Ogni mercoledì in USA esce quasi un centinaio di albi a fumetti, molti dei quali sono numeri di esordio di serie e miniserie, i first issue.
First Issue è la rubrica de Lo Spazio Bianco dedicata ai nuovi numeri uno in uscita negli States!In questa puntata #40 ci occupiamo delle novità uscite mercoledì 23 e 30 gennaio 2019.
Marvel Comics
Nell’ambito delle iniziative volte a festeggiare gli 80 anni della Marvel Comics – nata nel 1939 col nome Timely Comics e trasformatasi in Atlas, per poi infine prendere il nome attuale – la casa editrice ha deciso di dare nuova vita alle riviste antologiche che hanno caratterizzato i primi decenni della sua storia. A cominciare dall’orrorifica Crypt of Shadows di cui ci parla Andrea Gagliardi.
Crypt of Shadows, pubblicata tra il 1973 e il 1975, era, come si può dedurre facilmente, una rivista dai toni horror che cercava di ricatturare le atmosfere – e possibilmente le vendite – dei celebri magazine della EC Comics.
Alla luce del successo di critica raccolto dal suo The Immortal Hulk, connotato da una forte vena horror, Al Ewing è indubbiamente la scelta più indovinata per la stesura della sceneggiatura di questo albo celebrativo. Ai disegni troviamo il tratto oscuro “alla John Ridgway” di Garry Brown che illustra efficacemente il racconto principale in cui si inseriscono le due storie nella storia disegnate da Stephen Green (bravo) e Djibril Morrisette-Phan (meno a suo agio in questo contesto).
Come da tradizione i racconti sono caratterizzati da un’impostazione moraleggiante/ammonitiva che si conclude con un finale a sorpresa degno della migliore letteratura di genere. Eliminando qualunque riferimento al soprannaturale, e attenendosi maggiormente all’esplorazione degli aspetti disturbanti della psicologia umana, gli autori riescono felicemente ad attualizzare un format d’altri tempi e a renderlo appetibile anche alla sensibilità del lettore contemporaneo.
Dalle ceneri dell’ultimo evento cosmico Infinity Wars nascono i “nuovi” Guardiani della Galassia, di cui ci parla Emilio Cirri.
Dopo la (convulsa) fine dell’evento Infinity Wars, il cosmo Marvel è sconquassato da turbolenze: le gemme dell’Infinito sono diventate esseri senzienti per mano di Warlock, Gamora/Requiem è latitante dopo i disastri commessi con il potere delle gemme stesse, Drax è scomparso, e Thanos è morto.
È proprio da qui che parte il nuovo corso dei Guardiani della Galassia di Donny Cates e Geoff Shaw. Gli eroi più potenti del cosmo sono riuniti per decidere cosa fare del corpo di Thanos e impedirgli di reincarnarsi in una nuova forma, ma vengono brutalmente interrotti dal Black Order che trafuga il cadavere per un misterioso committente. Per risolvere la situazione servono di nuovo i Guardiani della Galassia, in una formazione inedita assemblata per casa da Peter Quill e Groot.
Cates si sbizzarrisce con un numero introduttivo dal ritmo veloce, pieno di azione e che pone le basi per un futuro che si prospetta ambizioso, basandosi sull’ottima prova dell’autore fornita sulle pagine di Thanos. Il Ragazzo d’oro della Casa delle Idee si trova a suo agio con il settore cosmico dell’universo Marvel e questo si vede nella caratterizzazione dei personaggi e nei dialoghi frizzanti ed incalzanti con cui interagiscono.
Shaw, collaboratore di Cates su God Country e altre opere, offre una prova che convince sotto ogni punto di vista. Il tratto preciso e fine dell’artista si esalta nelle espressione dei volti, scolpite da un chiaro e scuro netto che esalta la plasticità e le caratteristiche di ogni personaggio. L’energia del segno si scatena poi nelle scene d’azione, costruite grazie ad un attento montaggio delle vignette che dona al racconto fluidità e comprensibilità.
Insomma, due autori in grande forma e pieni di idee, a marcare un ritorno col botto per i Guardiani della Galassia.
Prende il via anche un nuovo evento mutante con lo one shot Age of X-Man Alpha di cui ci parla David Padovani.
Age of Apocalypse – maxi evento mutante che si svilluppò a cavallo tra il 1995 e il 1996 e che per la sua durata rimpiazzò le serie regolari mutanti con testate e miniserie tutte ambientate nel distopico mondo della storia – segnò, visto col senno di poi, il canto del cigno degli X-Men. Da allora, tolta la breve parentesi della gestione di Grant Morrison, i mutanti della Casa delle Idee hanno subito un lento declino editoriale e di pubblico dal quale non si sono ancora ripresi.
A ventiquattro anni di distanza da quell’evento, arriva oggi Age of X-Man, lo yin se volessimo definire come yang l’Età di Apocalisse, e che di quella saga ricalcherà la formula editoriale con nuove testate in uscita nei prossimi mesi a sostituire le X-serie regolari.
Le premesse contenute nello one shot Alpha sono intriganti: che cosa accadrebbe nel mondo se esistessero solo mutanti? Un’idea semplice che Zac Thompson e Lonnie Nadler sembrano imbastire in modo molto interessante in questo albo di esordio, descrivendo senza cadere in didascalismi inutili un mondo che a prima vista somiglia molto al nostro, anzi forse anche migliore, ma che nasconde lati oscuri.
È proprio l’atmosfera ambigua, quasi dickiana, che si cela dietro un’apparente perfezione il punto di forza della storia, oltre a versioni inedite dei mutanti più conosciuti che intessono tra loro relazioni sorprendenti e inaspettate.
Ramon Rosanas e la colorista Triona Farrell stupiscono ancora di più nella parte grafica, con tavole pulite, dettagliate e soprattutto pervase da una sorta di filtro colorato che dona un’atmosfera eterea alle pagine e che forse mette in guardia sulla irrealtà di quello che stiamo vedendo.
Dopo la delusione del recente rilancio di Uncanny X-Men – mitigata solo in parte dall’efficace storia presente nell’Annual #1 della testata – Age of X-Man potrebbe rivelarsi finalmente una bella boccata d’ossigeno per i mutanti della Casa delle Idee e inoculare qualche concetto originale e inedito nelle loro storie.
Di seguito, le copertine delle altre novità Marvel.
DC Comics
La nuova etichetta Wonder Comics, lanciata da Brian Michael Bendis, dopo il rilancio di una storica testata degli anni ’90 come Young Justice, presenta una nuova eroina, Naomi. Ce ne parla Marco Marotta.
Naomi è il secondo titolo di Wonder Comics, linea editoriale di Brian Michael Bendis indirizzata a un target di giovanissimi. La vita di una tranquilla cittadina del nord ovest degli Stati Uniti, una comunità in cui non succede letteralmente mai niente, subisce uno scossone quando le strade diventano teatro di un violento, seppur breve, scontro tra Superman e Mongul. L’eccezionalità dell’evento porta la giovane protagonista a voler compiere delle indagini in merito a quando sia stata l’ultima volta in cui un fatto del genere sia accaduto e da queste si consolida il sospetto che dietro alla reiterata estraneità della città dei confronti delle faccende superumane possano celarsi segreti ben più oscuri di quanto l’apparenza suggerisca.
La prima cosa che colpisce di questo esordio è l’attenzione con la quale l’autore di Cleveland, che viene affiancato ai testi da David F. Walker, ripone nel tratteggiare il personaggio di Naomi. Infatti, a differenza di Young Justice, in cui il focus doveva essere suddiviso fra tutti i componenti del gruppo e di conseguenza le singole caratterizzazioni risultavano un po’ più superficiali, qui gli autori hanno avuto modo di esplorare più a fondo il carattere e la psicologia della protagonista. Naomi risulta dunque essere un personaggio credibile e col quale il lettore riesce quasi a sentire una connessione. Una scrittura dinamica e dialoghi che non mancano di quella tagliente ironia tipica di molte opere di Bendis garantiscono un’estrema scorrevolezza dell’albo e inoltre l’efficace costruzione del mistero che circonda la cittadina e i suoi abitanti non può non lasciare intrigati e desiderosi di conoscerne gli sviluppi.
Ai disegni, Jamal Campbell offre un’ottima prova. Il tratto morbido e delicato si dimostra perfetto per trasmettere l’espressività dei personaggi, i quali risultano figure dinamiche, vive, gesticolano di continuo e sono in grado di assumere un’ampia varietà di espressioni facciali. L’abilità del disegnatore emerge poi anche in alcune buone intuizioni di storytelling.
Di seguito, le copertine delle altre novità DC Comics.
Image Comics
Nuova serie fantascientifica in casa Image, Oliver, di cui scrive Simone Rastelli.
Oliver, serie firmata da Gary Whitta (testi), Darick Robertson (disegni) e Diego Rodriguez (colori) – è ambientata nel Regno Unito, all’indomani di una guerra che ha distrutto gran parte del pianeta. Questo primo albo racconta l’arrivo del protagonista in una comunità di sopravvissuti, che vive in una Londra contaminata dalle radiazioni e lo adotta, tenendolo nascosto per proteggerlo. Oliver, infatti, è probabilmente figlio di una umana e di un alieno.
Il racconto cattura immediatamente per come propone i misteri dell’ambientazione: la discussione sull’adozione di Oliver, posta a inizio albo, suscita una serie di interrogativi e le risposte che scopriamo ne innescano altri. È un processo di apertura dello scenario che avviene con fluidità, evita spiegoni forzati, e conduce passo dopo passo il lettore dentro la vicenda, che si rivela via via più ricca di ambiguità. Decisamente fascinosa è la resa di Londra, delle sue vie e dei suoi palazzi: attraversiamo una città distrutta, effettivamente senza tempo con i suoi tetti neri spioventi, gli edifici ottocenteschi. La ricchezza dei dettagli degli elementi urbani costruisce un mondo tangibile e concreto, debolmente illuminato da una luminescenza dorata diffusa che suggerisce un perenne tramonto radioattivo. Dai vicoli pieni di rovine, detriti e persone senza scopo apparente emana un senso di vuoto di speranza. In questo contesto, Oliver è l’unico elemento dinamico: le sue corse di bambino precoce infrangono la staticità pervadente, le sue azioni violano gli schemi degli adulti, indicano un cambiamento. Certo, sono piccoli furti (o forse solo mancanze di educazione), sono trucchi per sopravvivere, per non annoiarsi in un mondo che non prevede bambini: il suo sguardo è ricco di stupore, timore e malizia; gli occhi, la mimica, la stessa posa da seduto comunica una sfida al mondo intorno, una dichiarazione di oggettiva diversità.
Il racconto si dipana in ambienti cupi e spesso in interni: la luce del sole è assente, il cielo perennemente oscurato e l’unico elemento che sfugga al nero o al marrone è la copertina di una vecchia guida di Londra, che compare nelle ultime pagine, vero e proprio corpo estraneo nell’atmosfera desolata. Tutta la prima parte è costruita su confronti dialettici, resi intensi dalle inquadrature ravvicinate, che dominano la messa in scena e valorizzano l’interpretazione dei personaggi. Nella loro uniformità fisica di base, ognuno ha la propria caratterizzazione grazie alle emozioni e ai sentimenti trasmessi con ricchezza di sfumature, grazie soprattutto al gioco di ombre che definisce le espressioni che animano i visi: perplessità, sconforto, decisione, paura riempiono le tavole sempre mantenendo un tono quasi sommesso, come se una spossatezza profonda impedisse manifestazioni emotive sopra le righe.
Dei personaggi, tutti adulti a parte Oliver, Robertson mette in mostra la complessione fisica, disegnando corpi atletici e vigorosi, apparentemente intoccati dai veleni ambientali. Gli unici difetti sono nei volti: tagli, cicatrici, ferite profonde, cecità parziali segnano la parte più umana del corpo, a indicare che proprio l’umanità (nel senso dell’insieme di valori che la definisce) è ciò che soffre il degrado dei tempi.
La presentazione dell’opera la propone come ispirata all’Oliver Twist di Charles Dickens, ma sono le parole del Riccardo II di Shakespeare ad accompagnare la sequenza iniziale che mostra la desolazione della terra inglese. Presto per capire se e quanto il profilo del protagonista derivi dall’orfano dickensiano, ma la citazione dal dramma dichiara immediatamente che siamo alla fine di un’epoca, al crollo di un sistema di potere: lì era la dinastia plantageneta, qui, forse, il potere dell’uomo. Oliver potrebbe essere una nuova speranza, qualcosa di diverso, di ibrido, che potrebbe farsi carico del mondo.
In conclusione, Oliver si presenta con un debutto intrigante e ben costruito.
Editori indie
Archie Comics presenta una nuova serie horror scritto da Cullen Bunn di cui ci parla Federico Beghin.
Tavola 1: obitorio; tavola 2: scuola. Il passaggio, che avviene con velocità e noncuranza, può essere preso a manifesto dell’incedere dell’esordio di Blossoms: 666, nuova serie pubblicata da Archie Comics e affidata alla sceneggiatura di Cullen Bunn per le matite di Laura Braga.
Entrare a Riverdale e conoscerne gli abitanti per la prima volta attraverso questo primo capitolo può essere un azzardo perché, sebbene sia presente un intermezzo spiritoso dedicato al gioco “obbligo o verità” nel quale i vari personaggi rimarcano le proprie caratteristiche, si rischia di non cogliere il contesto e i rapporti di forza sviluppatisi nella cittadina con l’andare del tempo.
Superata questa possibile difficoltà, la trama è di per sé molto semplice: i gemelli Cheryl e Jason Blossom si comportano come paladini della giustizia ma tramano qualcosa e, mentre battibeccano tra loro, organizzano una festa presso la villa di famiglia, i cui interni si svelano davanti ai nostri occhi grazie ad alcune inquadrature ravvicinate.
Da un lato, Bunn si dimostra ancora una volta a proprio agio con il soprannaturale, parte integrante di questo fumetto nel quale le stranezze passano per ordinaria amministrazione, anche grazie a un brillante piglio da commedia. Dall’altro, Braga contribuisce a trasmettere l’atmosfera straniante e allo stesso tempo leggera, disegnando i protagonisti spesso sorridenti e sempre sicuri di loro stessi, disinvolti quanto basta per portare gli studenti dalla loro parte. Il tratto è arrotondato, sui volti i segni sono pochi, probabilmente per lasciare che siano i colori lucidi di Matt Herms a filtrare le emozioni. Restando nell’ambito cromatico, si segnala lo stacco che si crea tra le chiome rosse dei gemelli e gli sfondi più scuri, talvolta incupiti da una fitta puntinatura.
Dynamite Entertainment rilancia con Kieron Gillen un supereroe della Charlton Comics degli anni ’60, che servì da modello ad Alan Moore per l’Ozymandias di Watchmen. Ce ne parla Simone Rastelli.
Debutto decisamente sottotono per la nuova serie scritta da Kieron Gillen per i disegni di Caspar Wijngaard e i colori di Mary Safro. Ritmo fiacco, interpretazioni poco espressive dei personaggi e tensione smorzata si sommano in una combinazione deludente e le strizzate d’occhio agli appassionati per i riferimenti al Watchmen di Alan Moore – dal protagonista Peter Cannon, a suo tempo personaggio dell’universo Charlton e uno degli ispiratori di Ozymandias, alla vicenda stessa proposta in questo albo – non sono sufficienti a dare cuore al racconto. Né ci riescono i personaggi: alcuni restano indistinti, altri rasentano lo stereotipo in una parodia che al momento resta fine a sé stessa e tutti recitano e si muovono in maniera legnosa e goffa. Non solo nelle frequenti inquadrature ravvicinate, ma anche nei campi lunghi: si veda la prima tavola, dove su un fondale spettacolare di distruzione, che rimanda alla Guerra dei Mondi, vediamo esseri umani in pose flemmatiche, che sembrano impegnati ad attraversare una strada e non a fuggire la morte. Goffa in maniera esemplare è anche l’immagine che mostra Peter Cannon prendere in mano la situazione: ripreso frontalmente a figura intera però leggermente dall’alto verso il basso, risulta in una figura tozza che, più che determinazione ed energia, trasmette imbolsimento. Ed ancora: le scene di azione, lo scontro con gli alieni, sono prive di forza dinamica. I personaggi sembrano fermi, i loro corpi non mostrano tensioni muscolari o emotive, con un effetto spiazzante di giustapposizione, come se fossero elementi estranei appoggiati sullo sfondo.
Addirittura “troppo deludente per essere vero”, questo albo non chiude nemmeno con un vero e proprio cliffhanger, poiché quello che viene mostrato nell’ultima immagine semplicemente conferma quanto annunciato dal protagonista due tavole prima.
Di seguito, le copertine delle altre novità degli editori indipendenti.
Per questa puntata è tutto. First Issue torna tra due settimane, il 20 febbraio 2019.
Stay tuned!
[Un ringraziamento al nostro Paolo Garrone, che cura la gallery delle cover su Facebook per ogni puntata di First Issue.]