“Fatherland”, l’autobiografia di Nina Bunjevac

“Fatherland”, l’autobiografia di Nina Bunjevac

In un’opera densa di significati, Nina Bunjevac racconta la storia di suo padre e della sua famiglia, sullo sfondo delle vicende politiche dell’Ex-Jugoslavia.

A un anno e mezzo dalla sua pubblicazione statunitense esce in Italia, in un elegante cartonato per Rizzoli Lizard, Fatherland. Educazione di un terrorista di Nina Bunjevac. Alcune considerazioni preliminari derivano già dal titolo: Fatherland, che in italiano si traduce con patria, è qui letteralmente la terra del padre, essendo proprio il genitore dell’autrice il fulcro di questo racconto.
Il sottotitolo scelto in traduzione, invece, porta l’attenzione su un dettaglio intrigante: chi sarà il terrorista? Come dovremo porci moralmente nei suoi confronti? Lo si scopre per certo nel corso del romanzo, ma se leggiamo il sottotitolo originale, “A family history”, ci rendiamo conto che l’interesse dell’autrice serbo-canadese appare di altra natura.

pagine-da-fatherland-bassa-2_fotorIn Fatherland la biografia di Peter Bunjevac, padre di Nina, diventa il pretesto, o meglio, la base sulla quale innestare gli eventi familiari che hanno segnato la vita dell’autrice, sullo sfondo delle vicende storiche legate alla tanto tormentata ex Jugoslavia. Il padre, la famiglia e la patria sono, dunque, tre protagonisti indissolubilmente legati, segnati da una tragedia pervasiva che risale a molto prima dei fatti narrati e che a questi sopravvive. Non c’è felicità in Fatherland, non un accenno di sorriso, poiché il drammatico passato dei Bunjevac non pare ancora completamente passato, e la paura, l’angoscia provate tanti anni prima continuano a manifestarsi nel presente.

A Toronto, mentre sta disegnando, Nina riceve la visita di sua madre: l’incontro apre le porte a un flusso di ricordi che la rimanda indietro di trentasette anni, quando proprio quest’ultima, stanca del radicalismo politico del marito e preoccupata per l’incolumità dei figli, decide di tornare in Jugoslavia, la sua madrepatria. A soli due anni, Nina si ritrova divisa tra il comunismo pro-titino della famiglia materna e il nazionalismo filo-monarchico del padre serbo, di cui apprende la notizia della morte nel 1977. È a questo punto che l’autrice inizia la cronistoria di Peter Bunjevac, e ne ricostruisce l’albero genealogico, l’infanzia e poi la maturità, fino alla scomparsa.

Attraverso questi ricordi, alcuni propri, alcuni riportati, Nina fa rivivere un padre che non ha mai conosciuto davvero ma che è chiaramente interessata a comprendere, un uomo non particolarmente simpatico, segnato da vicende familiari e politiche che l’hanno reso violento. Ma allo stesso modo, e con la stessa intensità, dipinge la figura di una madre coraggiosa e indipendente, una donna quasi granitica, che forse solo ora Nina comincia a capire.

A una narrazione densa di fatti e greve di sentimenti accennati si accompagna uno stile grafico marcato, scelto volontariamente per trasmettere un senso di pesantezza, immobilità e costrizione. Le strategie messe in pratica dalla Bunjevac sono ben riconoscibili e coerenti in tutta la graphic novel.
In primo luogo, l’uso del bianco e nero, che di per sé non è affatto raro nei fumetti, assume in Fatherland alcuni tratti peculiari: l’estesa presenza di pagine o di forme completamente nere contribuisce ad assorbire non solo la luce esteriore, ma lo sguardo stesso del lettore, i cui pensieri quasi si annullano nel nero totale delle vignette. Perfino il bianco dei corpi e dei paesaggi è definito e circoscritto da una pesante linea di contorno che accentua il senso di oppressione.

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Similmente, anche il chiaroscuro è ottenuto attraverso una tecnica pervasiva e insistente come il tratteggio incrociato. Per quanto riguarda la resa dei corpi, al tratto più stilizzato dei piani interi si sostituisce la cura del dettaglio dei primi piani, estremamente realistici e quasi paragonabili a ritratti dal vero. Questi volti, così evocativi, di persone realmente esistite da una parte rendono la storia molto personale, ma dall’altro impediscono al lettore di immedesimarsi completamente.
I personaggi della Bunjevac, soffusi di una costante tristezza, presentano il massimo livello di individualizzazione e il minimo di tipizzazione, e proprio a causa della fredda oggettività della narrazione e del realismo del tratto grafico è difficile empatizzare con loro.

Alla luce di queste ultime considerazioni, risulta interessante analizzare le pagine finali del romanzo, perché paiono sovvertire l’andamento consolidato nella parte precedente.

In primo luogo, l’ultima sequenza accoglie su di sé il peso emozionale dell’intera opera attraverso un intenso lirismo grafico che nulla ha a che fare con quanto visto finora. Esaurita la descrizione dell’infanzia e della maturità del padre, ovvero dell’educazione alla vita da terrorista, il romanzo torna sulle immagini – già proposte in apertura – della partenza di Nina, sua sorella e sua madre verso la Jugoslavia, casa dei parenti materni, mentre il fratellino Petey e il padre rimangono in Canada.
Con una rapida progressione di immagini, che riassume in poche pagine gli avvenimenti di due anni, la Bunjevac mostra le dinamiche che hanno portato alla morte di Peter, vittima di un attentato. La prima persona a essere informata del tragico evento, telefonicamente, è Mara, zia di Peter e unica figura genitoriale rimastagli al mondo.

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Già nei capitoli precedenti l’autrice si era soffermata sul legame affettivo che univa zia e nipote, ed è proprio sulle note di questo sentimento puro e sincero che decide di chiudere Fatherland.
La scena in questione è realizzata attraverso quattro vignette di taglio simile, in cui vediamo Mara accasciarsi pian piano sulla sedia, schiacciata dal dolore, mentre nella graphic novel si realizza il passaggio dalla cronistoria alla poesia.
Le immagini si fanno bidimensionali, il tratteggio incrociato, i volumi pieni e pesanti e i volti dettagliati lasciano il posto alla purezza dell’espressione, alla simmetria e alla complementarietà dello yin e dello yang. Le metafore acquistano materialità: Mara, ridotta a una silhouette nera, si staglia sul bianco abbacinante della pagina mentre viene letteralmente risucchiata in un buco nero che, a poco a poco, la fa sparire.

Possiamo concepire quest’immagine come la rappresentazione del viaggio compiuto dalla sua anima: toccato il fondo del suo dolore, Mara arriva in un sorta di limbo, in cui le silhouette sono bianche e lo sfondo è nero. Il buco nero che l’ha risucchiata si staglia ora sopra di lei, bianco su nero, e da quel passaggio dalle connotazioni divine, inizia a calare la silhouette di un bambino con le orecchie a sventola, Peter, che si congiunge in un abbraccio con la zia. Le figure sono indistinguibili ormai, i loro profili bianchi galleggiano intoccati al centro di una pagina nera, metafora della luce nel buio degli eventi, ma anche del ricordo imperituro nel cuore di Mara.

L’immagine immediatamente successiva, con cui si chiude il romanzo, è quella di un uccello nero appollaiato sul davanzale di una finestra. Solitamente simbolo di libertà o di nucleo familiare, questo animale assume qui un significato più profondo. All’inizio dell’opera la Bunjevac si rappresenta nell’atto di disegnare un nido mentre un documentario in televisione sta dicendo: «i pulcini affamati implorano il cibo e sono a loro volta puniti dai genitori… alla fine smetteranno di supplicare e moriranno di fame. Di una covata di nove pulcini, solo due sopravvivranno all’età adulta».
Si potrebbe dire, dunque, che l’uccello nero dell’ultima pagina rappresenta Peter Bunjevac, che ha vissuto una vita a metà, separato dalla madrepatria, distante dai figli, temuto dalla moglie, odiato dai parenti di lei e infine ucciso troppo presto.
Se Peter è uno dei tanti pulcini che non sopravvive, Nina rappresenta invece la minoranza che si salva, perché non smette di supplicare, non smette di ricordare e, dopo tanti anni, pubblica la storia della sua vita, affinché i defunti continuino a vivere nella memoria non solo familiare, ma collettiva.

Abbiamo parlato di:
Fatherland. Educazione di un terrorista.
Nina Bunjevac
Traduzione di Massimo Gardella
Rizzoli Lizard, ottobre 2016
160 pagine, cartonato cucito, bianco e nero, – € 22,00
ISBN: 978-8817089074

2 Commenti

1 Commento

  1. Biljana

    29 Novembre 2016 a 00:15

    Storie che capitano quando nasci nella fatherland “sbagliata”. Bella e utile la tua recensione. Brava Sara! E grazie.

    • Sara Dallavalle

      3 Febbraio 2017 a 17:27

      Per me è stata una lettura molto interessante, di quelle che si ricordano. Sono contenta che la recensione ti sia piaciuta. A presto!

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