Giunto al sesto numero della sua nuova incarnazione Ribelle, nonché all’uscita #83 dall’inizio della serie mensile, Dragonero offre ai propri lettori una storia speciale e particolare per più di un motivo.
La voce della foresta profonda segna, con tutta probabilità, il traguardo intermedio della prima stagione delle nuove avventure di Ian e compagni, non più a servizio dell’impero bensì suoi avversari. Da quanto mostrato nell’albo, dal mese prossimo si andranno a dipanare una serie di trame che a novembre 2020 culmineranno con un nuovo e già annunciato ribaltamento di status quo per il Varliedarto e i suoi amici, Gmor e Sera in primis.
Proprio Sera, l’elfa botanica presente fin dagli esordi sulla testata e che nel corso delle storie è andata incontro a una serie notevole di stravolgimenti, è la protagonista assoluta di questo albo. In un racconto che da un lato squarcia il mistero su un tragico episodio passato e mai narrato accaduto all’elfa – che chiarisce alcuni mutamenti caratteriali da lei subiti nel corso degli anni – e dall’altro si pone come ulteriore tassello nell’evoluzione del personaggio, in un plot twist finale che apre a conseguenze tutte da esplorare, Dragonero per una volta lascia il centro del palcoscenico narrativo alla sua amica e sceglie il ruolo di spettatore degli eventi, al pari di Gmor e dei lettori.
È interessante, a tal proposito, la scelta di puntare i riflettori sull’elfa. Sera è specchio, forse meglio di qualsiasi personaggio, del DNA narrativo di Dragonero, cioè quello di una serie che, fin dai suoi esordi, sta compiendo un percorso narrativo che prevede un’evoluzione di personaggi, temi, storie e Storia (nel senso di accadimenti storici che avvengono nel mondo dei protagonisti) e che differenzia questa testata dalla canonica (anche se, ormai, sempre meno) ricetta di “storie autoconclusive” dei personaggi bonelliani che vivono reiterati in un continuo presente narrativo. Con Dragonero (e le sue varie incarnazioni editoriali) siamo più vicini – fatti i dovuti distinguo di genere e contenuti – a ciò che Mauro Boselli da anni sta portando avanti su Dampyr, con una continuity orizzontale che muta scenari e personaggi facendoli evolvere, crescere ed invecchiare nel tempo.
Se nella scelta della protagonista troviamo una prima particolarità dell’albo in questione, il suo essere speciale risiede soprattutto nel gruppo creativo. Per la prima volta, l’intero team dragoneriano firma a sei mani la storia: a Luca Enoch e Stefano Vietti – creatori del personaggio e sceneggiatori principi della maggior parte delle storie – si affianca Luca Barbieri, curatore della testata e già sceneggiatore dell’albo di febbraio 2020.
Il soggetto firmato dai tre autori è stato poi sviluppato in sceneggiatura da Barbieri (tranne un breve ma significativo inserto firmato da Vietti) e affidato a tre disegnatori, due dei quali rappresentano presente e passato (delle copertine) della serie: Gianluca Pagliarani, Giuseppe Matteoni e Giuseppe De Luca.
La voce della foresta profonda si struttura in tre segmenti narrativi. La trama principale della storia, illustrata da Pagliarani, segue Sera, accompagnata da Ian e Gmor, nel suo ritorno a Frondascura, la sua foresta natale, spinta da un misterioso richiamo interiore. Questa vicenda viene inframezzata nella parte centrale dell’albo dal lungo flashback che ci racconta un’esperienza passata dell’elfa attraverso i disegni di De Luca. A queste due parti si affianca, nella seconda parte dell’albo, una sequenza muta firmata da Vietti e Matteoni, breve ma fondamentale per lo sviluppo degli eventi futuri.
L’intero albo è percorso da toni drammatici che nella parte centrale assumono i contorni tragici di temi adulti e non facili da trattare, che avvicinano questa storia della serie regolare alle atmosfere che si respirano in Senzanima, la collana da libreria, più adulta, dedicata a Ian.
Barbieri è bravo a mantenere alta la tensione per tutto lo svolgimento e gestisce in modo efficace il ruolo da protagonista di Sera, il cui travaglio interiore è reso, oltre che dalla mimica facciale che le infonde Pagliarani, da dialoghi brevi, secchi e freddi. Le parole che l’Elfa pronuncia marcano tanto la distanza che le vicende del passato hanno scavato tra lei e i suoi amici e compagni d’avventura, oltre che la distanza abissale dal personaggio solare delle origini, quanto l’incapacità e la conseguente sofferenza interiore della ragazza di aprirsi verso chi le vuole bene e intraprendere un viaggio di ritorno verso la persona che era un tempo.
In questo senso, il finale tutt’altro che consolatorio è giustamente coerente con il drammatico percorso di evoluzione intrapreso dal personaggio: dalle pagine traspare l’affetto che Barbieri nutre per Sera che però non offusca la capacità dello sceneggiatore di far compiere all’elfa un ulteriore e consequenziale step verso un futuro ambiguo.
Anche la scelta di suddividere tra tre disegnatori diversi le tavole della storia risulta a conti fatti efficace e funzionale. Gli albi disegnati a più mani spesso creano discontinuità grafiche che inficiano la riuscita e la compattezza della narrazione, ma in questo caso l’idea di affidarsi a tre autori differenti ben si sposa a quella della rappresentazione di tre racconti tra loro diversi.
Gianluca Pagliarani, nella vicenda principale, affida al suo stile dettagliato dal segno preciso, arricchito dai contrasti tra bianco e ombre di nero pieno, il compito di rappresentare tanto il viaggio fisico di Sera, Ian e Gmor verso la foresta profonda quanto quello di rendere al meglio il travaglio interiore dell’elfa. Sera viene sempre rappresentata con un’espressione di cruccio e tristezza sul volto, con gli occhi spesso socchiusi e dai quali traspare uno sguardo freddo e distante. Il disegnatore dà prova anche in queste tavole della sua capacità di immaginare ambienti fantastici fino al più piccolo dettaglio realistico, arricchiti da giochi di luce eseguiti con alcuni accorgimenti tecnici semplici ma di effetto, come le chine “grattate” dalla pagina.
Giuseppe De Luca, nel flashback centrale, ci offre un segno sempre ricco di contrasti tra bianco e nero ma meno definito di quello di Pagliarani. Le sue linee sono più fini, i contorni di ambienti e personaggi sono spesso aperti e più indefiniti, quasi a rimarcare che le tavole illustrano un ricordo di Sera, eventi immersi nel passato e di cui la memoria sfuma la definizione. Proprio su Sera il disegnatore compie un buon lavoro, riportando in scena l’elfa delle origini, quella spesso felice e spensierata, i cui occhi si spalancavano sulla bellezza della natura. Che sia una scelta intenzionale o meno, il personaggio ritratto in queste sequenze appare più giovane e innocente della sua controparte della vicenda principale, creando un contrasto narrativo efficace e d’effetto.
A creare una connessione e una organicità tra le tavole dei due disegnatori sono i layout scelti, che spaziano, in entrambi i casi, dalla canonica griglia a tre strisce a una struttura composta da una vignetta orizzontale superiore che sormonta quattro vignette quadrate al di sotto posizionate centralmente nella pagina, fino a splash page a marcare passaggi significativi.
Giuseppe Matteoni, infine, offre il suo stile per sei pagine che incarnano una visione di eventi in atto e dalle conseguenze future. Tutte le tavole vengono caratterizzate da una struttura bipartita verticalmente che crea due grandi vignette per pagina, circoscritte da una cornice nera. E il nero, pieno, tratteggiato, puntinato, è anche il tono che predomina nelle immagini, che evocano eventi e personaggi ben poco tranquillizzanti.
Legandomi alla sequenza illustrata da Matteoni e alla splash page più drammatica del flashback di De Luca vorrei affrontare una riflessione finale. Ricordando che una delle regole principali del fumetto bonelliano è quella di perseguire la maggiore chiarezza narrativa possibile, personalmente avrei apprezzato quest’albo anche senza le pagine successive sia al contatto fisico e mentale tra Sera e la Driade nella splash page, sia alla visione “muta” raccontata da Vietti e Matteoni. Come lettore non sento la necessità di quelle pagine, sceneggiatura e immagini erano forti abbastanza per riuscire a trasmettere il messaggio narrativo voluto.
Tuttavia, allo stesso tempo, comprendo anche la suddetta direttiva storica bonelliana della “chiarezza” e per tale motivo capisco la presenza delle due sequenze esplicative, delle quali va dato atto a Barbieri di essere riuscito a sfuggire al didascalismo, avvicinandosi per certi aspetti al linguaggio di altri media come cinema e tv, in cui una prima veloce sequenza che racconta eventi non chiarissimi si accompagna nel corso della narrazione a sequenze in cui tali eventi vengono ripresi, arricchiti e chiariti meglio.
E anche questa è una conferma ulteriore di come Dragonero continui a essere oggi la serie bonelliana dotata forse della scrittura più contemporanea, oltre che di un gruppo di disegnatori di qualità elevata.
Il genere fantasy che spesso, immeritatamente, nella concezione del lettore italiano viene accomunato a storie di maghi e nani e in cui si pretende una sospensione dell’incredulità troppo elevata, nella serie con protagonista Ian Aranill viene invece declinato nella sua forma più adulta ed efficace: il fantasy che, come la narrativa di anticipazione, è capace di raccontare dinamiche storiche, sociali e personali che si specchiano nella realtà del nostro mondo.
Abbiamo parlato di:
Dragonero il Ribelle #6 (#83) – La voce della foresta profonda
Luca Enoch, Stefano Vietti, Luca Barbieri, Gianluca Pagliarani, Giuseppe De Luca, Giuseppe Matteoni
Sergio Bonelli Editore, aprile 2020
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,90 €
ISSN: 977228243000400083