In un momento storico in cui la serie regolare concede purtroppo pochi numeri degni di nota, le storie migliori di Dylan Dog, o comunque più originali e con un intento di innovazione e sperimentazione, sono appannaggio quasi esclusivo delle pubblicazioni collaterali come questo primo Color Fest uscito nel 2022 o persino il Dylan Dog – Oldboy, che in teoria dovrebbe essere dedicato a storie più classiche per la vecchia guardia.
Per realizzare Estreme Visioni, titolo di questo Color aperto da una gran bella copertina di Ambra Garlaschelli, davvero eccellente nel lavoro di sintesi svolto, composizione iniziale e sovra composizione finale, sono stati chiamati Officina Infernale, Spugna e Jacopo Starace, tre autori completi, lontani dalle produzioni Bonelli per spirito e tipologia di approccio al fumetto. Non una casualità, probabilmente, visto che i tre autori sono concettualmente e artisticamente vicini a quelli che hanno realizzato Tre passi nel delirio, il sedicesimo Color Fest, confezionato da Ausonia, Marco Galli e dall’indimenticato Akab 1, una delle più alte vette del Dylan “diverso”: non il solito, noioso personaggio ormai ingessato in caratteristiche che nel tempo lo hanno imprigionato in una gabbia narrativamente quasi impenetrabile.
Privi di queste catene, i fumettisti hanno potuto sbizzarrirsi in tre storie brevi in cui finalmente nessuna ingombrante e retorica tematica sociale è presente, mentre il personaggio di Dylan viene masticato, inghiottito, digerito e infine espulso in una forma nuova che risulta fresca, intelligente e decisamente apprezzabile nel risultato finale, soprattutto perché rispettosa delle caratteristiche personali e tecniche dei tre autori, non eccessivamente snaturate. In una rara eccezione, infatti, soprattutto nell’ambito della produzione fumettistica della Sergio Bonelli Editore, dove il personaggio e le sue peculiarità sono quasi sacre, il protagonista si piega alle idee, alle abilità e alla sensibilità dell’autore – e non il contrario, come succede quasi sempre.
Proprio aver potuto utilizzare le proprie cifre autoriali senza grossi stravolgimenti ha dato loro modo di creare tre episodi ben scritti e costruiti secondo una logica di decostruzione precisa, in cui la figura dell’indagatore rimane perno centrale, ma senza essere mai ingombrante o desueta e, anzi, capace di adattarsi alle nuove incarnazioni pensate per lui.
Si va dalla versione iconoclasta che si muove in una Londra folle ed esoterica di Officina Infernale, a quella muta e decisamente dedita alle mazzate, allo splatter e alla distorsione del corpo delineata da Spugna, per poi chiudere con il sogno rivelatore di Starace, l’episodio che più si concentra sulla personalità del character creato da Tiziano Sclavi, in cui Dylan viene messo davanti a tutte le sue debolezze e i compiti da personaggio pubblico a cui deve adempiere. Intelligente anche l’utilizzo minimale di Groucho, qui in veste di semplice comparsa, sostituito da nuove protagoniste o fatto recitare in ruoli di figura onirica, una scelta che lo affranca dal dover riempire ridondanti dialoghi fiume con battute noiose e inefficaci (e soprattutto libera noi lettori dal doverli sopportare).
Molto valide e azzeccate anche le tre visualizzazioni grafiche, davvero funzionali e attinenti al progetto: il disegno volutamente “disordinato” e sghembo di Officina Infernale, alternato a inserti fotografici e un utilizzo esasperato di giganteschi retini e un Dylan in versione metal, rozza, tozza, maleducata e con i capelli sparati verso l’alto, poco incline alle smancerie e decisamente cinico, lontano dal cavaliere dall’armatura splendente a cui siamo ormai abituati e più vicina al John Constantine di Hellblazer; il body horror estremo e citazionista (David Cronenberg su tutti) di Spugna che, grazie alla sua bravura nello storytelling, delinea un convulso, mostruoso percorso (anzi, livello, volendo essere attinenti al racconto) di lotta e sopravvivenza attraverso il suo inconfondibile stile caricaturale, definito da colori sempre vivi e accesi. Infine, attraverso una serie di tavole davvero ben strutturate, l’elegante, raffinato tratto di Starace ci immerge nel teatro della (non) consapevolezza di Dylan, nel suo non cogliere il ruolo di attore assegnatogli, nel dover sempre rispondere alle attese della critica e a quelle di un pubblico esigente che si aspetta che lui compia sempre diligentemente la sua parte.
Insomma, a conti fatti, viste le difficoltà ormai endemiche nell’approcciarsi a Dyd, ci troviamo davanti a un Color Fest ben riuscito nelle componenti grafico/narrative che lo contraddistinguono e che, pur non risultando sorprendente come il già citato Tre passi nel delirio, è sicuramente un tentativo, realizzato con capacità e consapevolezza, di dare nuove espressioni a un personaggio che mostra tutti (ma proprio tutti) gli anni di produzione seriale precedente.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog Color Fest #40 – Estreme visioni
Officina Infernale, Spugna, Jacopo Starace
Sergio Bonelli Editore, 2022
96 pagine, brossurato, colori – 5,90 €
ISSN: 977197194704520040
tutti e sei, insieme ad altri autori e autrici, fanno parte del collettivo artistico Stigma fondato proprio da Akab ↩