Emiliano Longobardi e la prima, decennale vita di Rusty Dogs

Emiliano Longobardi e la prima, decennale vita di Rusty Dogs

Rusty Dogs è stato un webcomic durato dieci anni che adesso il suo creatore, Emiliano Longobardi, ha racchiuso in un omnibus cartaceo dai molteplici significati. Di questi e dell’esperienza di vita della serie abbiamo parlato con lo sceneggiatore sardo.

Era l’inizio del 2015 quando, con Emiliano Longobardi, facemmo una lunghissima chiacchierata sulla sua creatura – il webcomic Rusty Dogs – e su tanti altri aspetti del fumetto. In quel periodo la serie era circa a metà del suo percorso, che si è concluso a inizio 2019 con la pubblicazione del cinquantesimo e conclusivo episodio. La fine dello stesso anno segna invece l’arrivo dell’omnibus cartaceo autoprodotto che raccoglie l’intera serie: un volume con più valenze di cui abbiamo parlato con il libraio sceneggiatore di Sassari.

Ben ritrovato su Lo Spazio Bianco, Emiliano.
L’omnibus cartaceo di Rusty Dogs ha una doppia valenza. La prima è di stampo prettamente narrativo: è un qualcosa di altro che si affianca al webcomic, che continua a restare on line a disposizione di tutti. La seconda invece è più personale: è il tuo modo per ringraziare i 50 disegnatori che ti hanno accompagnato in questa avventura. Premesso che l’intenzione della pubblicazione in volume c’è sempre stata da parte tua, ci parli di questa doppia scelta?
Partiamo dalla seconda che è quella che mi preme di più, innanzitutto citando i cinquanta disegnatori e il mini-staff che ha svolto il lavoro redazionale: ArmitanO, Elisabetta Barletta, Antonello Becciu, Michele Benevento, Giacomo Bevilacqua, Lelio Bonaccorso, Riccardo Burchielli, Giancarlo Caracuzzo, Raul Cestaro, Luca Claretti, Massimo Dall’Oglio, Davide De Cubellis, Andrea Del Campo, Werther Dell’Edera, Fabio Detullio, Fabrizio des Dorides, Michele Duch, Pasquale Frisenda, Andrea Gadaldi, Pier Gallo, Davide Garota, Gianfranco Giardina, Giulio Giordano, Giuliano Giunta, Emanuele Gizzi, Simone Guglielmini, Antonio Lucchi, Giuseppe Marinello, Alberto Massaggia, Francesco Mortarino, Guido Nieddu, Lorenzo Palloni, Giuseppe Palumbo, Davide Pascutti, Michele Petrucci, Rossano Piccioni, Giorgio Pontrelli, Maurizio Ribichini, Andrea Rossetto, Armando Rossi, Lorenzo Ruggiero, Antonio Sarchione, Daniele Serra, Marco Soldi, Cristiano Spadoni, Claudio Stassi, Joachim Tilloca, Riccardo Torti, Iacopo Vecchio, Walter Venturi e con loro Mauro Mura e Andrea Toscani. Il primo è la persona che per dieci anni mi ha affiancato occupandosi del lettering e della cura grafica ed ha anche realizzato la copertina del volume; il secondo è colui che a partire dal secondo episodio ha fatto da editor della serie. Tornando alla domanda, vorrei che il volume di Rusty Dogs e la sua vendita esprimessero innanzitutto simbolicamente la chiusura di un percorso che ha coinvolto tutti noi per un bel pezzo e il suo rilancio in una nuova forma, quindi, vorrei che testimoniasse contemporaneamente in maniera tangibile anche la sua dimensione in termini di professionalità. Però questi non sono gli unici aspetti rilevanti, dato che la pubblicazione del volume ha un ulteriore e fondamentale aspetto narrativo. Nel corso dei dieci anni di vita online, gli episodi di Rusty Dogs sono stati pubblicati così come mi arrivavano, perché per rispettare i tempi e i modi dei vari disegnatori non ho seguito l’ordine che avevo in mente. È vero che tutti gli episodi sono sempre stati impostati in maniera tale che potessero essere letti ognuno autonomamente, a prescindere da quello che precedeva o da quello che seguiva, però in Rusty Dogs è presente una trama orizzontale che secondo me si apprezza maggiormente così come li abbiamo pubblicati nel volume. Gli episodi sono stati tutti rimontati a eccezione del primo, del venticinquesimo e degli ultimi quattro, che hanno mantenuto l’ordine di pubblicazione originario: gli ultimi quattro in particolare sono quelli che in effetti chiudono gli aspetti fondamentali della trama orizzontale.  Leggendo Rusty Dogs in questa versione cartacea si dovrebbe apprezzare maggiormente il respiro del romanzo frammentato, da cui l’esergo che apre il volume, una  riflessione rubata allo scrittore britannico Jake Arnott: “il noir riflette la società come uno specchio rotto: riflette a pezzi perché è l’unico modo in cui si può descrivere la società, che non è una fotografia, ma molte cose insieme“.
Rusty Dogs è un webcomic ed è nato per essere webcomic seriale, composto da cinquanta storie brevi pubblicate sul blog omonimo e che ora prende anche forma cartacea, ma ci tengo a dire che è una forma che non gli è mai mancata. Gli editori che mi hanno contattato nel corso di questi anni non mi hanno mai proposto nulla di sufficientemente convincente e, di conseguenza, ho deciso di autoprodurlo.

Visto che li hai nominati, ci parli un po’ di più del ruolo e dell’importanza avuti da Mauro e Andrea in Rusty Dogs?
È chiaro che Rusty Dogs non sarebbe esistito se io non l’avessi ideato e scritto e se non avessi incontrato la disponibilità di cinquanta disegnatori a lavorare inizialmente a budget zero. Ma è un fatto altrettanto inoppugnabile che se non ci fosse stato il lavoro di redazione – senza considerare che il lettering è un aspetto espressivo e artistico fondamentale di un fumetto – di Mauro e di Andrea Rusty Dogs non sarebbe mai stato così. Anzi, senza Mauro non sarebbe neanche stato: è stato lui la prima persona che ho coinvolto e, se non avesse potuto partecipare, non sarei neanche partito con il progetto. E dico questo rispettando chiaramente il lavoro di tutti i disegnatori, dall’esordiente emergente al giovane professionista fino agli autori affermati con 10, 15, 20 anni di esperienza già alle spalle. Da questo punto di vista Rusty Dogs è stato orizzontalità pura: tutti valgono in quanto professionisti che hanno accettato di lavorare al progetto e a tutti indistintamente va la mia gratitudine per il lavoro e la dedizione di questi anni.

Il “brogliaccio di lavoro” di Longobardi su Rusty Dogs

Hai sempre dichiarato di non voler svelare ai lettori il file rouge che lega tra loro gli episodi di Rusty Dogs, tuttavia l’ordine in cui li troviamo nel volume in un certo modo evidenzia questo elemento comune tra tutte le storie, anche se non “imbocca” esplicitamente il lettore.
La versione cartacea è meno frantumata di quanto lo sia stata la pubblicazione on line. Detto questo, ragionando da lettore e non da autore – perché sono e presumo resterò per sempre un lettore – detesto gli autori che impongono come si devono fruire i propri lavori: sono dei piazzisti, non sono degli autori. Io voglio avere la libertà di leggere, non voglio una persona che mi indica come devo muovermi all’interno delle pagine, cosa devo cogliere e su cosa mi devo soffermare per ammirare la posa che si sta tirando l’autore. L’opera è una cosa separata dall’autore: questi è importante perché è colui che l’ha realizzata, ma nel momento in cui l’opera viene affidata a noi lettori, l’autore dovrebbe avere il buon gusto di togliersi di mezzo, il più possibile. Poi è chiaro, viviamo in un mondo in cui gli autori devono sostenere le proprie creazioni, più che in passato. Però ci sono tanti modi di accompagnare la propria opera: c’è l’autore che ci si mette davanti e si sbraccia per farsi vedere, ci sono quelli che invece vi si mettono a fianco, accompagnandola senza interferire, e ci sono infine quelli che si mettono dietro l’opera, che sono i miei preferiti.
Ragionando invece da sceneggiatore, è vero che la pubblicazione on line di Rusty Dogs è durata dieci anni, ma io ho finito di scriverlo dopo circa sei anni ed è in quel lasso di tempo che ho imparato io stesso a capire pienamente cosa volessi nel concreto raccontare. La rotta me l’ha indicata da subito la citazione di Arnott riportata prima e che ho sempre preferito non esplicitare sul blog, ma il come seguirla è una cosa che ho capito durante il percorso, probabilmente anche per la poca esperienza come sceneggiatore che avevo, dato il ridicolo numero di pagine che ho prodotto prima di Rusty Dogs: 24 scritte a quattro mani con Antonio Solinas, 16 per Killer Elite, 3 per Mono, 3 per il Donnell & Grace di Massimo Dall’Oglio e basta. Stiamo parlando di un numero veramente esiguo dal punto di vista meramente quantitativo, soprattutto se confrontato alle 200 pagine di Rusty Dogs. Oltretutto, 200 pagine scritte in un certo modo, perché divise in cinquanta episodi di 4 pagine che però formano una storia unica. Questo mi ha creato ogni volta degli ostacoli, mi sono autoimposto dei vincoli e ho cercato di imparare a superare le difficoltà: alcune sono riuscito a superarle anche esaltandomi, di fronte ad altre ho invece dovuto arrendermi e trovare un’alternativa.
Riguardo al filo rosso che appare più esplicito nella lettura del volume cartaceo, ciò è vero, ma solo in parte. C’è anche un aspetto molto più profondo di Rusty Dogs che non ho mai rivelato e di cui io stesso mi sono accorto cammin facendo, nel senso che per quanto ragionassi sulle storie, anche con Andrea, mi chiedevo che cosa volessi raccontare al di là del primo livello superficiale di lettura. Ogni storia nascondeva un livello sotterraneo, oltre alla questione legata alla trama orizzontale. Mi sono accorto che, a livello inconscio, andavo a toccare spesso un particolare tema che ha innervato quasi tutto il percorso e, quando mi sono accorto di ciò, ho preferito a quel punto approfondirlo in maniera più esplicita. Inconsapevolmente, io quel tema me l’ero scelto dall’inizio perché sin dal principio sapevo come doveva concludersi Rusty Dogs, ma non avevo ancora chiarito a me stesso che cosa significasse in toto quel tipo di finale.

Un’altra immagine da gli appunti di lavorazione della serie

La brevità delle storie fa sì che, nella originalità di ciascuna, si ha l’impressione che esistano un paio di modelli che paiono preminenti: da un lato, il voice over classico del noir, spesso dialogato; dall’altro, il monologo “alla Tarantino”. Come sei giunto a consolidare tale modello?
Credo che in buona parte sia un’impressione falsata, ma in effetti ci sono, anche se nelle mie intenzioni non erano così preponderanti come li avete percepiti. Di monologhi veri e propri ce ne sono veramente pochissimi, mentre più che di voice over parlerei di dialogo fuori campo. Quello è un artificio che ho usato per necessità, per risparmiare spazio nelle 4 pagine di ogni storia. Ecco, forse la cosa più importante che ho capito all’inizio grazie a Rusty Dogs è che per scrivere un racconto di questo genere, avevo bisogno come minimo di quattro pagine, non di meno. Mano a mano ho poi trovato il mio ritmo, ho trovato i miei tempi, il mio passo, la musicalità necessaria, tutti aspetti che chiaramente non hanno niente a che fare con la qualità, parlo semplicemente di passo per me stesso. Le storie di Rusty Dogs non sono delle storie “accademicamente” pure: se diamo per buono l’assunto per cui non c’è storia se non c’è conflitto, in Rusty Dogs non ci sono misteri da risolvere, non c’è un’indagine da condurre, non c’è un qualcosa da ricomporre in maniera diretta. I personaggi vengono presi poco prima o poco dopo un evento importante, quasi mai in un momento decisivo della loro esistenza, cosa che invece è di solito al centro di una storia tradizionalmente intesa come accademicamente pura. In questo senso, questa è stata una scelta programmatica perché volevo dei personaggi in qualche modo smarriti e che noi andassimo a incontrare in un momento indecifrabile della loro esistenza. Da lettore amo l’irrisolutezza di storie e personaggi perché è un aspetto che sento appartenermi, mi piace captare dei frammenti di conversazione, ascoltare gli sconosciuti che parlano e fantasticare su cosa ci possa essere stato prima e cosa possa accadere dopo quella tranche de vie sottratta di nascosto. Torniamo all’esergo del volume: che cosa sta riflettendo quello specchio rotto? Sta riflettendo veramente quell’immagine o ne sta creando una nuova? Questo è quello che cercato di fare con tutte le storie.

Werther Dell’Edera

Pur nelle differenze tra i vari disegnatori, il contrasto chiaroscurale tra bianco e nero, un grande classico del noir, non è particolarmente accentuato: talvolta è la scala di grigi un elemento grafico predominante come, prendendone uno tra i tanti, nell’episodio disegnato da Werther Dell’Edera. Quale la ragione di tale scelta? È nata da te o dai disegnatori?
Nello specifico episodio che citate, è stata una scelta di Werther: io non gli avevo detto di evidenziare il pugile in un certo modo, ma la soluzione da lui adottata è stata un contributo decisivo, non per niente Werther è uno dei migliori narratori a fumetti che abbiamo in Italia. In generale comunque l’uso dei grigi nelle tavole è un qualcosa che è arrivato sempre e soltanto dai disegnatori, dalla loro volontà di interpretare graficamente le storie che avevo scritto. I grigi hanno un ruolo fondamentale anche nell’episodio disegnato da Gianfranco Giardina, che apre l’arco narrativo di chiusura della serie e che è frutto di uno scambio incessante fra me e lui, basato su una sintonia e complicità rarissime, rispetto a cosa ci aspettiamo da una storia. Detto questo, non so quanto volutamente, ma presumo che molti degli altri disegnatori abbiano ragionato sul fatto che è vero che le storie di Rusty Dogs partono da dei bianchi e dei neri accostati in maniera abbastanza forte e con una certa prevalenza di nero, ma sono storie che – di fatto – raccontano il grigio.

I cani, oltreché omaggio nel titolo della serie a Storia di Cani di Ferrandino e Caracuzzo, sono comunque elementi narrativi, meglio ancora personaggi, che tornano in molti degli episodi della serie, ogni volta con valenze diverse. Da dove deriva questa scelta? Non da una tua passione cinefila, vista la fine che in qualche episodio alcuni di loro fanno…
L’omaggio è doppio e non solo per via del titolo, ma soprattutto per la presenza di Giancarlo Caracuzzo nel gruppo di disegnatori di Rusty Dogs. Però Rusty Dogs non ha mai avuto intenzione di essere un fumetto post-moderno o citazionista, per quanto ci siano dei riferimenti espliciti, su tutti uno a Tom Waits, le cui canzoni mi hanno accompagnato spesso durante la riorganizzazione degli appunti che prendevo per le storie. Waits – e direi anche Bruce Springsteen – sono stati il tappeto musicale su cui mi sdraiavo per entrare nel mood adatto per scrivere. I cani sono protagonisti in Rusty Dogs quanto gli umani, hanno un loro spazio e la loro presenza è narrativamente e metaforicamente importante, una metafora piuttosto semplice e immediata se vogliamo, ma se anche fosse complessa e nascosta mi sembrerebbe sciocco stare a spiegarla per i motivi di cui parlavo precedentemente: se uno la coglie bene, altrimenti non ci sono problemi Il compito del lettore è quello di leggere e interpretare ciò che legge così come vuole.

Gianfranco Giardina

2009-2019: eri alle soglie dei 40 anni quando Rusty Dogs è iniziato, sei vicino ai 50, come gli episodi che compongono la serie ora che è finito. Chi era allora e chi è oggi l’Emiliano Longobardi come persona e come autore?
Dieci anni fa ero grosso modo quello che sono oggi, magari pesavo di meno, avevo più capelli e facevo ancora sport. Anche a livello caratteriale sono rimasto più o meno lo stesso, ma avevo una vita privata che era diversa, per quanto legata come oggi al mio lavoro di libraio in modo quasi totalizzante. Quando ho cominciato a lavorare a Rusty Dogs nel 2008 mi ero appena fidanzato, ho avuto una relazione durata quasi sette anni che nel frattempo è finita e, poco prima dell’uscita del volume cartaceo, ho iniziato una nuova relazione. Come autore devo dire che il rapporto con le storie è buono: ci sono delle cose che chiaramente cambierei, ma resto orgoglioso del lavoro che ho fatto, al netto di tutte le critiche che si potrebbe prendere, che si potrà prendere e che si prenderà l’opera. Se sarà apprezzata sarò felice, se non lo sarà ci resterò male, ma – detto questo – me ne importerà quanto secondo me dovrebbe fregare a un autore, cioè il giusto. Tutto quello che potevo fare per tirare fuori il meglio l’ho fatto e anche qualcosa di più, perché se ho perseverato dieci anni è perché Rusty Dogs doveva finire e doveva farlo in un certo modo: questa è la soddisfazione più grossa che potessi ottenere e l’ho ottenuta.  Chiaramente non da solo: io ho fatto il mio e gli altri, disegnatori e staff, hanno fatto il proprio. Ci sono sicuramente delle ingenuità, ci sono delle cose che avrei potuto scrivere in maniera diversa, dei dialoghi che avrei potuto asciugare e altri che avrei potuto anche arricchire maggiormente, ma sarebbe strano il contrario. Però penso di essere cresciuto molto proprio nei dialoghi e nel gestire tutto ciò che volevo che ci fosse e che allo stesso tempo rimanesse nascosto.

Rusty Dogs è stata una serie che se, da una parte, ha ospitato tanti nomi affermati del panorama fumettistico italiano, dall’altra ha “benedetto” alcuni giovani che oggi sono diventati “golden boy” del nostro fumetto, come Antonio Lucchi e Lorenzo Palloni, giusto per nominarne due. Quanto sei orgoglioso di aver “portato bene” a tanti giovani professionisti che magari un po’ sono cresciuti anche grazie alla tua creatura?
Se sono cresciuti lo possono sapere soltanto loro.  Io sono stato felicissimo di averci collaborato, il resto è solo ed esclusivamente tutto merito loro: Antonio, nel giro di cinque/sei anni è diventato per me uno degli autori emergenti più capaci e sorprendenti, dotato di un segno già estremamente personale e riconoscibile. Lorenzo non lo sto scoprendo certo io: ha vinto valanghe di premi, anche in ritardo, se proprio dobbiamo dirla tutta. Di lui si è iniziato a parlare in un certo modo da due, tre anni, prima era una promessa, ma la sua qualità era chiarissima da molto tempo. Che fosse e sia un talento non è che lo dico io perché me ne sono accorto prima degli altri: intanto, soprattutto, se n’è accorto lui stesso e se ne sono accorti i suoi soci di Mammaiuto. Dopo – solo dopo – tutti gli altri.
Poi, mi fa piacere che Luca Claretti abbia esordito proprio con Rusty Dogs e mi fa piacere che Giuseppe Marinello se non ha esordito anche lui con il mio webcomic, poco ci manca. Ci sono tanti altri disegnatori che avevano pochissime pubblicazioni alle spalle, ma quando ho pensato a chi coinvolgere non ho mai guardato il curriculum. Ci sono decine disegnatori che adoro e che magari hanno già 30 anni di esperienza professionale, ma non li avrei mai chiamati per Rusty Dogs perché non lo ritenevo un lavoro nelle loro corde. Stessa cosa per gli esordienti: ho chiamato autori che mi piacevano e che ritenevo adatti alla serie. Quando l’ho chiesto a Pasquale Frisenda, giusto per fare il nome di uno dei decani con una carriera straordinaria alle spalle, ho pensato a lui per la sua bravura e non per il suo curriculum, esattamente come quando l’ho chiesto a Luca Claretti, che invece non aveva ancora pubblicato nulla.

Giorgio Pontrelli

Rusty Dogs si chiude con la storia disegnata da Giorgio Pontrelli: l’hai deciso da subito che sarebbe stato lui il disegnatore del finale?
Sì. Lui è uno dei primissimi che ho contattato e già nella mail che gli ho inviato, ho scritto da subito come sarebbe finita la storia. In quel momento Giorgio aveva uno stile molto diverso da quello con cui hai poi disegnato la storia: aveva iniziato con uno stile molto più grottesco e cartoonesco, in un certo senso “strano” rispetto agli altri disegnatori contattati. Per quanto poi, se tu li prendi individualmente e a mo’ d’esempio, Massimo Dall’Oglio e Marco Soldi, per dire, non hanno assolutamente niente in comune, però quello che mi intrigava è che potessero funzionare bene insieme. Ora che è uscito il volume, se uno lo sfoglia percepisce un qualcosa, ma se poi legge l’elenco dei disegnatori vede che non hanno chissà quali punti di sovrapposizione fra loro: questa è stata una cosa ovviamente voluta e che si lega anch’essa alla citazione in esergo.
Riallacciandomi alla domanda precedente, più di un disegnatore coinvolto mi ha rivelato che su Rusty Dogs ha voluto sperimentare, ha voluto mettersi in discussione, ha voluto provare. Nel momento in cui Giorgio ha cominciato a disegnare con lo stile che ha attualmente stava lavorando sia a Dylan Dog che a Rusty Dogs. Michele Benevento mi ha confessato che quelle dell’episodio da lui disegnato per la serie sono tra le pagine di cui è maggiormente orgoglioso. E così anche altri disegnatori che sono stati molto soddisfatti di quello che hanno fatto perché hanno provato a giocare, in maniera seria, con il proprio stile, prendendo quei pochi ma significativi paletti che imponeva Rusty Dogs come degli stimoli.

Hai sempre detto che Rusty Dogs è finito con l’episodio cinquanta e tu non ci tornerai sopra. Però è anche vero che del genere letterario di cui Rusty Dogs fa parte, il noir, tu sei un grandissimo appassionato. La tua prossima opera da sceneggiatore sarà sempre all’interno del noir o cambierai genere?
Quella che sto iniziando adesso a scrivere, una storia di 24 pagine, non ha niente a che fare con il noir. L’altra storia a cui sto lavorando è invece più corposa e la sto costruendo da circa un anno e mezzo, ma sono ancora in altissimo mare perché è una storia che probabilmente supererà Rusty Dogs come numero di pagine e anch’essa non ha praticamente niente a che fare col noir. Una terza storia ha che fare con la lettura e con ciò che significa leggere e una quarta, anche questa abbastanza lunga, è un crime vero e proprio sul quale avevo iniziato a lavorare ben prima di Rusty Dogs con Gianfranco Giardina, che sarà anche il coautore della storia di 24 pagine di cui sopra e che è stato per dieci anni la persona con cui mi sono maggiormente confrontato su ogni singolo aspetto – non solo narrativo – di Rusty Dogs. Quindi direi che la risposta alla domanda è “nì”: appena ho ricominciato a guardarmi attorno e a pensare a che cosa potessi scrivere, sono andato verso altre direzioni, anche perché dieci anni non sono pochi e sento il bisogno di vedere anche altro. Una cosa che certamente non farò mai saranno prequel, sequel o spin-off di Rusty Dogs.

La prima presentazione del volume cartaceo di Rusty Dogs svoltasi a Sassari a ottobre 2019

Questo volume significa anche poter fare arrivare Rusty Dogs a lettori che non lo conoscono e che non lo hanno mai letto in forma di webcomic in questi dieci anni. Ti è già capitato di incontrare alle presentazioni persone che non ne avevano mai sentito parlare prima?
Nel film Jerry Maguire c’è una scena in cui Tom Cruise va da Renè Zellweger a dichiararsi e inizia un monologo lungo dieci minuti finché lei a un certo punto lo interrompe e gli dice “Mi avevi già convinto al Ciao”. Ecco, mi è successa due o tre volte una cosa di questo tipo. Oppure gente che ti fa parlare per cinque minuti e poi resta schifata e se ne va. È giusto che succeda tutto e il contrario di tutto: ventotto anni di bancone in libreria insegnano a prendere tutto nel verso giusto, anche se non ho ancora imparato a vendere una cosa mia, nel senso che non so fare il venditore di me stesso. Stanno iniziando ad arrivare anche feedback sui social: persone, che io non conosco, che hanno acquistato il volume e che ne parlano su Twitter, Instagram e Facebook e fra queste ce ne sono alcune che hanno capito subito che nella storia ci sono dei fili rossi e una di loro ha addirittura postato una sorta di schema con i collegamenti tra tutti e 50 gli episodi. È bello vedere che adesso Rusty Dogs non è più quella cosa alla quale sono stato dietro per dieci anni, ma che è soltanto dei lettori. Rusty Dogs come volume ha ancora bisogno di cure e attenzioni, di farsi le gambe e in questo mi impegnerò per un bel periodo, ma poi – come tutti quelli che imparano a camminare – verrà il momento in cui dovrà iniziare a farlo da solo anche a costo di prendersi un calcio nel culo.

Grazie infinite Emiliano per il tuo tempo.
Ci sarebbe stata ancora una domanda che avremmo voluto rivolgerti legata al titolo di lavorazione spoileroso che aveva Rusty Dogs, ma sappiamo che non avresti risposto: è ancora troppo presto.
Nel frattempo però invitiamo i lettori a scoprirlo, quel famoso file rouge.

Intervista realizzata a Sassari nel mese di dicembre 2019

 

Emiliano Longobardi

Libraio e sceneggiatore.
Nato a Sassari nel 1972, svolge la professione di libraio dal 1991. Si è occupato di critica, informazione e attività di divulgazione fumettistica dagli anni Novanta fino al 2006, collaborando a quotidiani, fanzine, riviste specializzate e realtà associative.
Ha esordito come sceneggiatore di fumetti nel 1999 co-sceneggiando l’albo Xiola – Primo sangue (Liberty) e – negli anni successivi – ha pubblicato per Mono(Tunué Edizioni), Killer Elite (Alessandro Bottero Edizioni) e Donnel & Grace: Bluelights(IDEAcomics).
Dal 2009 al 2019 ha scritto e curato Rusty Dogs(www.rustydogs.com), webcomic seriale composto da cinquanta episodi disegnati da cinquanta fra i migliori disegnatori italiani, nominato 5 volte come Miglior Webcomic al Premio Micheluzzi del Comicon di Napoli.
Nel 2019 Rusty Dogs diventa un volume cartaceo autoprodotto.
Ha collaborato a laboratori, workshop e corsi di sceneggiatura organizzati da Mestieri d’arte, Redhouse Lab e La valigia del narratore.
Dal 2018 condivide con Elia Cossu e Maria Luisa Perazzona la direzione artistica del festival Florinas in giallo – L’isola dei misteri (Florinas, SS) e dal 2019, sempre con gli stessi colleghi, condivide anche la direzione artistica del festival di:segni – Intersezioni tra fumetto, illustrazione, cinema, teatro e musica (Alghero, SS).
Dal 2018, insieme a Francesca Arca, cura e conduce Book bar, programma radiofonico settimanale dedicato a libri e fumetti trasmesso dall’emittente sassarese Radio Venere.
Ha inoltre coscritto con Gianni Cesaraccio il cortometraggio Noi siamo il male, diretto dallo stesso Gianni Cesaraccio e in concorso all’edizione 2017 di Visioni italiane (Cineteca Bologna).

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