
Che cos’è il graphic novel, di Stefano Calabrese ed Elena Zagaglia pubblicato nella collana Le Bussole di Carocci, si affianca ad altri titoli della stessa collana che negli ultimi anni sono venuti a comporre un nucleo di agili saggi sui vari aspetti e le varie forme del fumetto, il cui taglio rigoroso e conciso li rende ottime introduzioni alla materia. Nella stessa collana, infatti troviamo Semiotica del fumetto di Daniele Barbieri (2017) e Che cos’è un fumetto di Valerio Bindi e Luca Raffaelli (2021).
Nella loro panoramica, Calabrese e Zagaglia utilizzano una vastissima bibliografia, che è il primo valore aggiunto del loro lavoro, perché offre una moltitudine di percorsi di approfondimento. Le numerosissime citazioni sono utilizzate per illustrare le varie componenti che, nella prospettiva degli autori, consentono di individuare il graphic novel come categoria critica e analitica e di considerarlo come un medium autonomo e, in particolare, distinto dal medium fumetto.
Il saggio stimola una serie di riflessioni sia sul tema trattato sia sull’approccio allo studio di una forma di espressione. In questo articolo, presenteremo prima il contenuto e le proposte del saggio, quindi la nostra analisi di queste e delle argomentazioni portate a supporto.
Struttura del saggio

Il saggio è diviso in quattro capitoli, ognuno dei quali presenta un case study che mette in evidenza le caratteristiche analizzate nel capitolo stesso, e una conclusione.
Il primo capitolo è dedicato alla definizione del concetto di graphic novel in una prospettiva storica, che ne delinea la comparsa e l’evoluzione. Ripercorre la tradizione statunitense, giapponese ed europea, mettendone in evidenza i tratti funzionali alla definizione del graphic novel. Il case study di questa sezione è il Maus di Art Spiegelmann, in quanto “è Maus a canonizzare il genere graphic novel, a costituirne un trampolino di lancio sulla scena mondiale e a promuovere definitivamente il linguaggio iconico a strumento di raffinata cognizione” (p. 27).
Il secondo capitolo è dedicato a “come funzionano i graphic novel”: ne analizza i vari elementi costitutivi (codici, storytelling, panels, inquadrature, sceneggiatura). Il caso proposto in questa sezione è Jimmy Corrigan di Chris Ware, del quale viene sottolineata la ricerca per un’efficace modo di mettere in relazione testo e immagini, attraverso l’organizzazione della tavola e la messa in evidenza del distacco fra graphic novel e fumetto, raccontando il rapporto del protagonista coi supereroi: “Il modo più semplice per dimostrare, procurare o almeno favorire la morte simbolica dei fumetti, malattia infantile del visual storytelling, è il decesso dei supereroi” (pp. 65-66).
Il terzo capitolo approfondisce il rapporto del graphic novel con lo spazio (della pagina) e il tempo (della narrazione), analizzando il ruolo del colore, della serialità e della lunghezza stessa delle opere. Il case study proposto è il Sandman di Neil Gaiman (nel quale, con scelta inedita, si apostrofa il protagonista come “Sandman”, invece che Sogno o Morfeo), ritenuto importante in quanto “se tutto quanto finora prodotto sembra suggerire che un romanzo grafico può essere definito in contrasto a un fumetto, Sandman si colloca esattamente al punto di intersezione, […] contribuendo così a un cambiamento radicale del medium” (p. 83).
Il quarto capitolo tratta vari argomenti, dalla diffusione del graphic novel, a quella dei picture book per bambini, passando per gestione della voce narrante – questa eterogeneità tematica contribuisce a rendere questo capitolo il più lungo del volumetto. Esempio preso in esame nel capitolo: Geronimo Stilton. Le considerazioni al riguardo sono interessanti, ma restano un corpo estraneo rispetto al resto, a dimostrazione del fatto che il picture book appartiene a un’altra forma espressiva rispetto a – per utilizzare la dicotomia del saggio – fumetti e graphic novel. Il collegamento al corpo del saggio è la comune appartenenza di picture book, fumetti e graphic novel alla classe “iconostesto”.
Infine, le Conclusioni discutono del graphic journalism, accennando al rapporto fra narrazione e resoconto informativo, e dell’affermazione di Zerocalcare come autore che “rappresenta un fenomeno che non ha pari nella storia del fumetto e dell’editoria italiani” (pag. 131).
Fumetto e Graphic novel, media distinti
Il saggio dichiara immediatamente la contrapposizione fra fumetti e graphic novel (che trovano una casa comune sotto la più generale categoria “iconotesto”) : “il termine ‘graphic novel’ nasce allo scopo di differenziare una modalità testuale nuova rispetto a quella ritenuta meno complessa dei fumetti – cioè narrazioni brevi, naïf e destinate a un pubblico perlopiù adolescente -, presentandosi come una forma letteraria orientata a un pubblico più adulto, con un differente focus narrativo e pratiche editoriali più articolate” (p. 8).Il punto fondamentale è che “il graphic novel è un medium le cui caratteristiche chiave possono essere distribuite su uno spettro al cui polo opposto sta il fumetto e tali caratteristiche riguardano specificamente l’apparato formale, gli ambiti tematici, il format editoriale, la produzione e la distribuzione” (p. 10).
Andando nello specifico, parlando di apparato formale, si afferma che i graphic novel “cercano […] di spingere il medium oltre i limiti estetico-formali che lo hanno, per così dire, tenuto prigioniero del mondo dei fumetti, sia cercando stili più individuali e innovativi, sia infrangendo la struttura reticolare di base dei formati classici dei fumetti” (p. 10).
Quanto agli ambiti tematici: il graphic novel “ha cercato di distinguersi dai fumetti, più precisamente dai supereroi che vi agiscono” per i contenuti trattati, “avvalendosi peraltro di intrecci autobiografici, biografici, documentaristici, storici in uno stile realistico spesso indistinguibile dal reportage giornalistico. […] Spesso non si tratta di fiction ma di faction, in quanto gli eventi reali sono utilizzati come base per un racconto di finzione” (pp. 10-11).
Infine, riguardo il format editoriale, si dice: “il graphic novel ha una marcata preferenza per il formato libro […] differente in tutta evidenza ai fumetti e dal format europeo noto come bande dessinée” (p. 11).
Viene quindi sottolineato come “il graphic novel non ha segnato sempre una netta rottura […], rappresentando di volta in volta la forma riveduta e corretta dei fumetti o la loro polemica, radicale negazione” (p. 12). Questa variabilità nella dialettica graphic novel-fumetto si manifesta anche nella revisione retrospettiva che porta a definire “graphic novel” “opere del passato che non erano state recepite come tali” (p. 12).
Da notare che, a fronte di una posizione così netta, nel corso del testo i termini “fumetto” e “graphic novel” sono utilizzati in modo da farli intendere il secondo come sottoinsieme del primo.
Spunti
Una classificazione propone un’articolazione del campo di studio, funzionale alla comprensione e supporto alla ricerca, la manifestazione di una specifica visione del campo stesso. È un sistema di riferimento per gli studi condotti secondo quella visione, in quanto offre una modalità di problematizzazione: propone cioè una serie di domande da utilizzare per guidare le analisi.
La fertilità di una classificazione, d’altra parte, non sta tanto nella capacità di collocare facilmente i propri oggetti di studio nelle varie caselle (dimensione “statica”), quanto nell’individuare e stimolare il confronto con gli oggetti che rifuggono da quel semplice incasellamento. Questa capacità rende una classificazione spunto di programmi di ricerca e quindi di progresso negli studi. Nel caso del saggio, ad esempio, indicare come criterio distintivo di un graphic novel il suo confrontarsi con i “limiti estetico-formali” invita a ricercare che cosa quei limiti siano e come si siano evoluti nel tempo.
Criticità
Le osservazioni che seguono derivano dal considerare cuore e senso ultimo del saggio la proposta di un modello delle entità “graphic novel” e “fumetto”, delle interazioni fra loro e con altre forme espressive. Notiamo che, nella costruzione di un modello, introdurre complicazioni serve a riprodurre comportamenti e caratteristiche che non si riesce a far derivare da principi generali.
In questo senso, per criticità intendiamo dei costrutti che introducono complicazioni nel modello, senza tuttavia far emergere tratti o complessità specifiche o ignorate da modelli alternativi. Insieme agli spunti, il saggio presenta molte criticità di tipo sia retorico sia strutturale, criticità che peraltro diventano gli oggetti di maggior interesse per articolare un discorso sul medium e sul suo studio, in particolare:
- il graphic novel come medium distinto dal fumetto, ovvero la costruzione di una dicotomia;
- la riproposizione di una minorità di fumetto/graphic novel rispetto ad altre forme espressive tradizionali.
Graphic novel vs fumetto
Il principio fondante dell’analisi condotta nel saggio è che il graphic novel è altro dal fumetto: “il graphic novel è un medium le cui caratteristiche chiave possono essere distribuite su uno spettro al cui polo opposto sta il fumetto” (p. 8).
La classificazione proposta appare molto chiara nel suo aspetto statico: sembra consentire di apporre facilmente su un’opera la targhetta “graphic novel” o “fumetto” (vedremo poi a quale prezzo), ma non si comprende, né il saggio la tratta, l’aspetto dinamico della separazione fumetto / graphic novel.
Non chiarisce, infatti, non tanto quali linee di indagine o tipologie di analisi siano applicabili all’un medium e non all’altro, quanto quali linee di indagine nascano dalla separazione, che non siano già attive entro una visione che li consideri come una unica forma espressiva.
Riprendendo l’esempio sopra scritto, l’indagine sul confronto con i mezzi espressivi non può certo dirsi generata dalla dicotomia proposta dal saggio: scaturisce, ad esempio, da un approccio storico alla forma espressiva, che intenda comprendere l’evoluzione delle soluzioni create e sperimentate nel corso della sua storia.
Un simile approccio, quindi, prescinde dalla catalogazione proposta dal saggio e questo è pienamente coerente con l’idea che fumetti e graphic novel sono costituiti dagli stessi elementi costitutivi e partecipano ai medesimi processi produttivi e creativi. Questa coincidenza è resa evidente dalla coincidenza degli strumenti e dei metodi di analisi. Peraltro, fra i vari elementi formali distintivi del medium graphic novel elencati dal saggio (p. 10) forse solo l’uso di immagini scontornate come prassi lo distingue dal medium fumetto.
Riguardo alle relazioni fra i due media, l’idea che i graphic novel siano caratterizzati dalla sperimentazione e dal confronto con i limiti espressivi (del medium) pone in realtà un problema evidente: che cosa sono i “limiti espressivi” di un medium definito come “confronto con i limiti espressivi”? Il saggio spiega come si tratti dei limiti dell’utilizzo dei vari strumenti espressivi e che questi coincidono con quelli usati dal fumetto. Il risultato sembra essere che il graphic novel è un medium che affronta i limiti espressivi di un altro medium, ne rappresenta, per così dire, la zona di sviluppo prossimale. In particolare, il criterio necessario secondo il quale un’opera appartiene al medium graphic novel se cerca di “spingere il medium oltre i limiti estetico-formali che lo hanno, per così dire, tenuto prigioniero del mondo dei fumetti”, porta in maniera diretta a definire il graphic novel come l’ambito di estensione del fumetto.
D’altra parte, questa relazione ha senso se e solo se i due media condividono tutte le caratteristiche (formali, tematiche, produttive), così che si possano identificare i processi di sviluppo: il fumetto diventa l’iconotesto che rimane sempre uguale a sé stesso, che non evolve – limitandosi ad applicare soluzioni già applicate? Ancora, l’enfasi sullo sviluppo degli strumenti formali e degli approcci tematici richiede una prospettiva storica: riguardo questa linea di ricerca, non sono chiari né il fondamento né il valore aggiunto della definizione del graphic novel come medium a sé.
Infine e di sfuggita: se si utilizza il criterio degli ambiti tematici, quale è il vantaggio di definire il graphic novel come medium, rispetto a definirlo un genere?
Ma, giunti a questo punto, merita sottolineare una sorta di paradosso: con tutte le perplessità esposte, il saggio offre criteri per popolare il medium graphic novel con delle opere, ma lascia larga incertezza su che cosa invece abiti il medium fumetto.
Che cosa sono i “fumetti”?
Il saggio utilizza uno sguardo a largo raggio e caratterizza il concetto di graphic novel in opposizione a quello di fumetto: la visione proposta, con dovizia di citazioni, riporta il “fumetto” nella famigerata categoria della “paraletteratura” (v. Laura Ricci, Paraletteratura, Carocci, 2013), che raccoglie opere risultato di una produzione standardizzata, autoreplicantesi, in particolare attraverso la forma seriale: “narrazioni brevi, naïf e destinate a un pubblico perlopiù adolescente” (p. 8) o anche “malattia infantile del visual storytelling” (p. 65) – notazione che ha una sua indiscutibile forza retorica.
Cercando nel testo esempi concreti di “fumetti”, ovvero di opere che appartengono al medium “fumetto”, troviamo poche indicazioni; a p. 52 leggiamo: “il graphic novel […], se lo definiamo come una forma di narrazione estesa e autoconclusa, vediamo che si tratta di due tratti semiotici che lo differenziano dal fumetto (episodi brevi e seriali, come nel caso di Batman e Diabolik)”. L’esempio è esplicito, ma di fatto non chiarisce alcunché, visto che il personaggio Batman è protagonista di storie di qualsiasi lunghezza, non poche delle quali autoconclusive; più in generale, da decenni ormai anche le varie run supereroiche delle due major DC e Marvel hanno ampia autonomia narrativa, in accordo a una generale trasformazione delle linee editoriali che valorizza i team creativi. Troviamo peraltro interessante indicazione del rapporto serialità/graphic novel a p. 82: “Se il fumetto nasce in un contesto serializzato e trasmette il virus del to be continued anche ai graphic novel editi fra il 1987 e il 2000, oggi è la nozione stessa di serialità a subire una trasformazione”.
Il punto è che l’assenza di significativi esempi di “fumetto” (nell’accezione del saggio) indebolisce la dicotomia proposta, perché lascia la sensazione che, a seconda di che cosa si intenda per “forzatura dei limiti espressivi”, uno dei due insiemi resti sostanzialmente vuoto.
Sudditanza e fraintendimenti
Nel delineare il processo di distacco fra fumetto e graphic novel, il ragionamento ad un certo punto chiama a supporto quello che è in realtà un classico fraintendimento: che l’opera di Roy Lichtenstein costituisca una valorizzazione del fumetto supereroico. Leggiamo: “grazie a innovatori della pop-art come Roy Lichtenstein […] i supereroi hanno la storica occasione di traslocare dai ghetti della cultura adolescenziale ai musei internazionali e alle più prestigiose gallerie d’arte ed è del tutto evidente che questo trasloco prefigura e favorisce la nascita del graphic novel, variante nobile del fumetto e oggetto culturale crossover”; a rafforzare questo punto, viene portata la posizione di Thomas Crow, secondo cui “fu proprio Lichtenstein a salvare i fumetti dal genocidio estetico inaugurato da Wertham […], che furono lasciati in eredità a Lichtenstein affinché sapesse ‘dare loro una nuova e duratura esistenza sotto l’egida dell’arte’”. Fermiamo un punto banale, ma che è necessario al ragionamento: “arte” è un concetto che ha senso nell’ambito di un’estetica, di un modello; non esiste infatti “arte” al di fuori di una teoria estetica e più arti sono possibili, poiché più teorie sono possibili.
Se cerchiamo di riportare le due affermazioni citate a un modello, abbiamo un modello nel quale l’oggetto rappresentato coincide con l’oggetto artistico e la certificazione dell’oggetto artistico è la sua presenza nei “musei internazionali e alle più prestigiose gallerie d’arte”. Lasciamo da parte il secondo punto – che, alla fine, ha senso, poiché musei e gallerie d’arte effettivamente cercano di acquisire quelli che considerano oggetti d’arte – e concentriamoci sul primo. In questa visione, effettivamente il dipinto di Lichtenstein che riproduce Wonder Woman dichiara che il personaggio creato da Marston nel 1941 è opera d’arte. Per quanto bizzarra, è una teoria possibile e su di essa, applicata al nostro caso, ci limitiamo a notare che l’opera citata è un ritratto e che Diana è il personaggio, non il fumetto né i racconti; noi ci occupiamo di fumetto e racconti e non di illustrazione – sebbene nel campo considerato dal saggio (gli iconotesti) verosimilmente rientra a pieno titolo anche l’illustrazione, visto che vi rientrano i romanzi di Geronimo Stilton. Conseguenza bizzarra di questa visione è che se la applichiamo a un ritratto o alla rappresentazione di un paesaggio, vien fuori che ad essere arte sono la persona e il paesaggio stessi.
Conclusioni
Il saggio di Calabrese e Zagaglia è fonte di riflessioni sulla costante ricerca da parte del mondo del fumetto di separare “alto” e “basso”, “opera d’arte” e “prodotto dozzinale”. In questa prospettiva, è ragionevole pensare che la dicotomia proposta rifletta un desiderio da parte degli attori del sistema fumetto; d’altra parte, se questa considerazione è fertile per un approccio sociologico, entro quelli che nel mondo anglosassone si indicano come “cultural studies”, non sembra fornire nuove linee di ricerca o analisi per la comprensione delle opere, rispetto a quelle fornite dalla visione del graphic novel come un’articolazione del fumetto, considerato nel suo insieme come forma di espressione unica.
Abbiamo parlato di:
Che cos’è il graphic novel
Stefano Calabrese, Elena Zagaglia
Carocci editore, 2021
142 pagine – brossurato, bianco e nero – 12,00€
ISBN: 9788843088140