Di recente, il 7 novembre 2019, Elisa2B ha postato su facebook una tavola autoconclusiva davvero notevole.
ll punto di forza di questo efficace webcomic – come di molti lavori, anche tradizionali, dell’autrice: si pensi a La chiamata – è la ricchezza della sua polisemia, la sua apertura a margini di interpretazione. Uno spaccato non univoco sull’incomunicabilità, che sembra stimolare il lettore alla riflessione più che dargli una lettura unidirezionale e preconfezionata.
Ciò ha portato a un numero elevato di dubbi, domande e anche provocazioni sui social. La stessa Elisa2B, interpellata più volte su FB dai lettori, non ha voluto dare ulteriori spiegazioni oltre al testo fumettistico. Correttamente: come spiega Umberto Eco, un testo è “una macchina per produrre interpretazioni”, dove quella dell’autore non è che una delle tante possibili, significativa per il particolare punto di vista, certo, ma non in sé esclusiva di altre.
Appare interessante come tale polisemia viene strutturata grazie a un uso sapiente del linguaggio fumetto. La recitazione dei personaggi, efficace anche nello stile essenziale, così come l’uso del dettaglio: la donna sorridente fuori dalla porta, ma anche la fotografia che sembra ritrarre l’uomo con una donna che potrebbe portare in braccio un figlio, e che potrebbe essere la protagonista come no (l’indeterminatezza è, pare di poter dire, voluta).
Ma anche, e soprattutto, l’uso dei balloon, non puramente funzionale, ma critico: la voce dei personaggi appare “tagliata” e, nel caso della donna, il “no” del balloon azzurro viene coperto da una pecetta bianca che lo tramuta in un “sì” dolorosissimo. Un tipo di lavoro presente già ne La chiamata, dove – ad esempio – le vignette si spezzavano in vetri taglienti, i caratteri divenivano illeggibili o assumevano un colore significativo simbolicamente.
L’abilità dell’autrice sta in questo caso nel mantenere questa ricchezza semantica propria del fumetto – come, naturalmente, degli altri media artistici – anche nella dimensione forzatamente immediata del webcomic: a un primo livello vi è una possibile lettura veloce della tavola, che tuttavia sembra mirare a non soddisfare il lettore e a invitarlo a riesaminarla con più cura, portandolo a maggiori speculazioni senza però dargli comunque una soluzione predigerita.
Appare interessante notare che questo aspetto si considera del tutto acquisito nella letteratura, nell’arte figurativa, nel cinema, ma molto meno nel fumetto (dove è invece, ovviamente, presente), specialmente se si tratta di un fumetto web di cui si rifiuta – anche con toni a volte irridenti – la possibile complessità. Incide, è chiaro, anche il rifiuto di quella che viene letta come una posizione femminista, attenta al vissuto femminile, come appare – in modo ovviamente sacrosanto – quella dell’autrice. Ma non è solo questo il problema.
Un dubbio che sorge è quello che possa esserci un problema in connessione alla cultura del meme, che ha spesso fagocitato il fumetto, decostruendolo ai suoi scopi (anche proprio riprendendo e scardinando fumetti preesistenti) ma trasformandolo in un meccanismo automatico, infinitamente reduplicabile.
I rischi della “memificazione”: la posizione di Alessio Moroni
Interessanti sono a tale proposito le osservazioni fatte in quella sede da un autore come Alessio Moroni, giovane disegnatore che ha lavorato per Sergio Bonelli Editore (Dragonero, Orfani), per Editoriale Cosmo (Caput Mundi) ma anche su di un webcomic con Darwin (Verticomics), interessante sperimentazione di fumetto ad ambientazione preistorica realisticamente “senza dialoghi”.
“È una questione di alfabetizzazione. Se qualcuno è abituato a leggere solo meme che utilizzano in parte linguaggi simili al fumetto non ha gli strumenti di decodifica adatti per leggere una storia come quella che hai postato, che fa della conoscenza di quel linguaggio – e delle consapevoli scelte nel piegarlo per raccontare una determinata storia – la sua forza. Il messaggio è potente in sé, ma lo è soprattutto perché quel ballon con il “No” è tagliato; perché i “si” sono scritti sempre più piccoli, e così via.
La maggior parte dei commentatori non conosce la differenza tra meme e fumetto, e quindi non può proprio decodificare quello che Elisa ha fatto: lo riconduce a ciò che conosce, cioè i meme. La scelta del lettering, i balloon, la gabbia restano tutte cose letteralmente incomprensibili. E’ un disegnino di una sola pagina con le vignette? Siamo su Internet? Allora è un meme. È in corso un appiattimento di linguaggio che vediamo anche cavalcato goffamente da certi politici: c’è un problema di alfabetizzazione e molto grave.”
L’intervento di Moroni centra a nostro avviso un problema sull’importanza e anche sui rischi del fumetto sul web oggi, su cui forse non si è riflettuto ancora a sufficienza.
I meme sono fumetti? La posizione di Davide Costa
Sul tema abbiamo approfondito il parere di Davide Costa, sceneggiatore che opera molto anche sul webcomic breve, specialmente con tavole autoconclusive diffuse tramite la sua newsletter: tinyletter.com/DavideCosta.
Questo il suo intervento:
“I meme sono fumetti? Sarei portato a dire di sì perché abbiamo immagini giustapposte che raccontato qualcosa, spesso grazie all’uso combinato di immagini e testo.
Sono fumetti complessi?
Può essere complesso capirne il significato quando questo evolve nel tempo variando da contesto a contesto (basti pensare alla ranocchia Pepe) ma presi singolarmente sono, quasi sempre, semplici da leggere grazie alla loro struttura ed elementi base.
Buona parte dei meme hanno una struttura fissa fatta di 4, 6 o 8 vignette incasellate in due colonne dritte. All’interno di ogni vignetta il numero di personaggi o elementi grafici è ridotto all’osso, così come il testo che è spesso di poche parole.
Questi elementi poi sono in variabilità perenne data la natura stessa dei meme, ma ciascuna variazione è tendenzialmente semplice e lineare.
Raramente si trovano salti temporali, elisioni, sottotesti.Soprattutto molto raramente si trovano meme la cui struttura del layout (cioè il modo in cui le vignette sono ordinate all’interno della pagina, ammesso abbia senso parlare di pagine online: forse dobbiamo parlare di schermo dello smartphone e di come sfruttarlo?) differisca dalla struttura molto semplice a scacchiera che si è diffusa nel tempo, rendendo la loro lettura estremamente rapida e, per certi versi, guidata dall’abitudine a leggere quel tipo di struttura stessa: prima ancora di leggere il meme si sa già in che modo dovremo guardare il meme e in che modo seguirne la “storia/battuta”.
In questo senso i meme sono molto vicini alle strisce a fumetti dalla struttura molto rigida come possono essere Peanuts oppure Sio (sottolineando che parliamo qua di layout e non di contenuti e capacità) ma già una striscia come Calvin & Hobbes mostra un livello di complessità, in particolare nelle tavole domenicali di Watterson, che potrebbe risultare meno immediato a un pubblico abituato ai meme: nel momento in cui una struttura a cui siamo abituati viene “rotta” o variata in maniera importante ci serve qualche secondo per prendere le nuove misure e capire come leggerla. Ancora di più se chi crea un fumetto decide di lavorare su più livelli di lettura magari inserendo vignette all’interno di vignette oppure sfruttando un tipo di racconto dalla cronologia non regolare ma che utilizza flashback o magari giocare con il lettering e il colore per suggerire il racconto della propria idea.
Azzardando un parallelo si potrebbe pensare forse a barzellette/meme e romanzi/fumetti: in entrambi i casi si usano parole per far ridere (o altro) ma anche la più divertente delle barzellette difficilmente potrà contenere le complessità tecniche potenzialmente presenti in un romanzo.”
Conclusioni: un confronto con Elisa2B
Ma, soprattutto, abbiamo voluto interpellare l’autrice Elisa2B che è stata così gentile da rispondere a qualche nostra domanda di approfondimento: le sue parole ci sembrano il modo migliore per chiudere – per ora – questo complesso ma affascinante discorso.
I tuoi fumetti sono spesso aperti a una pluralità di possibili letture, anche tramite un utilizzo specifico di elementi del linguaggio fumettistico o di particolari della scena. Come nasce questo specifico approccio, non così consueto?
In senso stretto, e a livello concettuale, nasce dal fatto che spesso e volentieri ciò che penso di un determinato avvenimento è la somma di diversi punti di vista sullo stesso. Ho opinioni forti riguardo molte cose, ma anche queste ultime maturano a partire dalla consapevolezza che il mondo è un posto complesso. Non riesco a percepirlo altrimenti. In linea di massima, mi è più facile esprimere il mio parere riguardo un qualunque argomento attraverso il fumetto e l’illustrazione piuttosto che con le parole; questo accade perché ho un pensiero fortemente visivo e per me parlare e scrivere è un po’ come tradurre le immagini scaturite da esso, citando Hannah Gadsby.
Come interpreti le reazioni ambivalenti che ha suscitato?
Se ti riferisci ai molteplici commenti “ironici”, arrivatimi tutti nell’arco di pochissimo tempo, sono semplicemente opera di un bacino di utenza che ha deciso di agire in massa per dare fastidio. Per quanto riguarda tutto il resto, non è la prima volta che qualcosa che faccio suscita diverse interpretazioni, le une in antitesi con le altre, ed è in generale un risultato che mi interessa raggiungere. Al contrario, mi preme poco lanciare messaggi precisi e rassicuranti attraverso il mio lavoro, per non dire che non mi interessa affatto.
Secondo te, ha influito la sempre maggiore fruizione dei meme, che adottano un linguaggio fumettistico spesso molto semplificato?
Senza dubbio, ed è una cosa che ho constatato da anni, dal primo momento in cui i miei disegni sono stati letti come fossero meme. Ricordo ancora di quando una ragazza, commentando una mia illustrazione, mi disse che la trovava bella, ma che aveva dovuto fermarsi qualche minuto a osservarla per comprenderla – come se fosse un aspetto negativo dell’opera. È un problema culturale, nel senso che c’è sia una tendenza a non soffermarsi troppo sui contenuti di cui si fruisce, sia diverse problematiche che confluiscono in quei contenuti e che vengono svilite talvolta dal medium, talvolta dai fruitori. Non è una cosa cominciata ieri, viene da lontano, e ha modificato pesantemente il nostro modo di stare al mondo. Anche questa è una cosa su cui riflettere, da osservare da più punti di vista, da raccontare per immagini. Non è escluso che lo faccia, in futuro.
Ringraziamo di cuore Elisa2B, Alessio Moroni e Davide Costa per la loro disponibilità.
Gc
15 Novembre 2019 a 15:59
Come sempre, articolo molto interessante. Da lettore di fumetti e disertore di social network il problema della semplificazione del linguaggio legato ai MEME non me l’ero mai posto e invece noto che il dibattito nato intorno all’argomento risulta molto stimolante e interessante.
Grazie per questo nuovo orizzonte.
la redazione
20 Novembre 2019 a 16:07
Grazie a te per l’apprezzamento!