Il 1937 fu un anno fondamentale nella vita professionale di Walter Elias Disney: innanzitutto esordì Biancaneve e i sette nani, primo lungometraggio d’animazione americano, la cosiddetta “follia di Disney” per le proporzioni e l’innovazione formale, estetica e narrativa che il film portava con sé, una scommessa tutt’altro che scontata ma che nel 1938 mostrò di essere stata pienamente vinta dal cineasta.
In quell’anno Walt aveva però anche in mente il fermo proposito di rivitalizzare Mickey Mouse: la sua amata creatura, che gli consentì di ricominciare dopo che il precedente personaggio da lui creato – Oswald il coniglio fortunato – gli venne sostanzialmente “scippato” dal produttore per cui lavorava, era certamente considerato la stella del giovane impero disneyano ma al contempo era offuscato da altre figure – Donald Duck in primis – capaci di intercettare ancor meglio le preferenze del pubblico.
Disney sentiva di dovere molto a Topolino, motivo per cui cercò una strada per rilanciarlo in grande stile: l’idea era di farlo recitare come protagonista all’interno di un nuovo cortometraggio musicale, sulle note del poema sinfonico di Paul Dukas L’apprendista stregone con la musica diretta nientemeno che da Leopold Stokowski, all’epoca uno dei più celebri direttori d’orchestra al mondo.
Da cosa nasce cosa e nel giro di tre anni il progetto crebbe a dismisura, allargandosi rispetto all’idea e agli intenti iniziali verso confini visionari e così avanti nel tempo da non essere più raggiunti in futuro: nel 1940 uscì Fantasia, lo “spettacolo assoluto”.
The concert feature – La Fantasia di Walt Disney parla proprio di quei tre anni di lavoro: Mario Petillo – scrittore e comunicatore qui al suo esordio come sceneggiatore di fumetti – decide di impostare una sorta di biopic su carta per raccontare quella che riteneva essere una storia molto forte ma anche poco nota ai più, la genesi di uno dei capolavori riconosciuti del cinema.
Compie tale percorso in maniera ordinata e minuziosa, partendo dalla prima, embrionale idea che diede vita a tutto per mostrare poi le difficoltà incontrate durante la lavorazione.
Nel farlo sceglie di non nascondere le tensioni umane che sorsero in questo contesto: è molto realistico in particolare il rapporto che l’autore mette in scena tra Walt e il fratello Roy, che doveva occuparsi di gestire i conti e sempre alle prese con un genio che mal sopportava di vedersi mettere dei limiti e di sentirsi dire che certe scelte comportavano costi eccessivi.
In tal senso risulta molto toccante e ben gestito, senza peccare in retorica, il passaggio sulla morte della loro madre, che fa emergere in maniera particolarmente sofferta le differenze tra i fratelli Disney.
Un punto molto interessante su cui vuole concentrarsi Petillo si riassume in questo pensiero di Walt, che ritorna a mò di tormentone a più riprese:
Non si tratta più di cartoni animati.
Lo sceneggiatore usa questo mantra per farci intuire come ad un certo punto, per una serie di convergenze – una frase un po’ tranchant del suo distributore, un’obiezione di Roy, una spintarella di incoraggiamento da Leopold Stokowski – scattò qualcosa nella mente dell’autore, che capì di voler osare ancora di più. Il “mago di Burbank” ambiva a creare qualcosa che travalicasse i generi e i linguaggi, e riteneva di avere le competenze e gli artisti per farlo. Un ragionamento che avrebbe presto portato a trasformare L’apprendista stregone in un pezzo di qualcosa di più grande, il sogno di portare sul grande schermo musica che si potesse vedere.
Quello che emerge particolarmente dalla sceneggiatura di Mario Petillo non è solo la grande conoscenza della materia di cui parla, ma anche la profonda empatia che mostra di avere verso il protagonista del suo racconto.
Il suo Walt Disney è un uomo fallibile e non privo di difetti: certo, il tono del racconto rimane sempre ed evidentemente dalla sua parte e, nei confronti dialettici che affronta, il lettore si trova sempre istintivamente a parteggiare per lui e non per l’interlocutore, ma questo avviene senza nascondere le debolezze, i vizi e i timori che lo accompagnavano.
Differentemente da Saving Mr. Banks – il film prodotto dagli stessi Disney Studios nel 2013 che narrava la realizzazione del lungometraggio a scrittura mista Mary Poppins e che vedeva Tom Hanks nei panni del cineasta americano – in questo caso non ci sono ritrosie nel mostrare entrambe le facce della medaglia, restituendoci così prima di tutto l’uomo e solo dopo il genio.
Un approccio apprezzabile e che detta il tono del graphic novel, non togliendo un’oncia alla personalità del protagonista che dimostra di poter reggere benissimo, col suo carisma, l’intero impianto narrativo.
Il Walt Disney di Petillo è una sorta di eroe quasi tragico nel suo essere un sognatore contro tutto e contro tutti, caratterizzazione che si connette bene con la necessità di romanzare una storia vera e che fornisce un ulteriore, nuovo tassello per conoscere una persona su cui nel corso dei decenni si è detto tutto e il contrario di tutto.
Ci sono comunque alcuni inciampi: in certi passaggi il ritmo narrativo rallenta e sembra faticare, e altri momenti risultano un po’ noiosi nel modo in cui vengono descritti.
Anche la scrittura di alcuni dialoghi appare a tratti un po’ ingessata, mancando di fluidità e risultando quindi a volte poco spontanei e credibili.
Inoltre, si fatica a entrare in contatto con gli altri personaggi del cast: gli uomini dello staff di Disney, che hanno veramente contribuito alla storia del cinema d’animazione, compaiono nella storia ma risultano sacrificati, senza avere modo di spiccare o incidere nella mente del lettore. Al di fuori di Walt, Roy e Stokowski, i comprimari risultano infatti piuttosto indistinti e a poco servono le didascalie che li identificano al loro ingresso in scena.
Ma nel complesso il lavoro di Petillo si presenta puntuale, appassionato e capace di coinvolgere il lettore, trasmettendogli quel trasporto che lui stesso prova per questi argomenti.
Il grande neo dell’opera risiede soprattutto nei disegni di Giorgia De Salvo. La giovane artista confeziona un lavoro che nel complesso non convince: l’aspetto dei personaggi appare plasticoso, quasi finto o irrealistico. Il tratto cartoonesco in questo caso non viene gestito nel migliore dei modi, mancando di personalità e risultando così freddo e poco dinamico. Giusto in alcuni primi piani tali difetti si attenuano, in particolare per i volti di Walt Disney e di Leopold Stokowski che in talune circostanze sono dettagliati e curati; in generale però i personaggi non spiccano, in particolare nelle fisicità rigide che li rendono delle figure dai movimenti limitati.
Anche la recitazione difetta di movimento e spontaneità, i soggetti che popolano le vignette sembrano farlo in modo innaturale e automatico, compromettendo in tal modo parte del coinvolgimento del lettore nella storia.
Non va meglio con le ambientazioni: gli interni, che costituiscono gli sfondi principali in una vicenda che si svolge quasi tutta tra gli uffici Disney e gli studi di registrazione, sono spesso spogli o arredati in maniera asettica, illustrati in maniera fin troppo bidimensionale e semplice.
Tutto ciò, unito ad almeno un paio di passaggi nei quali le proporzioni diventano strane perdendo di coerenza e alla colorazione di Patrizia Cocco, che offre soluzioni cromatiche fin troppo elementari e risulta eccessivamente calcata e accesa, al punto da accentuare le problematiche evidenziate, porta a un lavoro poco riuscito dal punto di vista estetico.
Si fa però notare positivamente la costruzione della griglia: varie tavole sono infatti graziate da una composizione fantasiosa e fresca, con diverse idee interessanti e ben gestite.
Dalle vignette disposte a ventaglio a tagli e dimensioni particolari dei riquadri, da inserti che si incastonano su quadruple o splash page a evocative illustrazioni che occupano due pagine contigue, sono molte le strutture inconsuete che aiutano il racconto per immagini a procedere.
Bello infine il modo in cui le volute di fumo che escono dalle sigarette di Walt Disney costituiscano una sorta di “spirito” avvolgente in grado di accogliere e accompagnare le idee dell’uomo. Un concetto molto disneyano e reso graficamente piuttosto bene.
The concert feature – La Fantasia di Walt Disney è un’opera molto valida per le informazioni contenute, veicolate in maniera scorrevole e all’interno di una narrazione generalmente valida, al netto di qualche aspetto migliorabile, ma compromessa nella sua riuscita complessiva da disegni poco convincenti.
Abbiamo parlato di:
The concert feature – La Fantasia di Walt Disney
Mario Petillo, Giorgia De Salvo, Patrizia Cocco
Poliniani Editore, 2022
106 pagine, brossurato, colori – 15,00 €
ISBN: 9788832118650