Luigi Mignacco nasce a Genova il 27 giugno 1960, ma vive e lavora a Cabella Ligure (Alessandria). Frequenta la Facoltà di Lettere e Filosofia, prima all’Università di Firenze e poi a Genova. Inizia a scrivere fumetti nel 1981, collaborando al settimanale Lanciostory. Dal 1982 al 1985, tramite lo Staff di If, scrive moltissime storie per Topolino. Nel 1983, la rivista Orient Express gli dà l’opportunità del successo internazionale: una storia da lui scritta, Il Detective Senza Nome (realizzata graficamente da Massimo Rotundo) ha un notevole successo anche all’estero. La sua collaborazione con la Sergio Bonelli Editore risale al 1986: da allora, Mignacco scrive storie per Martin Mystère, Nick Raider e Dylan Dog, ma soprattutto per Mister No. Ancora per la Casa editrice di via Buonarroti, crea il personaggio di Robinson Hart, le cui avventure sono pubblicate su Zona X, e scrive i testi dello Speciale Mark #10. Tra il 1986 e il 1990, lavora anche per Il Giornalino, scrivendo racconti e il serial di fantascienza Due Cuori e un’Astronave, disegnato da Roberto Rinaldi. Inoltre firma alcune storie per Intrepido, mentre per Comic Art dà vita, insieme a Sergio Zaniboni, al sexy-fantasy Pam & Peter. Nel 1990, scrive per la rivista L’Eternauta il serial Corsaro, uno degli ultimi lavori di Attilio Micheluzzi. Attualmente scrive per Dylan Dog, Dampyr, MartinMystère.
In questa intervista approfondiamo il suo rapporto con l’Indagatore dell’incubo.
A lungo si è pensato a un Dylan Dog indissolubilmente legato a Sclavi. Per te è ancora così nelle “fondamenta” del personaggio? Come ci si muove nell’equilibrio tra ciò che Dylan Dog è nella interpretazione del suo “padre” e quello che di personale un autore cerca sempre di mettere nelle sue opere?
Ho sempre pensato che esistono (almeno) DUE Dylan Dog: uno è il Dylan di Tiziano, che costituisce una specie di autobiografia immaginaria del suo autore, cui in effetti è indissolubilmente legato; l’altro è il personaggio da lui abilmente costruito per i lettori e per gli altri autori, che finiscono per rispecchiarsi in Dylan, ritrovandovi le proprie emozioni, così da renderlo il protagonista della loro vita immaginaria. Forse questo si può dire di ogni personaggio letterario ben riuscito, da Anna Karenina a Holden Caulfield, da Jean Valjean a James Bond. Con Dylan Dog entrano in gioco anche le dinamiche più recenti della cultura di massa, dal fumetto a internet. Tutti pensano “Dylan Dog c’est moi”, gli autori e anche i lettori. Ma in realtà Dylan Dog è lui.
Dylan Dog è stato un fenomeno artistico, editoriale e sociale. Nel suo periodo di maggiore successo è stato protagonista di pubblicità, merchandising, ha generato bizzarri epigoni, è stato ospite di riviste a larga diffusione. Sembrava che tutti leggessero Dylan Dog. Come ci si approccia a un personaggio e a un fenomeno del genere senza esserne schiacciati? Fa paura scrivere Dylan Dog?
Un po’ sì, e da sempre. Quando ho cominciato non era così popolare, era l’autunno del 1986 e Dylan sembrava destinato a pochi ma buoni lettori, ma per me c’era la responsabilità di confrontarmi con un autore bravissimo come Tiziano, e con un linguaggio nuovo, molto moderno, veloce e sincopato. Tiziano mi ha aiutato con consigli e comprensione. Poi Dylan è diventato un personaggio di grande, grandissimo successo, tuttora sento la responsabilità di misurarmi con molti lettori e con l’evoluzione del linguaggio. Ma scrivere Dylan è anche piacevole, come ritrovare un vecchio amico. O come guidare un’auto che funziona bene, e che sa superare con eleganza anche i passaggi più difficili.
Qual è l’idea centrale del “tuo” Dylan Dog e cosa lo rende immediatamente riconoscibile e unico?
A me piace leggere storie dove ci sono azione, ritmo, divertimento, magari un po’ di cinismo, e cerco di scrivere Dylan Dog con questi ingredienti.
Sei entrato nel team di sceneggiatori della serie da subito. Come è cambiato da allora a oggi il tuo approccio e la tua interpretazione del personaggio e delle tue storie? Com’è maturato il tuo modo di scrivere Dylan Dog e farlo come ti ha influenzato negli altri tuoi lavori?
Ho cominciato a scrivere Dylan trent’anni fa, quando era uscito in edicola da un mese o poco più. Da allora sono cambiate tantissime cose, per me, per la casa editrice e per il mondo che ci circonda (Groucho direbbe: “il mondo che ci assedia”). Eppure, quando scrivo una storia per Dylan mi sento come allora: penso che è un personaggio nuovo, molto attuale, e che ha un linguaggio libero, fuori dagli schemi. Magari è una sensazione del tutto personale ma credo che la carica innovativa di Dylan Dog non si sia affatto esaurita, e che mi stimolerà a cercare soluzioni nuove ancora per molto, moltissimo tempo.
C’è qualcosa che cambieresti in Dylan Dog e qualcosa a cui non rinunceresti mai?
Non cambierei nulla. Il fatto che lui indossi sempre la stessa giacca e che cambi fidanzata ogni mese, che sia così “fumetto” e così “finto”, lo rende l’interprete perfetto delle nostre vere nevrosi. Come i Peanuts, che sono rimasti bambini per sempre, ma così adulti. E non rinuncerei a Groucho, che sembra finto ma “recita” la sua parte. È lui il principale rappresentante del buonsenso, nel mondo da incubo in cui vive Dylan. Che poi è anche il nostro mondo.
Che ruolo ha avuto Dylan Dog nella tua vita?
Mi ha fatto crescere come autore. Mi ha dato l’opportunità di partecipare a un momento importante nella storia del fumetto italiano. E poi, il mio “quarto d’ora di celebrità” lo devo a lui. Insomma, Dylan Dog conta molto per me.
Dylan è sempre stato un personaggio con una forte aderenza al sociale, le sue storie spesso si sono fatte carico di messaggi sui diritti, l’uguaglianza, la pace, il rispetto per gli animali… Questo pone l’attenzione sul tema della responsabilità dell’autore nei confronti delle sue opere. Che cosa significa per te questo tema, in particolare per Dylan Dog?
Credo che un autore, non solo di fumetti e non solo di Dylan Dog, abbia sempre una grande responsabilità verso i contenuti di quello che produce. E non si tratta di lanciare messaggi. Non credo che il fumetto (come pure il romanzo, il cinema, la televisione ecc.) abbia una funzione pedagogica, che possa “insegnare” qualcosa a qualcuno. Ma esiste una pedagogia “interna” ai racconti che scriviamo. Nelle storie si parla sempre del bene e del male, si cercano delle risposte. Io queste risposte non le ho pronte, le cerco attraverso il gioco del racconto, faccio agire personaggi “buoni” e “cattivi” (o meglio, attribuisco ai personaggi scelte diverse, “buone” e “cattive”) e vedo quello che succede. Non trucco le carte, non voglio dimostrare che il bene vince sempre, anche perché temo che nella realtà succeda spesso il contrario. Cerco delle soluzioni. Non credo al buonismo e neppure al “cattivismo”. E secondo me le storie con più forte tensione morale sono quelle dove il male sembra trionfare: non credo che offrano modelli negativi al lettore, anzi, la finzione è uno specchio nero che ci permette di guardare anche la parte peggiore di noi. E le fiabe a fumetti di Dylan Dog con i loro finali aperti, non consolatori, raccontano questo tipo di storie.
Rendere l’orrore è difficile. La paura, l’irrazionale. Ci sono tante sfumature del genere in Dylan, commistioni. Lo stesso genere è cambiato molto dagli anni ’90 a oggi. Che cosa significa scrivere un fumetto horror oggi? Come evolve Dylan Dog in questo?
Io non mi considero uno specialista dell’horror. E credo che in Dylan Dog la paura, o meglio la nevrosi, sia soprattutto una chiave per raccontare tutti gli altri sentimenti. Penso che oggi per fare un horror si debba guardare con grande sincerità un po’ tutto lo spettro delle emozioni umane. E temo che oggi gli “specialisti in paura” non siano gli scrittori horror ma tutt’altro genere di persone, quelli che usano le fobie personali e collettive per manipolare la gente nel mondo reale.
Per finire, vorrei segnalare ai lettori de Lo Spazio Bianco un’iniziativa speciale per celebrare i trent’anni di Dylan, che sarà pubblicata “fuori serie”. Proprio nel mese di ottobre la collana Zenith, che ospita da oltre mezzo secolo le avventure di Zagor, giungerà al numero 666: cifra che i lettori di Dylan conoscono bene! Ma è una coincidenza davvero “diabolica” se si pensa che Tiziano Sclavi, prima di creare Dylan Dog, ha scritto per molti anni le storie dello Spirito con la Scure. Nell’albo Zenith 666 verrà pubblicata con un’avventura in cui Zagor ritroverà molti personaggi creati da Tiziano: tutta a colori, scritta da me e disegnata da uno dei migliori interpreti dell’Old Boy, Luigi Piccatto, sarà un omaggio allo spirito dylandoghiano di Zagor. E se pensate che l’eroe di Darkwood non c’entri molto con l’Indagatore dell’Incubo, vi dico una cosa: oltre trent’anni fa, nella scheda che presentava il nuovo personaggio all’editore e ai futuri collaboratori, Tiziano paragonava Dylan proprio a Zagor!