“Ma alla fine cosa rimane? Solo il banale orrore di due persone che si trovano per caso e che si piacciono, si amano, magari pensano perfino che l’amore sia qualcosa di eterno finché una delle due abbandona l’altra e scompare…”
(da Gente che scompare, Dylan Dog #59)
Sin dagli albori, uno dei punti di forza di Dylan Dog è stato il richiamo ad alcune paure ancestrali dell’uomo, recondite o meno. Tra queste, l’incubo di ritrovarsi soli, il timore di non essere considerati e l’abisso generato da una perdita affettiva. Tutti elementi che sublimano nella costante rinascita dell’amore di Dylan Dog verso una fanciulla differente. Molti lettori, negli anni, hanno elevato a emblema la sua attitudine a dire “Ti amo” con la medesima facilità con cui è pronto a dimenticare la ragazza di turno e vivere una nuova avventura (autoconclusiva) il mese seguente. Tutto ciò, senza mettere in dubbio che il sentimento dichiarato fosse autentico e sentito.
Nell’albo Il cuore degli uomini, Roberto Recchioni e Piero Dall’Agnol mettono l’Indagatore dell’incubo faccia a faccia con le contraddizioni del millantare amore senza riuscire a rispettarne i presupposti. La storia si svolge su due piani paralleli: fisico e onirico.
Nella realtà, la fine dell’ennesima storia d’amore porta conseguenze inedite per Dylan, torturato dal padre della ragazza che ha appena fatto soffrire. Parallelamente, il montaggio incrociato della sceneggiatura mostra una giornata sin troppo idilliaca che prende una brutta piega, portando Dylan a scontrarsi con un’entità crudele ed efferata. Queste scene sono ambientate in un piano meno tangibile, verosimilmente identificabile con un sogno del protagonista; per renderle, gli autori scelgono un registro crudo e realistico, inusuale per la serie. È possibile intravedere in tali passaggi l’inconscio dello stesso Indagatore dell’incubo: la sua parte più cinica ed egoistica affronta il suo alter ego altruistico e corteggiatore. Il dualismo, però, non viene affrontato fino in fondo nella storia, ideata da Roberto Recchioni, preferendo invece dare più spazio al plot realistico. L’impressione è che l’autore romano avrebbe potuto sviluppare in maggior misura la rappresentazione dualistica e quasi teatrale delle pulsioni del protagonista, amplificando lo spessore dell’intera storia.
L’esigenza narrativa di partenza era intrigante: ovviare all’ingombro di anni di storie che avevano ridotto a routine i rapporti di Dylan con il gentil sesso. Tranne alcuni casi, i vari sceneggiatori che si sono avvicendati avevano utilizzato escamotage sempre meno fantasiosi per introdurre personaggi femminili nelle storie, rendendo bidimensionale l’approccio affettivo del protagonista. Con la nuova stagione editoriale di Dylan Dog, la continuità tra le storie è stata ripensata, in favore di una maggior coerenza e interrelazione tra i singoli episodi. Viene quindi meno il presupposto di base: Dylan Dog non è costretto a rimanere nei soliti cortocircuiti narrativi e alcuni elementi introdotti in un albo possono avere ripercussioni anche importanti negli albi successivi. Vi è quindi anche la possibilità di ripensare le relazioni sentimentali in maniera più approfondita, senza l’obbligo della “dimenticanza” emotiva tra un albo e il successivo.
Il cuore degli uomini non cambia radicalmente il personaggio sotto questo aspetto e non ne tradisce le caratteristiche di base. “Perché io le ho amate tutte”, afferma Dylan, e non può essere diversamente. Eppure, quanto avvenuto nel suo inconscio ha inevitabilmente delle ripercussioni sul suo modo di pensare i sentimenti. Si rende conto della maniera egoistica con cui affronta i rapporti, e di quanto la ricerca dell’amore sia intensa ma esasperata e intrecciata indissolubilmente, oltre che con la vita, con la fine dell’esistenza.
Graficamente, la prova di Piero Dall’Agnol offre il fianco a varie osservazioni. Ad esempio, la prima decina di tavole può lasciare perplessi per l’estremizzazione della sintesi stilistica. Nell’intero albo, l’abbondanza di primi piani frontali non coincide con un’accuratezza nel rendere l’espressività dei personaggi. Le asperità di alcuni lineamenti, il tratteggio spigoloso, raro e robusto sembrano in alcune vignette molto accentuati, pur non arrivando alle opinabili proporzioni anatomiche di Sulla pelle (Dylan Dog #326), precedente prova dell’autore bellunese su testi di Bruno Enna. Da quest’albo si evince però che la costante opera di sottrazione grafica non è la sola cifra stilistica del disegnatore. Ad essa si affianca infatti l’utilizzo di tecniche differenti: nelle scene oniriche e nei flashback, i toni di grigio forniscono un valore aggiunto, coadiuvando il tratteggio nel lavoro descrittivo. Inoltre, nella sequenza della cena tra i due alter ego, all’alto tasso emotivo si accompagna a uno stile che varia di tavola in tavola: linee ondeggianti dello sfondo che si fondono con le ombre del volto (pag. 65), un tratteggio che sembra omaggiare Moebius (pag. 67) e vignette a sfondo bianco che esaltano volti e azioni dei personaggi (pag. 69).
Come già avveniva per Daniele Bigliardo nell’albo precedente, Dall’Agnol sembra insomma rinvigorito dal clima di rinnovamento della testata, superando le proprie derive quasi astratte per giungere a una nuova tappa del suo personale percorso artistico, fornendo una prova di notevole versatilità.