Un anno da Dragonero: considerazioni sul fantasy di casa Bonelli

Un anno da Dragonero: considerazioni sul fantasy di casa Bonelli

L'umano, l'elfo e il cattivo. Guardando al già visto, sperando nel futuro: considerazioni sul primo anno di vita della prima serie a fumetti fantasy italiana: Dragonero, di Luca Enoch e Stefano Vietti.

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Dragonero è la prima serie fantasy on-going della Sergio Bonelli Editore che ha scommesso su un genere –il fantasy appunto – dopo il successo dell’omonimo romanzo a fumetti edito nel giugno del 2007.
Che Dragonero rappresenti una sfida e una scommessa per la casa editrice milanese è evidente: si tratta di qualcosa che esula dai normali canoni a cui ci ha abituati – rappresentati per lo più da avventurieri e investigatori – e in passato esperimenti analoghi non sono stati premiati, forse proprio perché diversi e non del tutto bonelliani.
Ma il prodotto rappresenta una sfida anche per i tempi in cui viene immesso sul mercato, i quali sono andati ben oltre la maturità tanto da far pensare a una serie fuori tempo massimo.
Ragionare però in questi termini anacronistici pone le basi per una breve analisi  sul genere fantasy che ha una lunga e solida tradizione letteraria alle spalle e un profondo radicamento culturale. Elementi che, purtroppo, passano per ignoti al lettore medio italiano.

1368991714265_dragoneroAl lettore comune la parola “fantasy” evoca innegabilmente il falsato stereotipo tolkeniano – definito maldestramente fantasy classico – attorno a cui ruotano personalità scontate e di cui, in realtà, è andato perdendosi il significato narrativo.
Il genere letterario evolutosi proprio da Tolkien – che a sua volta altro non era che la visione contemporanea della letteratura epica medievale riferita ai miti scandinavi, classici o ancora più antichi – è andato mutandosi nelle storie dal sapore quest in cui si andava, attraverso la cerca del protagonista – tipica anche dei cicli arturiani – non soltanto verso l’epilogo della storia, ma anche verso la crescita e l’evoluzione interiore proprie dei viaggi.

In Italia la cesura tra una letteratura definita alta e una più di nicchia classificata di genere, pone tutto ciò che non è di stampo classico – riferito sempre ai canoni nostrani –, in una posizione marginale, relegando il fantasy a produzione immersa in immagini stereotipate fatte di maghi, cavalieri, draghi, svuotate dei loro ideali epici e rese più aderenti a quelli fiabeschi.
Eppure qualcosa sta cambiando: il cinema in primis e di conseguenza i grandi marchi editoriali al seguito, hanno inondato il mondo, di titoli smaccatamente fantasy che hanno permesso l’uscita del fantasy dalla nicchia “di genere” che –anche per altri sentire letterari – era ora facesse il suo tempo.

2700SPECIALEFIEREFUMETTO003Dragonero, dunque, non è una serie fuori tempo massimo, ma s’immerge nella storia della letteratura disegnata divenendo, di fatto, la prima serie fantasy italiana, escludendo altre esperienze come 2700 che negli anni ’90 si propose in una commistione con la fantascienza1.
L’accordo con il lettore propone regole di lettura e personaggi tipici: l’umano, l’orco, l’elfo, e altre personalità di contorno, che confortano chi per la prima volta si avventura nel genere donandogli la lettura di qualcosa di certo e facendo indubbiamente spazientire chi al genere è più avvezzo.
Ma il fumetto Bonelli è di natura popolare e deve essere per tutti.
Eppure Dragonero vuole proporsi come qualcosa di più; raccontandosi non solo attraverso le tavole del fumetto ma giovandosi anche di una serie di iniziative multimediali che lo fanno uscire dalla carta –giochi di ruolo, pagine Facebook, videogames, app per tablet e smartphone e un blog/diario del protagonista a supporto della storia cardine.

Possiamo dire che in questo primo anno di pubblicazioni il protagonista della serie, Ian Aranill, si è mosso in lungo e in largo attraverso il suo Erondàr, fronteggiando le situazioni più disparate, sempre dal sapore classicheggiante del genere, incrinando la scorza del già visto-già letto e offrendo spunti e immagini di una lettura di là da venire.
Storie che rappresentano indubbiamente l’opportunità di raccontare sia il passato mitico – come detto elemento fondante del genere fantasy – di un intero mondo, sia le avventure dei suoi abitanti.
09Ian – il Dragonero – e Gmor – orco compagno d’arme -, primi rappresentanti di questo universo esotico, ne sono i maturi rappresentanti.
Maturi, ma non stagionati, nel senso che non sono alla ricerca di un loro posto nel mondo, non sono legati a tematiche di crescita interiore o frustrazione. Sono personalità complete, definite, il cui passato marca il futuro che leggiamo di mese in mese. Sono individualità il cui passato esperienziale è sottointeso, in parte esplorato, ma che deve ancora essere rivelato.

Altri personaggi ricorrenti sono Myrva, sorella del protagonista, Sera – elfa dei boschi – e Alben, il mago.
Il ruolo di questi personaggi risiede per ora nella funzione puramente accessoria di presentazione di un mondo, anch’esso completo e complesso, fatto di gilde tecnologiche, esseri magici o spirituali, maghi e ovviamente esseri mitici quali sono i draghi.
Discorso a parte meritano gli antagonisti che si sono avvicendati nel corso degli episodi visti fin qui.

Sarebbe però meglio dire le antagoniste visto che si è trattato soprattutto di personaggi femminili.
La donna, nell’iconografia classica, è da sempre colei che porta trambusto, una complice dello scompiglio, portatrice di caos e vendetta. In un mondo fortemente incentrato sulla forza e la mascolinità la figura femminile è prepotentemente scansata, emarginata e resa secondaria.
Ma quando queste cercano di riprendere il ruolo che a loro appartiene, ecco che viene a generarsi una sorta di estetica del non-male che passa attraverso personaggi femminili maligni e tentatori, ma anche abbandonati, prevaricati, usati, che cercano soltanto di riprendere il loro posto.
813_5Come gli alieni delle serie sci-fi cercano di rappresentare l’umanità attraverso un punto di vista esterno, così le femmine raccontate in Dragonero, guardano a quel mondo, intagliato col testosterone, in un gioco di scambi di punti di vista che si compenetrano, in cui un uomo – l’autore – cerca di osservare il mondo attraverso occhi femminili.

La serie ha compiuto fino a ora un breve cammino, fatto più d’immagini che di storie e che ha più mostrato che raccontato. Si è trattato di uno sguardo fugace e globale al tempo stesso, fatto di accenni, rimandi e riferimenti noti solo ai protagonisti che vediamo agire nel presente della pubblicazione.
Una prima occhiata ce l’hanno regalata i bei disegni di Giuseppe Matteoni il quale, nonostante un fiacco e poco brillante primo arco narrativo che va dal numero uno al quattro della serie, ha ricostruito città, boschi, oscuri manieri abbarbicati su rupi inaccessibili in una prima visionaria geografia dell’Erondar.

È però con Il raduno degli scout (DN #5) che abbiamo, finalmente, anche qualcosa di raccontato. Nonostante appaia come un episodio riempitivo in cui i protagonisti sembrano non far nulla se non stare seduti intorno a un fuoco a raccontarsi le loro peripezie, ci vengono esposti i motivi di una serie che qui si dichiara in divenire, ci regala un momento di interazione esterno alla cerchia dei protagonisti e una prima, vera esplorazione nonostante suoni in conflitto con una riunione fatta a terga posate.
Nei numeri successivi viene presentata una storia in due parti – Zanne e acciaio e Nel regno di Zehfir– in cui è reso forzatamente protagonista Gmor, catturato da quello che sarà un avversario ricorrente della serie, un elfo scuro di nome Zefhir che è  in grado di viaggiare tra le dimensioni. I numeri otto e nove risultano essere somiglianti, entrambi presentano una vena smaccatamente investigativa e sono quelli che al momento, per chi scrive, hanno dato il contributo minore.

ZDL3RoRjaZqg=---500x500Dragonero sembra avere dalla sua una lentezza prodromica, non sembra volere esaltare alcunché, né voler sorprendere il lettore in alcun modo. C’è sempre però quel certo non so che, che convince e invita a proseguire nella lettura.
È infatti con Le fosse dei Fargh e, in particolare, con la seconda metà dell’albo La regina degli Algenti (DN #10-11 che si sviluppa una nuova storia che va ad ampliare e, al tempo stesso, chiudere dei nodi lasciati in sospeso nelle storie precedenti.

La serie risulta indubbiamente molto curata nei dettagli, nello studio dei personaggi, nell’attenzione prestata a un mondo in crescita. Tuttavia si rileva come sembri marciare con i freni tirati, senza concedere sorprese di alcun genere sia nella storia sia nel modo in cui comprime i disegni.
Le scene, specie quelle dinamiche, sono spesso penalizzate da un confinamento in spazi limitati che ne limitano l’incisività e l’impatto emotivo. Viene impedito a queste di deflagrare là dove potrebbero risultare davvero spettacolari e un bene per gli occhi del lettore.
I dialoghi, così come numerose situazioni, risultano a volte scontati se non addirittura obsoleti, stantii o superflui.
Ovviamente stiamo parlando di un fumetto popolare, ma questo non significa che non possa orientarsi in altri modi; rifuggendo dai linguaggi inutilmente didascalici o datati, dai dialoghi forzati in cui spesso un silenzio è in grado di dire molto più di una battuta che non strappa nemmeno un sorriso, o da situazioni plasmabili in modi differenti in grado di allargare i punti di vista o dal rappresentare i personaggi pretestuosamente in buoni o cattivi e basta.

Dragonero non è assolutamente da considerarsi un prodotto debole. I numeri finora proposti sono soltanto dimostrativi del potenziale che questa serie è in grado di offrire a patto che riesca a scrollarsi di dosso, almeno in parte, alcune problematiche non del genere in sé ma del modo in cui questo viene percepito. Dragonero nel complesso risulta essere un buon fumetto; offre intrattenimento di giusto livello ma non ha ancora avuto occasione di offrirsi del tutto al pubblico dei lettori di fumetti sia occasionali che non, e frequentatori o meno del fantasy. Non resta che aspettare per vedere come andranno le cose.


  1. creata da Manfredi Toraldo e Ugo Verdi  con l’inserimento di una forte componente tecnologica che molto deve ai romanzi del Ciclo di Darkover di Marion Zimmer Bradley 

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