E poi muori: guardare dentro l’abisso

E poi muori: guardare dentro l’abisso

Federica Ferraro racconta una storia di assenze e sparizioni, in un fumetto dalla narrazione ansiogena e frammentata, pubblicato da Sputnik Press

POIMUORI_001Federica Ferraro, in arte Ferraglia, è attiva da anni nel mondo dell’autoproduzione. Forse qualcuno l’ha conosciuta per Terribilis est locus iste oppure per la sua storia breve pubblicata in Materia degenere 2. Ad aprile 2022 è uscito il suo E poi muori, fumetto autoprodotto con la collaborazione di Sputnik Press, realtà che fa riferimento all’omonimo Festival di illustrazione, fumetto autoprodotto e musica indipendente che si svolge a Pisticci, in Basilicata.

Per farsi una prima idea della poetica di Federica Ferraro, si può andare sul suo sito: disegni graffiati e figure disturbanti, collage e fotografie cupe, glitch, scansioni, chiodi, scritti in prosa. Si rimane inquietati e affascinati dalle deformazioni di cui è capace l’autrice, che sembra dare forma a degli incubi.

E poi muori è anche questo: ci si trova davanti a disegni in cui è chiara la formazione di Ferraro nell’incisione, linee fitte e veloci, ombre brulicanti, che sembrano più vive dei personaggi. Ciò che è illuminato e visibile appare precario, come se da un momento all’altro potesse essere inghiottito dal buio. Ma andiamo con ordine: il fumetto è ambientato a Napoli, città natale dell’autrice, e ha come sottotitolo Una storia horror neomelodica. Di spaventoso troviamo soprattutto le atmosfere, ma anche la vicenda raccontata si insinua man mano sotto la pelle, fino a far venire i brividi: la mattina del 7 luglio 2004 Vincenzo non è ancora tornato a casa, e nessuno riesce a trovarlo, è scomparso. L’episodio trae spunto da una storia vera avvenuta nel 2017, ma è chiaro che nelle intenzioni dell’autrice non c’è quella di raccontare un fatto di cronaca. Al centro troviamo proprio l’orrore, il trauma, il desiderio di fare i conti con una certa immagine della città e pure con il buio che sembra premere da ogni angolo delle vignette.

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Il fumetto, del resto, è la storia di una sparizione: le linee narrative sono diverse e in tutte il tema dell’assenza risuona a vari livelli. Innanzitutto, lo troviamo in quella che potremmo considerare la colonna sonora del fumetto, una canzone neomelodica di successo che viene trasmessa in radio e in televisione a tutte le ore: “Prumesse, prumesse mancat’, appuntament’ fatt’ e mai mantenut. Pe’ quanti’ vot’ sul’ t’agg’ asspettat’ facenn’ nu’ milion e’ telefonat”. Inutile dirlo, i milioni di telefonate sono anche quelli fatti dalla madre, dal fratello e dalla ragazza di Vincenzo, che non trovano risposta. Leggiamo poi che la SSC Napoli “rischia di sparire”, è entrata in liquidazione. E da ultimo ci sono gli oggetti che aprono i capitoli come un titolo disegnato e che, se nella prima pagina erano appesi tutti insieme alla stessa parete, nell’ultima questi sono spariti, lasciando sul muro un alone della loro assenza. Come per i disegni, che sembrano incisi nel buio, anche la storia di E poi muori sembra procedere per sottrazione.

pg8Il talento di Ferraro sta proprio nel far percepire qualcosa che non c’è, la presenza di qualcosa che non è più lì. Oppure che non c’è ancora. Sì, perché, come spiega bene Matteo Contin nella prefazione, questo è anche un fumetto di sguardi lanciati con la coda dell’occhio, come se i personaggi temessero che qualcosa li stia inseguendo. Del resto, guardare in faccia il pericolo, l’orrore sarebbe troppo spaventoso: i personaggi sono sempre all’erta, in tensione, cercano di guardarsi le spalle, di mantenere il sangue freddo senza però esporsi, evitando di mostrarsi davvero spaventati.

Un’altra assenza rilevante la troviamo nel titolo: (vedi Napoli) E poi muori. Si tratta ancora di vedere, di guardare dentro quel buio che bracca i personaggi. Il fumetto sembra il modo che l’autrice ha trovato per guardare dentro quel buio, ma anche in questo caso non può essere uno sguardo diretto: c’è una storia, una rielaborazione e, se dovessimo prestare attenzione a come Ferraro inquadra i suoi personaggi, vedremmo ancora quel tipo di sguardo. Di nuovo Contin nota come l’autrice si avvicini ai loro volti, alle loro spalle, con angolature che suggeriscono uno sguardo obliquo, di sguincio, in cui vengono calati lettori e lettrici. Poi succede che l’abisso si apre e ci inghiotte: le splash page su Napoli sono dei buchi neri in cui veniamo risucchiati, in cui finalmente è il colore nero a prevalere e le linee bianche graffiano lo spazio, come le tracce di una bestia in gabbia che cerca di uscire.

pg6E poi muori sembra voler rispondere alla domanda: come si racconta l’indicibile? La risposta in questo caso, nel caso di una città come Napoli, è crudele e frammentata. Il modo di raccontare e di disegnare dell’autrice rende la lettura difficilissima: cambi di inquadratura continui su disegni non sempre chiari, per nulla “trasparenti”, uno sguardo in continuo movimento che non si lascia seguire, personaggi non sempre riconoscibili, tutti gli elementi del disegno rendono faticoso procedere con il racconto. A questa frammentazione delle sequenze fa eco la frammentazione della storia: la prima scena si svolge alle 10.46, quella successiva alle 9.46, poi alle 10.17 e così via, tra salti temporali continui. Il risultato è molto preciso: l’ansia.
Ansia di essersi persi qualcosa, di aver dimenticato un dettaglio, di non collocare il momento nel posto giusto sulla linea temporale, di confondersi e perdersi. Siamo portati a fare attenzione a tutto, a come ci muoviamo nella pagina, così come i personaggi sono tesi nel loro muoversi per le strade. Il fumetto si basa su un ingranaggio narrativo stridente, che ci intrappola, appunto, e che fa salire il desiderio di trovare al più presto la via d’uscita. Questo perché sappiamo di trovarci davanti a un mistero e andiamo alla ricerca di indizi, cerchiamo di seguire la storia che la mano dell’autrice ci sta raccontando. Forse la sua unica debolezza è proprio questa: i disegni sono perfetti per comunicare sensazioni, stati d’animo e atmosfere, ma quando si tratta di condurre una storia, come in questo caso, alcuni passaggi possono risultare poco leggibili; d’altra parte, lo stile rende bene la sensazione di trovarsi dentro a un incubo, comunica la disperazione di chi ha guardato dentro il buio e cerca di uscirne, senza morirci dentro.

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L’obiezione potrebbe essere che l’autrice fa un ritratto impietoso della sua città natale, una città nota per essere (anche) meravigliosa. Bisogna fare attenzione a conclusioni di questo tipo: Federica Ferraro disegna un’immagine possibile della città di Napoli, il suo modo personale di vederla e di guardarla. In secondo luogo, la città è protagonista di una storia di cui però non è l’oggetto: al centro qui c’è lo sguardo sull’abisso. E se è vero che “quando guardi a lungo dentro l’abisso, l’abisso ti guarda dentro”, in E poi muori si ha l’impressione che “quando guardi a lungo dentro l’abisso, poi non riesci a smettere di guardarlo”. Sta sempre lì, dietro di te, proprio ai confini del tuo campo visivo. E sentendolo, è impossibile non lanciargli delle occhiate. Forse è per questo che Vincenzo è sparito.

L’autrice ci consegna uno di quei fumetti che richiede (almeno) una seconda lettura, non facile, e quindi anche coraggioso, che non va incontro a uno storytelling lineare, a un disegno chiaro e piacevole. È un fumetto che mette in difficoltà, che chiede di lasciarsi andare alle sensazioni, ai brividi, ma è anche un testo su cui ragionare, proprio perché denso e carico di zone d’ombra. Viene il dubbio che un lavoro così viscerale sia in fondo anche un atto d’amore, verso se stessi, verso il proprio passato e verso una città complessa.

Abbiamo parlato di:
E poi muori
Federica Ferraro
Sputnik Press, 2022
150 pagine, brossurato, bianco e nero – 13,00 €

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