Dylan Dog Oldboy #1 – Non si batte il classico?

Dylan Dog Oldboy #1 – Non si batte il classico?

Contu e Baraldi, accompagnate da Montanari & Grassani, varano il nuovo Maxi Dylan Dog, il cui desiderio di classicità è croce e delizia di questa operazione.

DYDob1Una delle prime decisioni di  una volta diventato curatore di  fu quella, con l'avvento della “Fase 2” nel 2014, di dare a ogni testata del parco dylaniato una propria identità: se da una parte la serie regolare avrebbe portato piccole e grandi rivoluzioni per adattare i personaggi a un contesto più moderno, il Color Fest e lo Speciale sarebbero diventati rispettivamente la fucina della sperimentazione e una saga parallela “autonoma” intitolata Il pianeta dei morti interamente gestita da .

Il Maxi Dylan Dog si guadagnò il sottotitolo di Old Boy per diventare contenitore delle avventure di un indagatore dell'incubo “classico”, cristallizzato nelle sue connotazioni datate 1986; oggi questa testata subisce una nuova trasformazione perdendo uno spazio – è OldBoy tutto attaccato – e con un cambio di periodicità e foliazione – bimestrale a doppia storia – che lo rende a tutti gli effetti una serie parallela a quella regolare.

Non si può inaugurare una testata volutamente conservatrice – come ricorda anche lo strillo ben visibile in copertina – soprattutto se si parla del fu Maxi, senza avere alle matite la coppia inossidabile formata da Giuseppe Montanari ed Ernesto Grassani, amatissime colonne portanti della serie fin dagli esordi; è innegabile che sotto il profilo artistico le promesse siano mantenute in pieno, la sensazione è quella di trovarsi tra le mani uno dei primi “balenotteri” estivi di Dylan o uno dei primissimi storici numeri quale Le notti di luna piena.
Se è vero che la coppia rappresenta la scelta più sicura per un'operazione di questo tipo, l'impressione è che forse sia mancato un pizzico di coraggio nell'assortimento dei disegnatori, soprattutto quando in quarta di copertina, tra le anticipazioni del secondo numero, si può notare la presenza di un autore ben più visionario come .
La tradizione per un personaggio così sfaccettato come Dylan Dog, il cui primo numero portò in edicola un artista come , che di tradizionale nel 1986 aveva ben poco, non dovrebbe mai limitarsi a un unico stile e la linea di Montanari e Grassani oggi rischia di risultare vetusta per chi non è un fan della prima ora. La loro impostazione vintage e “vecchia scuola” è sicuramente l'effetto cercato e voluto ma – al di là di un'impostazione molto classica nelle inquadrature e nella regia delle vignette – a fronte di alcune sequenze veramente ben riuscite e ricche di dettagli, in altri casi il risultato finale risulta meno curato e privo di mordente.

La continua ricerca di voci nuove per coprire la varietà di stili che da solo Tiziano in Sclavi era in grado di offrire, ha portato anche nel corso degli anni diverse sceneggiatrici a cimentarsi con l'inquilino di Craven Road 7 e questo primo Oldboy è caratterizzato da storie entrambe sceneggiate da due scrittrici: , quasi-nuova leva dello staff dell'indagatore dell'incubo e , ormai di casa da qualche anno sulle pagine della serie regolare.
La sceneggiatrice sarda, dietro a un titolo rubato alla filosofia del Candido di Voltaire, imbastisce una trama che non può non riportare alla mente, oltre alla serie di Netflix Black Mirror, anche e soprattutto il classico di John Carpenter Essi vivono, che va a indagare gli abusi della tecnologia – e non solo – all'interno di una società in apparenza giovane e perfetta, ma con molti scheletri da nascondere negli armadi. La regina del terrore di Mirandola invece mette in scena la più classica delle indagini dylandoghiane, con un Bloch eternamente pensionabile e il fido Groucho sulle tracce di un killer senza volto.

Due racconti diversi ma allo stesso tempo simili, con chiari rimandi alle suggestioni tipiche della poetica sclaviana, in bilico tra l'orrore fantastico e quello più reale del “i mostri siamo noi” e un citazionismo che spazia dai classici e H.P. Lovecraft al più moderno .

Lo stesso appunto fatto all'ambito artistico si potrebbe estendere anche a quello narrativo, ovvero di non aver provato a osare, affidandosi agli stilemi delle sceneggiature di Sclavi che penalizzano due storie, soprattutto la prima, potenzialmente interessanti.
La sensazione che traspare è quella di trovarsi davanti ad uno “sceneggiatore che scrive Sclavi che scrive Dylan Dog” soffocando la voce, distinta e distinguibile, delle due autrici – uniformandola ed appiattendola – e questo penalizza anche la narrazione, appesantita da didascalie – sia di nota delle citazioni, che in sostituzione ai balloon – e dialoghi spesso ridondanti.

OB2

Una volta chiuso l'albo si ha effettivamente la sensazione di aver viaggiato indietro nel tempo di qualche decennio e questo è al contempo il miglior pregio e il peggior difetto di questa iniziativa: se da un lato l'Oldboy rappresenta un porto sicuro per i vari fan incapaci di abbandonare un personaggio nel quale da tempo non si riconoscono più, dall'altro il volersi muovere con i piedi di piombo per accontentare questo novero di lettori ha permeato l'albo di una patina di stantio che rischia comunque di scontentare i più; gli stessi entusiasti degli scossoni proposti dal Ciclo della meteora prima e da quello 666 dopo, difficilmente troveranno un'alternativa valida in grado di soddisfare il loro desiderio, seppur in salsa dylaniata, di tranquillità.

Una menzione d'onore va al nuovo frontespizio dei Cestaro Bros., che mantengono il ruolo di copertinisti nonostante il mutarsi della testata, il quale riesce a mixare sapientemente – forse più dell'albo stesso – classico e moderno.

Abbiamo parlato di:
Dylan Dog Oldboy #1 – Il migliore dei mondi possibili, La solitudine del serpente
Gabriella Contu, Barbara Baraldi, Giuseppe Montanari, Ernesto Graziani
Editore, giugno 2020
196 pagine, brossurato, bianco e nero – 6,50 €
ISSN: 977182645204500039

 

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