike Mignola, risultando invece abbastanza legnose, a colpire sono i paesaggi: dalla foresta al mare, dalle distese innevate ai cieli nuvolosi, dall’oscurità alla luce abbagliante, l’atmosfera del fumetto è efficace e coinvolgente.
Federico Beghin
Di seguito, le copertine delle altre novità.
Per questa puntata è tutto. Vi diamo appuntamento al 23 dicembre 2020 con First Issue #75, una puntata speciale dedicata ai Best of di questo 2020 che (finalmente) stiamo per lasciarci alle spalle.
Stay tuned!
[Un ringraziamento al nostro Paolo Garrone, che cura la gallery delle cover sulla pagina Facebook de Lo Spazio Bianco per ogni puntata di First Issue.]