Quanti modi ci sono di raccontare una storia? è più importante la forma o il contenuto? E in quanti modi possono interagire queste due componenti? Il fumettista americano Matt Madden cerca di dare una risposta a tutte queste domande. Anzi, per meglio dire, piuttosto che cercare una unica risposta efficace e completa, l’autore mira a suggerire svariate riflessioni in merito alla stessa. La storia proposta si sviluppa soltanto su una tavola: in questa è rappresentata una probabile simulazione autobiografica nella quale un uomo, si alza dal suo tavolo di lavoro abbandonando il computer, risponde a una domanda che gli pone la moglie, apre il frigorifero e infine si interroga su cosa stava cercando prima di distrarsi.
Questa breve sequenza viene riproposta novantanove volte, e ogni tavola è, allo stesso tempo, uguale e diversa a quella che la precede e quella che la segue.
Le variazioni si sviluppano su diversi livelli che possono essere lo spazio o il tempo della narrazione, ma anche la ricerca di nuovi punti di vista e nuovi modi di raccontare. In più gli elementi disegnati sulla tavola sono talvolta aggiunti, moltiplicati o tolti se non addirittura ingranditi o rimpiccioliti, sempre arbitrariamente. Il lavoro di ricerca realizzato da Madden non si limita a esporre diverse ipotesi narrative e varie cifre stilistiche, ma opera in taluni casi degli espliciti omaggi ad alcuni autori come Winsor McCay o Jack Kirby, o riferimenti ad alcune specifiche correnti storiche e artistiche che hanno influenzato la storia del fumetto, citando i fumetti antropomorfi, i comics da brivido della EC e addirittura il fotoromanzo. Il tutto senza trascurare fumetti provenienti da culture diverse come i manga o i generi più popolari quali la fantascienza, il western, il supereroistico e tanti altri. Come se non bastasse sono sparsi per il volume pure esercizi sperimentali, talvolta al limite del non senso, come ad esempio “il palindromo”, “la cartina” e “il digitale”.
In questa maniera l’artista amplia con estremo acume la prospettiva della domanda iniziale, che non è più solo: come sarebbe questa storia se…? Ma diventa anche: come sarebbe stata questa storia se…? Nell’intraprendere tale iniziativa l’autore non manifesta solo la sua ammirazione per i grandi del passato, ma dimostra una grande elasticità mentale oltre a una naturale e approfondita conoscenza degli altri autori e delle tematiche che hanno fatto progredire la nona arte in particolare, ma anche tutte le narrazioni per immagini in generale.
Matt Madden è ancora poco noto nel nostro paese, di lui è stata stampata solo la singolare graphic-novel Alla deriva edita sempre dalla BlackVelvet. Matt si occupa di fumetto da più punti di vista, oltre che come autore anche come critico, illustratore e insegnante nella prestigiosa School of Visual Art di New York e nell’ancora più celebre università di Yale. Chiaramente questa opera è ispirata al libro omonimo di Raymond Queneau, al quale peraltro è dedicata. è opportuno ricordare che sempre lo stesso libro aveva ispirato anche Lewis Trondheim.
Nondimeno è opportuno considerare che il lavoro dei due autori è tanto simile negli intenti quanto difforme nella sostanza, ovviamente a causa del diverso mezzo che hanno scelto per esprimersi. Se da un lato il romanziere francese è alle prese, per esempio, con molte delle figure retoriche tipiche della linguistica come metafore e litoti, ovviamente il fumettista americano non può usarle o almeno non nello stesso modo. Dall’altro lato, Madden si troverà a variare sovente solo lo stile del disegno all’interno della storia, cosa naturalmente impossibile da fare per Queneau. Non è tautologico sottolineare tali analogie perché nel libro di Queneau lo stile e il contenuto finiscono praticamente per appiattirsi l’uno sull’altro: è appunto lo stile, e solo lo stile, a cambiare. Il fumetto di Madden, dal momento che deve agire su due codici complementari ma giustapposti, cioé la scrittura e il disegno, ha molte più possibilità di variare. Ma guai pero’ a identificare la sostanza dell’opera con la sceneggiatura e la forma col disegno, il confine fra le due viene mostrato molto più labile di quello che si crede comunemente. Alle volte è solo il disegno a mutare, ma altre volte è proprio il disegno a trascinare dietro di sé un pezzo del testo, per meglio potersi contestualizzare.
Probabilmente il lettore più smaliziato all’inizio può manifestare scetticismo sul fatto che i novantanove modi di raccontare la storia siano tutti quanti convincenti e interessanti, ma se ci si lascia rapire dal meccanismo e si entra nella logica che sorregge il marchingegno costruito da Madden, allora è proprio il lettore che amplia l’opera nella sua mente arrivando a immaginare una serie infinita di esercizi. Pero’ il senso dell’opera non è racchiuso nel concetto che ogni storia a fumetti si può narrare in un’infinità di modi. O almeno non è solo questo. Non è pertinente nemmeno vedere l’autore come un demiurgo che agisce sulla materia e forma nuovi concetti e nuovi contenuti. Anzi, è proprio sulla distruzione di queste schematizzazioni che si basa il libro. Questa chiave interpretativa ce la fornisce lo stesso Madden nella prefazione, dove la stessa tavola originaria, il cosiddetto modello, è esaminata: perché si deciso di svilupparla in otto vignette? Quali sono le ragioni che determinano il taglio e la prospettiva di una vignetta piuttosto che di un’altra?
A questo punto dovrebbe essere chiaro che per l’autore americano ogni scelta stilistica è, di fatto, parte integrante della storia. In altri termini, viene qui proposta una teoria audace quanto brillante, cioé il superamento dell’eterna contrapposizione fra forma e contenuto, in favore di uno schema diverso, probabilmente più adatto ai tempi, che preveda la forma come contenuto.
Il pericolo può essere la nascita di un nuovo manierismo, ma d’altronde sarebbe comunque preferibile a un appiattimento generale dello stile. E in ultimo se non ci pensano gli autori di fumetti a sperimentare e cercare nuove vie artistiche e di comunicazione per la nona arte, chi dovrebbe farlo?
Una menzione particolare merita la casa editrice BlackVelvet che ha avuto il coraggio di proporre in italiano un’opera così ardita e anomala. Insomma una lettura consigliata a tutti gli amanti e gli studiosi di fumetto.
Riferimenti:
BalckVelvet: www.blackvelveteditrice.com
Recensione del libro a fumetti di Trondheim: Monolinguisti e altri esercizi di stile