Figli di una nostalgia minore: Mazinga e l’immaginario di una generazione

Figli di una nostalgia minore: Mazinga e l’immaginario di una generazione

Mazinga e il collasso emotivo di una generazione: Marco Pellitteri, autore del saggio "Mazinga nostalgia" e de “Il Drago e la Saetta”, ci accompagna in un malinconico ritratto di una generazione cresciuta con i miti della TV. Lo accompagnano gli omaggi di Andrea Accardi e Federica Manfredi

Una lunga catena di ricordi si affaccia alla memoria nel momento in cui i calendari ci ricordano che nel 2012 cade il quarantennale della prima apparizione in Giappone, tanto fumettistica quanto televisiva, di Mazinga Z, il famoso robot gigante pilotato da un ragazzo dentro a un velivolo incastonato sulla sua testa, che lanciava pugni a razzo facendo il gesto dell’ombrello, cigolava a ogni movimento e aveva una robottessa aiutante che sparava razzi a forma di seni (o seni a forma di razzi, decidete voi).

Si tratta, dicevo, di un quarantennale. Fa impressione, vero?
Il robot di Gô Nagai apparve in Italia per la prima volta alcuni anni dopo quel 1972, nel gennaio del 1980, disordinatamente preceduto nel nostro paese, di un solo mese, da una sua versione appena più evoluta, il Grande Mazinga (creato in origine nel 1974), e di un anno e mezzo dai primissimi giapporobot lanciati nell’etere italico, Goldrake e Danguard (entrambi in Italia nel 1978, entrambi creati in Giappone dopo Mazinga Z: nel 1975 e ’77).
Sappiamo tutti che l’Italia è stato il paese occidentale (forse al mondo, fatto salvo, ovviamente, lo stesso Giappone) in cui è stato trasmesso il maggior numero di disegni animati nipponici, a tutti i livelli: emittenti in chiaro, del digitale terrestre, satellitari; nazionali, regionali, provinciali; pubbliche e private. In cui è stato messo in vendita il maggior numero di edizioni home-video di anime. E in cui, repetita iuvant, è stato pubblicato il maggior numero di titoli di manga. (Per quale motivo l’Italia non abbia acquisito una centralità mondiale in qualità di trait d’union commerciale, industriale, strategico, di mediazione fra l’industria culturale per ragazzi giapponese e i contesti di mercato occidentali, o quantomeno europei, sarà forse materia di altri interventi, chissà dove e chissà quando).
Ciò significa che una quantità enorme di italiani di varie età condivide una sostanziosissima porzione di immaginario infantile e adolescenziale, televisivo e fumettistico, con giapponesi quasi coetanei: di circa una decina d’anni più anziani. Insomma, se andate nel Sol Levante potete recarvi al karaoke con dei quarantenni e finanche cinquantenni del luogo e divertirvi da matti cantando o biascicando le tante sigle in giapponese degli anni Settanta trasmesse anche da noi negli Ottanta. Questo perché, sia detto per inciso, al karaoke in Giappone un buon 40% almeno delle canzoni più gettonate sono sigle degli anime. Parlo con cognizione di causa.

Qui finisce la parte presuntamente amena dell’articolo.

Nessuna generazione come quella a cui appartengo, e a cui appartiene sicuramente la maggior parte di coloro che stanno leggendo queste righe, ha celebrato, nelle età oggi classificate dai sociologi con le ridicole diciture “giovani adulti” (26-30 anni) e, sic, “adulti giovani” (31-34; le definizioni sono degli ultimi Rapporti Iard sulla condizione giovanile in Italia), l’immaginario della propria infanzia; questo, ovviamente, se togliamo i collezionisti nostalgici sessantenni, settantenni e ottantenni che rievocano i fumetti e le figurine della loro infanzia, ma è chiaro che più si è vecchi più è giustificabile che si ricordi e rievochi il periodo della propria vita più lontano da quello della morte, con tutti i suoi miti, personaggi ed eventi; per avere un compendio letterario di questo sentimento basti leggere La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco, in cui, al di là della superficie narrativa e rievocativa di sapore nostalgico e retroculturale, si tende in realtà in modo alquanto assertivo, benché ingenuamente, a voler riaffermare ancora e a tutti i costi il predominio incontrastato a tutti i livelli di una generazione vecchia ed egemone da sessant’anni.

Il fatto invece che a ricordare l’infanzia e i personaggi che ne caratterizzarono i voli nella fantasia sia una generazione assai più giovane, credo dovrebbe destare maggiore interesse.

In altra sede ho provato a indicare come questa caratteristica della “nostra” generazione – quella, almeno, che condivide questo immaginario di personaggi anche nipponici, assorbiti davanti al televisore – contenga a mio avviso alcuni elementi perturbanti. La differenza e la novità rispetto al passato mi pare consistano nel fatto che questa generazione è, già nella prima fase dell’età adulta, nostalgica dell’infanzia e dei suoi personaggi e tropi, laddove le generazioni precedenti cominciavano durante l’età adulta avanzata – dicasi mezz’età – a essere nostalgici della giovinezza e dei miti a essa associati: il primo sesso, le conquiste personali, qualche viaggio avventuroso e qualche eventuale trasgressione, la musica e i balli di moda all’epoca. Certamente non i personaggi dell’infanzia.
Ma negli ultimi trent’anni si è verificata, in Italia e altrove (ce lo dicono i nostri amici francesi e spagnoli, per esempio, dove Goldorak e Mazinguer Z sono paladini amatissimi), un’anticipazione della nascita della nostalgia come sentimento di appartenenza generazionale e questa è, io penso, la spia di un disagio epocale, di uno scollamento dai processi dialettici di conflitto generazionale “classici”, per come erano stati osservati e studiati decenni fa da antropologi come Margaret Mead prima o Georges Balandier dopo, fra gli anni Venti e i Settanta.

La nostalgia di Mazinga o, mi si permetta la spudoratezza, la “Mazinga nostalgia”, è un segno dei tempi? Ci dice forse che la consapevolezza dell’assenza di un futuro sicuro ha fatto rifugiare moltissimi “giovani” (e dai con questa parola; ma come si fa a essere considerati giovani a 35 anni e più?) nel ricordo coccolante e consolatorio del passato dell’infanzia e dei suoi personaggi? Ci dice forse che dopo il benessere degli anni Ottanta, in cui ci gettavamo nei beni postmaterialisti, ivi incluso il colorato e spesso insulso immaginario televisivo, siamo stati invasi dal malessere dovuto al peggioramento delle condizioni economiche, culturali, strutturali del paese e specialmente in relazione alle nuove generazioni, e quindi ci siamo rifugiati ancora e sempre nel futile e nel voluttuario stavolta per avere l’impressione di star così bene da potercelo permettere? Ci dice forse che questo immaginario, inviso e disprezzato dagli adulti “di allora”, oggi è progressivamente sempre più accettato e rivalutato solo e soltanto perché gli adulti di oggi sono progressivamente sempre più i bambini di quel lontano “allora”, lasciandoci vedere quanto in fondo questa nostalgia parta da un immaginario “minore”, illegittimo, immigrato, clandestino, sporco, brutto e cattivo?

Per quale motivo, infine, oggi ci ritroviamo a celebrare Mazinga, un tipico esemplare di quella che autorevoli critici cinematografici ancora negli anni Ottanta inserivano, senza nemmeno far finta di nascondere il loro attaccamento metodologicamente puerile e anacronistico alle già allora obsolete idee francofortesi, in una “logica industriale” applicata all’immaginario per le masse (infantili e nel senso etimologico, cioè formate da bambini)?

Credo che questo tipo di celebrazioni celebri, più che gli eroi in questione, i loro ex spettatori. Ricordando Mazinga, stiamo rimembrando i noi stessi di quando eravamo bambini e i mille Mazinga della nostra infanzia li sorbivamo a dosi quotidiane, ciascuno di fronte al suo televisore di casa, per poi riraccontarceli mille volte la mattina dopo a scuola con i compagni, non tradendo così l’istinto primordiale di ogni bambino di aver narrata o magari narrarsi da solo ogni volta la stessa fiaba (non per niente la serialità iterativa con piccole variazioni sul tema degli anime fu ed è, dal punto di vista della strategia di racconto, una delle chiavi del loro successo universale). Ci stiamo insomma dando delle pacche sulle spalle fra di noi, mentre il resto del mondo praticamente se ne infischia di chi siamo, di cosa facciamo, di cosa pensiamo e di cosa sogniamo. Del resto siamo la generazione che ama la monotonia: lo dicono anche i politici. In fondo Mazinga non era forse un po’ monotono? Ce ne eravamo resi conto benché in Italia avessimo potuto assistere a solo 51 delle 92 puntate realizzate dalla Tôei Animation.

Siamo la generazione che celebra il passato mentre il futuro va a rotoli. Ecco perché secondo me questa celebrazione sancisce una volta di più il collasso emotivo di una generazione che, almeno in parte, trova un rifugio provvisorio nella rievocazione di un tempo in cui tutto andava bene, perché non si sapeva cosa avveniva fuori da casa propria. Adesso che siamo adulti e fuori casa, in mezzo alle intemperie (letteralmente!), cerchiamo di convincerci di essere ancora al riparo. Ma quel televisore e quei robot ipercolorati noi li stiamo guardando dall’esterno, un po’ come un classico Charlot che guarda il ristorante di lusso dalla strada e si immagina di partecipare, attraverso il vetro, al pranzo luculliano che ha luogo a pochi centimetri da lui, ma a una distanza irraggiungibile.

Note positive ce ne sono, certamente: Mazinga e i suoi emuli hanno trasmesso a molti spettatori italiani alcuni sentimenti e valori, nonché un rinnovato senso del meraviglioso, che hanno dato sostanza a una vera e propria letteratura di formazione quasi totalmente nuova e autonoma rispetto a quelle del passato; anche le serie e i film tratti da storie occidentali contengono tanti e tali elementi di novità da configurarsi come opere in gran parte nuove, più moderne e universali (basti pensare alle differenze fra la Heidi del romanzo e quella dell’anime, come sapientemente spiegato già nel 1994 da Luca Raffaelli nel suo libro Le anime disegnate).
Mazinga Z in particolare, nonostante non sia affatto una serie eccellente sotto alcun aspetto se non, questo sì, la novità scenica e l’armamentario tecnologico (novità il cui impatto fu in Italia ridotto o forse annullato dalla trasmissione più tempestiva di Atlas Ufo Robot, che in realtà, come tutti sanno, in Giappone era stata creata dopo), ci disse che l’unione fa la forza, che la scienza non è né buona né cattiva ma che è l’uso che ne facciamo a determinare esiti positivi o negativi sul mondo, che per quanto il nemico sia forte dobbiamo e possiamo batterlo se siamo dalla parte della ragione.

La generazione di chi ama o ha amato Mazinga insomma, malgrado le frequenti tentazioni a guardarsi indietro e a crogiolarsi nei ricordi, è anche, o è, spero, soprattutto, quella di chi a dispetto delle difficoltà cerca e trova un lavoro, o se lo crea, e guarda avanti; quella di chi agisce onestamente e secondo coscienza; quella di chi crede nella cooperazione; quella di chi si sacrifica per sé e per gli altri; quella di chi tiene fede agli impegni. Per lo meno, è così che mi piace immaginare la porzione più bella di questa generazione, quella che, oltre ai genitori e ad altri adulti e modelli significativi, ha avuto come esempi anche quelli forniti da Mazinga, Goldrake e altri eroi giapponesi.

Se il fatto che esistano, in questa generazione che celebra Mazinga, persone buone e perbene, oneste e laboriose, corrisponde a verità, forse è anche per questo motivo che anniversari di questo tipo non fanno notizia, al di fuori del mondo degli appassionati e dei pochi operatori dell’informazione effettivamente arguti e in grado di leggere i fenomeni: l’eroe d’acciaio (anzi, per la precisione: di superlega z) che viene commemorato qui e altrove, su lidi simili a questo, è circondato e ricordato da persone essenzialmente sane, operose e produttive nonostante tutto, equilibrate (be’, la maggior parte, diciamo). Probabilmente non corrispondono agli identikit di altri tipi di “giovani” italiani che invece inneggiano all’odio razziale e vanno a pestare o ammazzare altre persone solo perché straniere, o si fanno scattare una fotografia sorridente di fronte al cadavere metallico riverso su un fianco del Concordia, o che sbottano a ridere se, passando con un amico di fronte una libreria, quello gli suggerisce che magari potrebbe acquistare un libro.

Se questa, se almeno questa, è una consolazione, allora consoliamoci e nel nostro piccolo, anche se per un’occasione per la verità molto poco solenne, “stringiamci a coorte”. Del resto c’è chi, in tempi non sospetti, disse “Viva Mazinga! Lasciamolo vedere ai bambini, tanto non sarà lui a farli rincretinire”. Ho la presunzione di pensare che non siamo diventati cretini; e se così fosse, sicuramente non per colpa di Mazinga. Il che mi pare già una ragione più che sufficiente per celebrarlo, quarant’anni dopo.

 

OMAGGI A MAZINGA Z

Federica Manfredi
Federica Manfredi (clicca per ingrandire)
Andrea Accardi
Andrea Accardi (clicca per ingrandire)
4 Commenti

4 Comments

  1. micheles

    31 Marzo 2012 a 08:38

    Occhio che Mazinga Z non e’ stato preceduto nel nostro paese di un solo mese dal Grande Mazinga: secondo l’Encirobotpedia il Grande Mazinga e’ uscito nel maggio 1979, quindi molto prima di Mazinga Z. Quando e’ uscito Mazinga Z avevamo gia’ visto integralmente sia il Grande Mazinga che Jeeg.

  2. Marco Pellitteri

    31 Marzo 2012 a 13:17

    Le fonti che io ho consultato negli anni dicono dicembre 1979 per il Grande Mazinga. Se esistono guide tv che mostrano chiaramente che fu trasmesso nel maggio 1979, sono lieto di aggiornare la cosa. Su Encirobotpedia c’è scritto che è stata reperita una guida tv che indica il maggio 1979 su Telelombardia, ma manca la scansione della pagina. Se qualcuno la fornisce ne sono lieto!
    Spero comunque, Micheles, che tu abbia apprezzato il resto dell’articolo e il suo messaggio.

  3. micheles

    31 Marzo 2012 a 19:35

    L’articolo e’ ottimo e sono anche d’accordo, segnalavo quel punto semplicemente perche’ io mi ricordo bene che il Grande Mazinga lo guardavo nella primavera del ’79, all’epoca ero alle elementari. Da me lo trasmettevano su Telemarca, rete regionale del Veneto, ma probabilmente negli stessi mesi veniva trasmesso in tutta Italia. TVpedia mi da’ come data di prima trasmissione il 6 maggio 1979:

  4. Marco Pellitteri

    2 Aprile 2012 a 15:10

    Ottimo, aggiorneremo le nostre datazioni! Tuttavia, credo ci sia bisogno di una scansione di una guida tv: su Tvpedia non l’ho trovata e la sola indicazione testuale non è condizione sufficiente per aggiornare la datazione, a mio avviso. Il semplice ricordo di una o più persone potrebbe essere fallace, per quanto in buona fede, dato che eravamo bambini e la memoria può a volte giocare degli scherzetti! :-)

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *