DK3 – The Master Race #2: Divinità in Terra

DK3 – The Master Race #2: Divinità in Terra

Il senso dell'attesa, il divino, le donne: tre punti di The Master Race che vengono esaminati nella recensione del secondo numero.

C’è un senso di attesa nel secondo numero di The Master Race1: attesa durante l’interrogatorio di Carrie, attesa per la sua probabile evasione, attesa per l’uscita degli abitanti di Kandor dalla bottiglia in cui sono rinchiusi da anni. E soprattutto c’è il senso del divino e come questo si confonde con il supereoismo.

Il volere di un dio

A raccontare il senso del divino che permea il secondo episodio è il personaggio più improbabile, Ray Palmer, fisico, scienziato, che esplicitamente parla di “volere di dio“, si manifesta quando “un potere più grande di noi vuole ciò che noi vogliamo“.

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Questo potere superiore, che di fatto sottrae all’uomo il suo libero arbitrio, viene esplicitamente incarnato proprio dai kandoriani, che escono dalla bottiglia, arroganti e potenti, pronti a cogliere il loro retaggio kryptoniano. Il loro capo, Quar, si muove come il sacerdote di un culto terribile e spietato per il quale l’unico tributo possibile è quello del sangue.
La stessa Lara, la figlia di Superman e Wonder Woman protagonista di un confronto verbale e fisico con la madre nella storia in appendice, decide di accettare il suo divino retaggio kryptoniano: la ragazza, rappresentata da Eduardo Risso come un elfo freddo e distaccato, è la naturale evoluzione narrativa di quello che in ultima analisi Frank Miller pensa di Superman.

Come mostrato nelle due miniserie precedenti, Superman è visto da Miller come un personaggio potentissimo che si autolimita senza alcuna comprensibile motivazione al servizio di esseri che potrebbe dominare se non addirittura schiacciare. Questa scelta, sempre rinfacciata da Miller attraverso i personaggi femminili di Wonder Woman in DK2 e di Lara nell’episodio precedente di DK3, è stata poi esplicitamente criticata da Batman stesso nel drammatico confronto finale tra i due eroi in DK1.

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È in questo senso che il supereroismo si intreccia con il divino: i supereroi dotati di potere oscillano tra spietate divinità il cui volere è legge e bonari protettori che in nessun modo possono essere messi alla pari degli esseri umani.

In questo senso l’incomprensibile scelta di Superman di considerarsi un umano speciale e non un kryptoniano e soprattutto quel considerarsi al loro servizio e non superiore spiegano perfettamente la scelta della figlia in questo secondo numero: una scelta che potrebbe avere conseguenze drammatiche nel resto della miniserie, proprio nel momento in cui i due più grandi eroi della Terra hanno lasciato un vuoto apparentemente incolmabile.

È ragionando su questo vuoto che si arriva a comprendere il senso di The Master Race, ovvero la ricerca di qualcuno in grado di occupare il posto vacante di guida in una società decadente.

Il test Bechdel

Un altro dei punti cardine di DK3 è il ruolo delle donne nella società in cui il fumetto è ambientato. Vale allora la pena valutare questo ruolo utilizzando il così detto test Bechdel, proposto dalla fumettista Alison Bechdel in una delle strisce della serie Dykes to Watch Out For in cui veniva utilizzato per valutare il livello di sessismo all’interno di un qualsiasi film. Per non essere classificata come sessista, una pellicola deve possedere i seguenti tre requisiti:

  1. Devono esserci almeno due donne;
  2. Le due donne devono comunicare tra loro;
  3. A proposito di qualcosa che non sia un uomo.

The Master Race sicuramente ottempera al primo requisito: le donne, fino a ora, sono coprotagoniste del fumetto e, in particolare in questo secondo numero, interagiscono tra loro in due confronti, quello già citato tra Wonder Woman e la figlia nella storia d’appendice, e l’interrogatorio tra il commissario Yindel e Carrie nella storia principale.

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In particolare è il primo confronto a essere il più equilibrato: Wonder Woman e Lara, infatti, non si confrontano solo verbalmente, ma anche fisicamente, quasi a voler sottolinerare il fatto che anche le donne possono essere delle ottime combattenti. D’altra parte nel loro discorso Superman, per quanto citato, è argomento marginale, essendo invece centrale il ruolo dei supereroi nel mondo.

Per contro il confronto tra Yindel e Carrie è centrato su Bruce Wayne. Certamente ha il gusto di un discorso d’addio, un modo per celebrare la sua ingombrante figura, ma anche per rimpiangerla e costruire il senso di vuoto di cui si scriveva poc’anzi.

Se ciò non sembra essere sufficiente per classificare come sessista The Master Race, certo sottolinea la vena maschilista di Miller: il vecchio Bruce Wayne, l’uomo solo al comando, continua a restare figura centrale nell’immaginario milleriano, e non può essere sostituita da Carrie, che infatti è stata arrestata nell’episodio precedente.

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E se il finale è, per certi versi, scontato, è al tempo stesso anche assurdo: Andy Kubert, che conferma quanto già scritto per il numero 1, in pratica cita nell’ultima pagina il lavoro fatto da Alex Ross su Bruce Wayne in Kingdom Come.
Questo riferimento crea un accostamento strano, avendo Mark Waid, scrittore di KC, una concezione del supereroismo differente, quasi opposta rispetto a quella di Miller: per Waid, infatti, i supereroi sono al servizio e non superiori. Basti pensare, ad esempio, alle scene finali con Superman che fa il contadino nel Kansas o Batman che trasforma villa Wayne in un ospedale.

Con ciò non si vuole affermare che The Master Race sia fin qui una brutta storia: è anzi ben scritta con un’ottima gestione del ritmo e della tensione, ma continua a presentare una visione di Batman e dei supereroi granitica e fissata nel tempo, senza alcuna reale evoluzione.

Abbiamo parlato di:
Dark Knight IIIThe Master Race #2
Frank Miller, Brian Azzarello, Andy Kubert, Klaus Janson, Eduardo Risso
DC Comics, novembre 2015
54 pagine, colore, $ 5.99


  1. Recensione basata sull’edizione digitale. L’edizione cartacea è composta dagli albi The Master Race #2 e Dark Knight Unverse presents: Wonder Woman #1 

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