Con il numero 406 Dylan Dog conclude il percorso di downgrade che il curatore Roberto Recchioni aveva annunciato durante lo showcase a Lucca Comics & Games 2017. Con l'albo di giugno 2020, infatti, si giunge all'epilogo del ciclo 666 e a un finale di stagione che chiude la sequenza di albi aperta con l'avvento della meteora.
Il lungo percorso di rielaborazione ha consegnato ai lettori storici un personaggio con origini più dettagliate, con un codice morale maggiormente strutturato e con la costruzione di rapporti basati su nuovi equilibri, soprattutto con Bloch e Rania. Interessante anche il modo in cui viene raccontato il recupero dall'alcoolismo del protagonista.
L'arco narrativo aperto dal #401 ha saputo raccontare Dylan Dog anche a chi si fosse avvicinato per la prima volta all'Indagatore dell'incubo, magari incuriosito dalle copertine di Gigi Cavenago, arricchite dagli effetti speciali, o dalle tavole dei sei albi, che hanno confermato il talento dei disegnatori che si sono alternati nel dare forma alle sceneggiature di Recchioni: da Roi a Roi, che ha aperto e chiuso il ciclo, passando per Dossena, Mari, Gerasi e Pontrelli.
Gli albi raccolti sotto il 666 si sono dimostrati complementari al ciclo della meteora e fedeli allo spartiacque rappresentato dal numero 400. L'albo celebrativo ha infatti liberato Dylan Dog da una sorte di ‘dittatura' di Sclavi; sebbene la figura del creatore sia rimasta ai margini per un lungo periodo, il suo carisma e il suo legame con l'Old boy hanno rappresentato per chi lo ha scritto una zona di sicurezza, ma anche l'impedimento nel dare all'inquilino di Craven Road la freschezza che il personaggio reclamava.
Una specie di paradosso per cui, mentre si costruivano storie ‘come le avrebbe scritte Sclavi', erano proprio Sclavi, Dylan Dog e i lettori stessi a essere traditi. Il #400 è il manifesto nel quale si palesa la volontà di dare un taglio autoriale alla testata, consegnando il personaggio alla penna di chi lo scrive secondo l'assioma di fisica fantastica per il quale raccontare storie costruisce, o fa collassare, interi universi.
La ricerca su Dylan fatta da Recchioni affonda le sue radici nelle sue prime storie per il personaggio e in quel Il Modulo A38 (#268) con cui esordì sulla testata e nel quale, quasi profeticamente, si trovava a giocare con il rapporto tra Dylan e Groucho che nell'albo in questione veniva cancellato dalla faccia della Terra, e ne Il giudizio del corvo (#311), nel quale appariva un villain che metteva alla prova le certezze di Dylan trasformandole in debolezze; un personaggio, quello, che meriterebbe di essere approfondito.
Poste le origini e l'idea di rinascita annunciata in Spazio Profondo (#337), occorrevano due momenti ugualmente necessari e che nella storia dei personaggi seriali non sono inusuali: la demolizione e la successiva ricostruzione del personaggio.
Alla Meteora è toccato l'ingrato compito di smontare Dylan, minando tutti gli elementi che lo hanno reso statico come un monolite: dal rapporto con Bloch al suo ruolo nella società fino al legame con Groucho. Dopo la lunga pars destruens, la ricostruzione, o pars construens è stata condensata in questi ultimi sei albi seminali.
Come per Batman Year One con il quale Frank Miller ha ridato forma alle origini dell'Uomo Pipistrello, il ciclo 666 ha riproposto, con un nuovo arrangiamento, le suggestioni dei primi albi della serie. Dylan viene messo a nudo e mostrato guascone, ma anche colmo di fragilità, le stesse che storicamente hanno permesso di empatizzare con lui.
L'ultima risata, l'albo che chiude il ciclo, sente l'influenza del Dylan delle origini, ma allo stesso tempo si discosta dal percorso di riscrittura imposto agli albi che lo hanno preceduto, proponendo una storia che sa ammiccare alla tradizione pur restando originale.
Il biglietto da visita dell'albo è rappresentato dai due talenti che lo hanno illustrato. Cavenago realizza una copertina che conferma che la galassia nella quale si muove Dylan Dog ha al suo centro Groucho, reale incarnazione del caos; il volto trasfigurato e affatto rassicurante del comico e il colore innaturale utilizzato trasmettono un disagio dal quale è difficile separarsi. Il messaggio contraddittorio, un personaggio positivo mostrato sotto una luce sinistra, oltre a essere efficace, conferma il talento di Cavenago nel trovare il giusto incontro tra forme e colori per illustrare uno stato d'animo.
È poi sufficiente un solo sguardo distratto alle tavole di Roi per restarne colpiti in modo decisivo. Il fumettista porta il suo talento a un nuovo livello consegnando tavole intense. L'apertura dell'albo e la panoramica del manicomio di Harlech immergono il lettore in un ambiente infernale. Il racconto in nero di Roi ben si adatta all'ambente alienante e claustrofobico del manicomio. Se il contesto trasmette il giusto disagio, non è da meno la recitazione imposta ai personaggi. Il Dylan Dog terrorizzato e la follia dell'anima nera che alberga negli occhi di Groucho sono forse il punto più alto di un albo al punto che la storia, anche se la si scorre ignorando nei dialoghi, fluisce senza inciampi.
La rapidità di azione e il modo in cui i disegni riescono a tenere il ritmo sono forse la caratteristica migliore che conferma, dopo la prova maiuscola di Anna per sempre, le qualità registiche di Recchioni, che privilegia un uso dinamico della tavola e che ottiene il meglio quando si trova a lavorare con disegnatori che nella gabbia non ci vogliono stare
L'apertura della storia viene affidata a una filastrocca che spiazza. Mentre il contesto e la scena, una bambina che salta la corda, richiamano la storica filastrocca di Mana Cerace, che dava una partitura a Il buio (#34), le parole che si incontrano qui sono invece quelle leggere de La casa di Sergio Endrigo. Un contrasto che consegna un'atmosfera infernale, risultando annuncio esplicito del viaggio che intraprendono Dylan e Gnaghi nelle viscere di Harlech Asylum, il manicomio in cui si cela il folle Groucho che imperversa in questo universo post-meteora.
Il luogo viene annunciato con una splash page che mostra un giardino sorvegliato da gargoyles.
Struttura , percorso e soprattutto il potere evocativo delle tavole rimandano al viaggio di Batman nel cuore di Arkham alla ricerca di Joker, il suo uomo che ride.
L'assonanza con l'alter ego di Bruce Wayne è un aspetto sul quale si indugia molto e che molto ha a che fare con il gusto personale di Recchioni ma anche, probabilmente, con il cross over in preparazione tra il Cavaliere oscuro e l'indagatore dell'incubo che lo stesso Recchioni sta scrivendo. Dylan Dog da sempre vive di suggestioni e contaminazioni e le atmosfere offerte da Gotham City trovano in lui il soggetto adatto ad abitarle.
Come per il canto terzo dell'inferno dantesco, Harlech si annuncia con la sua porta mentre Dylan viene accolto da un cane infernale come il poeta fiorentino all'inizio del suo viaggio nel mezzo del camin della sua vita. Il percorso nelle viscere di Harlech Asylum riporta Dylan agli elementi che lo definiscono. Un percorso iniziatico che evidenzia la sua empatia, l'intuito e il suo idealismo assoluto, caratteristiche che tornano a essere elementi decisivi. Il percorso di costruzione svela l'intento dell'albo ma allo stesso tempo è in parte smorzato dall'impazienza di arrivare all'azione, a quel confronto con il villain inseguito nel corso della saga.
Il tutto è accompagnato da dialoghi sprezzanti, che non nascondono il ricorso a frasi storiche e che sono la firma del suo autore. Recchioni non rinuncia al taglio pop pescando a piene mani dagli action movie anni ottanta, quando il protagonista di turno apriva bocca solo per frasi che i ragazzi di allora avrebbero copiato sulla Smemoranda. Immancabile anche una certa ironia che alleggerisce i momenti di maggiore tensione e conferma che il sodalizio con Gnaghi funziona.
La prova finale in una specie di loop cosmico, è speculare alla sequenza che chiudeva il ciclo della Meteora. Ancora il caos, incarnato non da John Ghost ma da Groucho, e ancora la scelta tra principi e sentimenti come decisiva per il destino dell'universo. Il Groucho con il quale Dylan si trova a fare i conti è l'incarnazione delle debolezze di Dylan e in questo senso si spiega anche il cammeo di Mater Morbi/Anna Never a richiamare il demone, quello nella bottiglia, del quale Dylan si sta liberando.
A conti fatti l'albo non ha l'impatto di quelli che lo hanno preceduto ma è l'epilogo di stagione di cui c'era bisogno.
Dylan conclude il suo percorso costruendosi le fondamenta che lo definiranno nel prossimo futuro e si proietta così verso le prossime storie.
In un percorso di ricostruzione – il ritorno di Dylan Dog non era mai stato in dubbio – a incuriosire è sempre come certi elementi tornino al loro posto. L'ultima risata riassembla i paradigmi dylaniati apparecchiandoli sulla tavola realizzata da Roi. Dylan torna a occupare il suo posto dopo aver ridefinito il suo rapporto con Bloch, il suo legame con Rania e Carpenter e messo in ordine alcuni elementi che in precedenza venivano dati per scontati.
Quello che colpisce è invece Groucho che ri-trova il suo posto occupando la stessa casella che abitava prima del confronto tra Dylan e Ghost, come a voler sottolineare come il nuovo universo non sia nato attorno a Dylan ma proprio attorno al suo compagno, rimasto puro e folle tanto che Dylan stesso ne accetta la presenza come inevitabile.
In tutto questo la grande perplessità dell'albo è rappresentata invece dal destino di Gnaghi. Mano a mano che il ciclo 666 veniva sgranato, e che il sodalizio con Groucho veniva ricomposto, il fato di Gnaghi si faceva altrettanto chiaro. Anche in questo caso a incuriosire non era il se, quanto il come, e la speranza era che il pard prestato a Dylan dal suo alter ego Francesco Dellamorte non fosse trattato come il guardiamarina Jones di Star Trek, il personaggio marginale chiamato a assistere i protagonisti in missione e destinato a non fare ritorno. La costruzione del personaggio e la cura dedicata alla sua caratterizzazione sembravano scongiurare questa eventualità perché hanno reso Gnaghi protagonista a pieno titolo, qualcuno di cui, una volta uscito di scena, avremmo sentito la mancanza. Per tutte queste ragioni il distacco da Dylan, sebbene funzionale al percorso imposto, meritava una maggiore enfasi, un'elaborazione che fosse il culmine di un personaggio con un bel potenziale e che comunque sarebbe bello ritrovare nei meandri dell'Altroquando.
Curioso, infine, come Recchioni risolva la questione della divisa indossata da Dylan unendo la sua visione della scelta dell'outfit alle versioni fornite da Marcheselli ne Il Lungo Addio (#74) e di Sclavi stesso, che ne parla nel primo storico team up con Martin Mystere.
Recchioni opta per una versione dissacrante che potrebbe far storcere il naso ma che mostra gli stessi elementi di casualità già raccontati.
La scelta della divisa non è mai stata, se non nel futuro dispotico costruito da Alessandro Bilotta con il suo Pianeta dei morti, una liturgia quanto più propriamente un destino frutto di una scelta casuale.
Il Dylan Dog di Recchioni attinge a piene mani dalla mitologia del personaggio per restituirlo uguale eppure rinnovato, contemporaneo esattamente come lo era quando è apparso nelle edicole nel settembre del 1986, un anti-eroe figlio del nostro tempo come lo era negli anni 80. Apparentemente cinico e disincantato eppure idealista, coraggioso al limite dello sfrontato e che unisce a un metodo deduttivo discutibile un intuito invidiabile.
Al suo fianco il più improbabile dei compagni, folle e anarchico come un bambino e fedele come solo il migliore degli amici può essere, il solo che, di fronte all'apocalisse, Dylan Dog porterebbe all'altare in ogni altro e in ogni quando.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #406 – L'ultima risata
Roberto Recchioni, Corrado Roi
Sergio Bonelli Editore, giugno 2020
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,90 €
ISSN: 977112158004700406