Con La neve di Stalingrado Editoriale Cosmo chiude la miniserie Un eroe una battaglia, che con i quattro titoli usciti in edicola a cadenza mensile, a partire dall’ottobre 2017 (Le nebbie di Caporetto, La pioggia di Alesia, Il sole di Austerliz e appunto questo La neve di Stalingrado) ha tentato di omaggiare e rivitalizzare la tradizione del fumetto bellico – per lo più diffuso negli anni Cinquanta e Sessanta.
Al fine divulgativo della collana si affianca certamente la volontà di recuperare il concetto di guerra come potente metafora di vita e palcoscenico sul quale mostrare la più varia umanità, immersa in differenti contesti storici.
Nonostante ciascun albo sia stato realizzato partendo da una buona documentazione storica da parte dei diversi autori, Un eroe una battaglia rimane un prodotto poco longevo, e non per mancanza di accuratezza storica, ma perché più probabilmente vittima di una retorica sugli orrori della guerra, dai quali è sempre l’intera umanità a uscire sconfitta, che risulta ormai ampiamente utilizzata in letteratura, nel fumetto come anche nel cinema.
Il contesto storico
Ne La neve di Stalingrado, Davide La Rosa, cui è affidata la sceneggiatura, si è cimentato in un accurato lavoro di ricerca storica che ha riguardato le fasi salienti della battaglia di Stalingrado, in particolare la vicenda – pur parzialmente romanzata – della “Casa di Pavlov”.
L’azione si svolge nel contesto dei combattimenti della Seconda guerra mondiale che tra l’estate del 1942 e il 2 febbraio 1943 videro i soldati dell’Armata Rossa opporsi all’offensiva delle truppe tedesche, italiane, rumene e ungheresi, per il controllo della regione fra il Don e il Volga, e in particolare della città di Stalingrado (oggi Volgograd), ai tempi centro politico ed economico di importanza strategica.
Siamo sul fronte orientale, nel pieno dell’Operazione Barbarossa, ritenuta dagli storici la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi. La battaglia di Stalingrado ebbe inizio con l’avanzata delle truppe dell’Asse fino al Don e al Volga, e terminò con l’annientamento della 6ª Armata tedesca rimasta circondata, segnando la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista, nonché l’inizio dell’avanzata sovietica verso ovest, che sarebbe poi terminata con la battaglia di Berlino e il suicidio di Hitler.
Durante la battaglia un ruolo cruciale lo ebbe la cosiddetta “Casa di Pavlov”, un edificio fortificato affacciato su Piazza 9 gennaio, che si trovava in una posizione strategica che offriva ai difensori un chilometro di visuale verso i quattro punti cardinali lungo le quattro strade che convergevano sulla piazza. Il 22 settembre 1942, a un fu ordinato di conquistare l’edificio e di tenerlo.
I tedeschi continuarono ad attaccare senza successo l’edificio – segnato sulle loro mappe come “fortezza” – fino al 25 novembre, data in cui i difensori e i civili che avevano continuato a vivere nell’edificio vennero liberati dal contrattacco sovietico.
La Casa di Pavlov ha assunto negli anni una valenza fortemente simbolica per i russi, come segnale dell’ostinata resistenza dell’URSS durante la battaglia di Stalingrado e la Grande Guerra Patriottica più in generale.
Il cuore del racconto
Gli avvenimenti della Casa di Pavlov e le fasi finali della battaglia di Stalingrado sono il cuore del fumetto di La Rosa, disegnato in un intenso bianco e nero – pur non scevro da alcune imperfezioni – da Valerio Befani.
La sceneggiatura abbraccia l’intero arco temporale che ha interessato Stalingrado durante il suo assedio, ma si concede alcune libertà narrative funzionali a una migliore presa anche emotiva sul lettore.
Non sfugge all’occhio più attento, infatti, l’aver preso come spunto una celebre fotografia scattata da Emmanuil Evzerikhin presso la fontana Barmaley (ufficialmente nota come Bambini di Khorovod), che contrapponeva alla carneficina causata dalla battaglia di Stalingrado l’immagine dei bambini che danzano tenendosi per mano intorno a un coccodrillo.
In basso a destra nella foto si può notare la piccola scultura di una rana, che l’autore comasco ha invece trasfigurato in un bambino di pochi mesi, un “figlio della guerra”, che gattona tra le macerie. A pagina 20 del fumetto, Befani stringe l’inquadratura sul neonato e La Rosa immagina venga salvato da una famiglia del luogo.
Ma l’invenzione narrativa più importante del racconto riguarda la figura di Irina, una dei civili rifugiati nella casa di Pavlov, che viene arruolata dal sergente e diventa così protagonista di questa storia. Caratteristica interessante del personaggio di Irina è che, pur mostrandosi come un’eroina impavida al limite della sfrontatezza, simbolo di una femminilità forte e fiera, non soverchia per importanza il ruolo focale che la Storia ha in questo fumetto, né appare come una presenza eccessivamente ingombrante, venendo lasciato ampio spazio ai personaggi storicamente vissuti, come Pavolv e il generale tedesco, poi promosso federmaresciallo, Friedrich Paulus.
Il ruolo di Irina è dunque quello di offrire al lettore un personaggio nel quale identificarsi, e che lo guidi verso un finale aperto quanto amaro.
La neve di Stalingrado apre infatti solo una finestra su un preciso episodio storico, e lascia consapevoli del fatto che la guerra non ha trovato conclusione in quel preciso momento; oltre a portare a un’ovvia riflessione sull’inutilità di quel conflitto bellico e di qualunque tipo di conflitto nella Storia. Sebbene la battaglia di Stalingrado abbia decretato un’importante disfatta tedesca, registrò milioni di morti da ambo le parti, tra militari e civili, facendo di una tale perdita di vite umane la sola vera sconfitta concepibile.
La narrazione dei fatti
Trattandosi di un fumetto di guerra, Davide La Rosa sceglie di dare all’azione un ritmo estremamente serrato, intervallato da momenti di stasi coincidenti con i dialoghi con cui l’autore si sofferma sia sulle strategie militari di ambedue gli schieramenti che sulle riflessioni dei militari impegnati nell’azione.
Le scene che mostrano i combattimenti sono dunque affidate da Befani a un tratto più veloce, meno dettagliato, che trasmette rapidità e concitazione. Grande cura ai particolari è presente invece in momenti di minor dinamismo, e tra questi spicca sicuramente la scena dell’ospedale, in cui russi e tedeschi si affrontano in una situazione di inevitabile supremazia dei primi.
Pur essendo frutto della fantasia dello sceneggiatore, il momento è carico di pathos – spezzato tuttavia da alcuni dialoghi in eccesso e dalla sequenza dell’amputazione della gamba che è ormai un must in quasi tutte le scene ambientate in un ospedale da campo – e appare assolutamente plausibile in un qualunque contesto bellico. Qui Befani ha caricato la tavola di ampie campiture nere e di una cura per i particolari, soprattutto nel disegnare i volti dei personaggi, che rendono il momento fortemente drammatico ancora più carico di peso emozionale.
Pur trattandosi di un’opera in cui è lasciato uno spazio più importante alle immagini piuttosto che alla parola, i dialoghi non mancano tuttavia di una certa retorica e le tavole rispettano una costruzione assai rigida anche là dove sarebbe stata preferibile qualche intuizione stilistica più audace.
Se escludiamo infatti la scelta – di certo non originale ma comunque efficace – di mostrare lo scorrere del tempo avvalendosi delle pagine del calendario che tagliano in due la tavola (in particolare una di queste si sofferma sulla significativa data del 25 dicembre 1942), la griglia entro cui Valerio Befani inserisce i suoi disegni non si discosta mai da una struttura di due massimo tre vignette per pagina, disposte orizzontalmente o con una vignetta superiore e due inferiori o viceversa, salvo cimentarsi in alcune splash page non tutte di particolare impatto visivo.
Per quanto nel complesso i disegni di Befani siano notevoli e ben si sposino con la drammaticità della tematica bellica, non mancano di presentare delle imprecisioni sul piano anatomico, come a pagina 62, dove il profilo di Paulus è deformato, o in alcuni casi in cui la fisionomia di Pavlov o l’attaccatura dei suoi capelli cambia di volta in volta.
In conclusione
In generale La neve di Stalingrado è una buona prova di sceneggiatura da parte di Davide La Rosa, che conosciamo meglio come autore umoristico e che probabilmente è ancora vincolato da alcune rigidità stilistiche che rendono questa lettura sì godibile ma non pienamente soddisfacente sul versante del realismo e della naturalezza dei dialoghi.
Pur nel rispetto della verità storica, e nel riuscito tentativo di conferire pari dignità e umanità ai diversi protagonisti, siano essi tedeschi o russi, i dialoghi risentono infatti di una certa mancanza di autenticità e di un buonismo fuori contesto che emerge con prepotenza nel finale, quando La Rosa fa pronunciare a tre donne che assistono alla cattura di Paulus, dopo un breve scambio di battute con il militare, le parole “Però, che dignità…” e “Non male per essere un porco fascista”.
Se infatti l’umanizzazione soprattutto della parte tedesca appare ben dosata per tutto il racconto, evitando di dipingere i soldati di Hitler come meri burattini agli ordini di un folle, ma come uomini in grado di comprendere l’ineluttabilità della propria sorte e riflettere sulle assurdità di una guerra così combattuta, in quello scambio finale viene meno tutta l’impalcatura di realismo sino a quel momento costruita.
I disegni di Valerio Befani sono infine un punto a favore di questo fumetto, soprattutto là dove si sofferma con cura sui dettagli e grazie a una inchiostrazione pastosa riesce a caricare di pathos delle tavole che nella loro struttura appaiono tuttavia troppo poco dinamiche, oltre che costrette in un formato tascabile filologicamente coerente con la tradizione del fumetto bellico, ma eccessivamente compatto e poco generoso nei confronti dei disegnatori.
Abbiamo parlato di:
La neve di Stalingrado
Davide La Rosa, Valerio Befani
Editoriale Cosmo, gennaio 2018
128 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,90 €
ISBN: 9788869114885