Classe 1991, Ida Vinella è una giornalista per passione e professione. Laureata con il massimo dei voti in Scienze dell’Informazione, nelle sue ricerche si impegna nell’analisi e nell’esplorazione delle nuove prospettive del web journalism e delle dinamiche dei social network. Da freelance lavora anche come addetta stampa, grafica e organizzatrice di piccoli eventi. Le sue grandi passioni sono il cinema, i fumetti, gli immaginari fantasy e la scrittura creativa di fantascienza. Dal 2010 è una cosplayer.
Nel 2015 il suo saggio Phénoménologie du Cosplay viene selezionato per essere pubblicato sulla rivista internazionale Les Cahiers Européens de l’Imaginaire in lingua francese, accompagnato dagli scatti del fotografo Mario “Vidigal” Sculco: il tema del volume, “Le Baroque”, viene associato al fenomeno del cosplay con uno sguardo inedito alla pratica, puntando l’attenzione non solo sulle dinamiche sociologiche, ma anche sull’immaginario estetico che avvolge la dialettica dei corpi.
Vi riproponiamo integralmente il testo del saggio, tradotto in italiano, e ringraziamo Ida Vinella per la sua disponibilità a pubblicare su Lo Spazio Bianco questo interessante studio su un’arte dalla chiara componente barocca.
Contaminazione che attraversa trasversalmente le culture tradizionali e postmoderne dall’Oriente all’Occidente, l’estetica del cosplay rappresenta una fenomenologia che, nata sulle solide basi del fandom, sublima il barocchismo letterario della maschera in una subcultura carnevalesca che è al contempo parallela e alternativa alla realtà quotidiana. Le infinite identità del cosplayer diventano vestimento e make-up estremo, fino a perdere di vista la propria originaria corporeità: si arriva così alla creazione e all’incarnazione di immaginari fantastici e onirici attraverso il corpo nella sua massima materialità, tuffandosi completamente nella definitiva sospensione dell’incredulità.
Dalla nicchia della cultura geek, figlia mezzosangue del manga giapponese e del fumetto supereroistico statunitense, emerge un fenomeno collettivo a metà strada tra il digitale e il neo-artigianale, tra le dinamiche dei social network e la riscoperta di un “fai da te” meticoloso e sorprendentemente magico. Nel saggio che segue, l’ottica sociologica e netnografica adottata per l’analisi del fenomeno permette di delineare la definizione essenziale dell’identità del cosplayer.
Be nice to each other, because everybody else always treats us like freaks
Nel 2012 questa frase, riportata sul magazine online statunitense Slate, fu pronunciata da uno dei tanti spettatori al panel intitolato “Sociology of Cosplay” durante il San Diego Comic-Con, mecca degli appassionati geek di tutto il mondo: era una delle prime occasioni in cui il cosplay veniva considerato in un’ottica sociologica e scientifica. Fu allora chiaro che questo fenomeno globale non poteva essere spiegato come la manifestazione estemporanea di chi segue una moda effimera (Vanzella 2005), ma acquisiva intorno a sé un sistema valoriale e sociale ben più sfaccettato.
Riduttivo è fermarsi alla dimensione del gioco, che qualifica la pratica sin dalla sua etimologia (costume + play). Nella distinzione sociologica tra paidia, il gioco libero non strutturato, fatto di fantasia e improvvisazione, e ludus, che ingloba regole di partecipazione e l’istituzionalizzazione delle norme condivise (Callois 1958), il cosplay incorpora peculiarità di entrambe le modalità di gioco, aggiungendo una fondamentale caratteristica – la performatività (Vanzella 2005) – che avvicina la pratica alla corporeità della dramatis personæ teatrale.
CREATIVITÀ 2.0
Tra le ragioni che hanno condotto all’espansione del fenomeno, prima fra tutti è sicuramente l’utilizzo di internet quale strumento di moderna socializzazione e di promozione personale. Soprattutto grazie a Facebook, che tra i social network è quello che più si distingue per la sua informalità e per l’immediatezza visiva delle interazioni, grazie al proliferare di fotografie e video amatoriali, è concessa a tutti la possibilità di creare pagine di autopromozione in cui esibire il proprio lavoro e la propria passione.
Una presenza costante in questi contesti di visibilità virtuale sono i WIP (acronimo di Work In Progress): simili nelle intenzioni ai numerosi video-tutorial che spopolano su YouTube, narrano i procedimenti per la realizzazione di manufatti e accessori, prove di make-up, progressi sartoriali, nell’ostentazione pubblica non solo del lavoro finito, ma anche della maestria nella realizzazione. L’orgoglio dei cos-maker – coloro che realizzano in prima persona i loro cosplay – è anche il riconoscimento del proprio talento di artigiani, armeggiando con la più ampia varietà di materie prime, a livello dilettantistico o professionale. L’uso creativo di materiali di recupero trascende l’immediatezza economica dell’acquisto e determina una dimensione estetica più complessa, nell’inedita combinazione di ingegneria e intuitività. Intagliatori, modellisti, esperti di sartoria e cartamodelli: il cosplay è esaltazione di un DIY di nuova generazione, che si svincola dalle motivazioni professionalizzanti per divenire pura celebrazione del talento personale e ricerca del pubblico riconoscimento.
LA PROSPETTIVA NETNOGRAFICA
Attraverso tecniche di osservazione diretta e non intrusiva delle conversazioni online, la rilevazione netnografica viene sempre più spesso utilizzata per analizzare fenomeni contemporanei legati al fandom e alle web tribes, facendo leva sugli stilemi dell’approccio antropologico della Consumer Culture Theory: per questi motivi si è facilmente prestata per una delle prime indagini sul mondo dei cosplayer nel contesto italiano.
Uno studio condotto dal Centro Studi di Etnografia Digitale nel 2011 ha messo in luce la relazione esistente tra la narrazione del sé dal punto di vista sociologico e i processi culturali appartenenti al mondo del cosplay nella rete (Giambitto 2011). Grazie all’applicazione delle metodologie netnografiche di osservazione partecipante delle interazioni online, sono stati individuati tre principali perni valoriali sui quali ruotano i discorsi dei partecipanti alla web tribe: il modo in cui è nata la passione per il cosplay, le motivazioni per le quali si è scelto di addentrarsi in questa attività e l’importanza della condivisione delle esperienze vissute.
Uno degli aspetti più interessanti emersi dalla ricerca è l’esistenza di un doppio movimento interno alla pratica: un dark side e un bright side.
Il bright side è un modello narrativo attraverso cui il cosplayer si narra come pienamente aderente all’estetica tribale dominante – spiega l’autrice della ricerca – il dark side è, invece, un modello attraverso cui il cosplayer narra ciò che non apprezza del mondo del cosplay e i motivi per cui potrebbe arrivare addirittura ad evadere e abbandonare il gruppo tribale.
LO SPAZIO ETEROTOPICO DEL COSPLAY
Attraverso le infinite narrazioni del Sé, questa complessa fenomenologia propone una matrice tanto individualistica quanto collettiva. Per un cosplayer travestirsi non vuol dire soltanto rappresentare un personaggio, ma anche analizzarne la personalità, riprodurne le movenze e indossarne l’identità accrescendo così la propria, entrando in contatto con coloro che condividono la stessa passione. Creatività e sacrificio, esibizionismo e un’attitudine non-commerciale sono le caratteristiche delle dinamiche di gruppo di questa estetica, in cui la genuinità delle relazioni si contrappone all’esasperazione della competizione, che è sfida verso gli altri e verso sé stessi.
Il cosplay non è omologabile alla tradizionale maschera. Le pratiche del travestitismo e la carnevalizzazione dei dispositivi identitari comportano l’annullamento del corpo, mascherato da parrucche e make-up estremi, ma anche l’esasperata esaltazione di una identità accresciuta che focalizza l’attenzione del pubblico sul corpo del cosplayer e sulla continuità tra corpo e abito, fino alla creazione di un vero e proprio cyborg che miscela i lineamenti corporei e l’evocazione dei personaggi immaginari. La differenza tra la maschera e il costume è che il costume preserva, seppur alterata, l’identità che la maschera invece elimina completamente (Vanzella 2005): perciò, amplificando gli stilemi del costuming, si può parlare di un’identità aumentata in cui il Sé fisico viene avviluppato al Sé digitale a tal punto che la distinzione tra i due non è più possibile (Giambitto 2011).
Si giunge così alla creazione non solo di un Sé altro, ma anche di uno spazio altro, alimentato dalle tattiche centrifughe del quotidiano (Michel de Certeau 1990), in cui evocare questi mondi possibili: qui si realizza l’istanza collettiva e offline della pratica del cosplay, nei luoghi che ospitano feste e raduni, concretizzando la massima condivisione di questa passione attraverso l’incontro e la fotografia. Prendendo in prestito una definizione di Michel Foucault, si può parlare di eterotopia del cosplay, per indicare quegli spazi che hanno la capacità di sovvertire le pratiche quotidiane e generare contro-luoghi reali dotati di norme e valori, in opposizione alle utopie, che sono ideali non realizzati.
Nonostante la crescente vitalità del fenomeno, è comunque ancora difficile fornire una configurazione sociologicamente definitiva del cosplay: che sia una pratica di svago simile a tante altre, o sia l’emergente escrescenza di una realtà sub-culturale vasta e di caratura mondiale, è la risposta che si dovrà ricercare accostandosi a questa praxis senza i pregiudizi che, nell’opinione pubblica di massa, ancora relegano il mondo della nona arte, dei videogame e della letteratura di genere al mondo della futilità, come protuberanze di un’infantilità allungata, e che sottovalutano l’esponenziale valore creativo di questa differente quotidianità.
BIBLIOGRAFIA
Bolling B., Smith M. J., It Happens at Comic-Con: Ethnographic Essays on a Pop Culture Phenomenon, McFarland, 2014.
Callois R., I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 1963.
de Certeau, M., L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2005.
Foucault M. (1994), Eterotopia. Luoghi e non-luoghi metropolitani, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni (MI) 2005.
Giambitto E., Le rappresentazioni culturali dei cosplayer. Nuovi mondi possibili e identità accresciute, URL: www.etnografiadigitale.it/wp-content/uploads/2011/10/Cosplay__Ricerca1.pdf
Vanzella L., Cosplay Culture: fenomenologia dei costume players italiani, Tunuè, Latina 2005.
Filoberto
21 Luglio 2015 a 16:38
Non sono addentro al fenomeno, dieverse domande mi confondono!
Il cosplay non mette in scena una narrazione, di tipo dinamico, che distrarrebbero dalla propria immagine, ma una rappresentazione iconica, di tipo statico.
Non è a prima vista un atteggiamento passivo, ma decisamente attivo.
Quanto è mediato? O cosa viene mediato?
Si tratta di un sé-non sé, in cui si nega sé stessi e la propria provenienza, o di un sé-altro da sé?
Si diventa spettatori di sé?
Bho!?
la redazione
21 Luglio 2015 a 18:06
A queste e altre domande cerchiamo di rispondere nella nostra rubrica C for Cosplay, nella quale intervistiamo chi vive attivamente questo fenomeno, sperando che serva a risolvere dubbi come i tuoi che, sicuramente, non sono certo rari tra gli “altri” appassionati di fumetti. Tra fiere che non aiutano la convivenza, scarti generazionali e fraintendimenti, vorremmo cercare di avvicinare due mondi che nascono dalle stesse passioni perché si conoscano meglio.
Qui trovi le interviste fatte finora: https://www.lospaziobianco.it/categoria/rubriche/c-for-cosplay/
E qui qualche parola in più su come è nata la rubrica: https://www.lospaziobianco.it/146243-cforcosplay
Speriamo, piano piano, di aiutarti a sciogliere questi dubbi! :)