Autrice versatile ed eclettica, Tina Valentino fa parte del folto gruppo di disegnatori italiani che lavorano con successo nel mercato estero. Dopo esserci incontrati al Comicpark di Erfurt nel maggio 2019 ci siamo ripromessi di sentirci per una intervista. Dopo alcuni mesi fitti di impegni, ce l’abbiamo fatta! Benvenuti nel mondo di Tina Valentino.
Ciao Tina e grazie della tua disponibilità. Vorrei partire chiedendoti quando hai iniziato a pensare al fumetto come tua carriera e quali sono stati i tuoi primi passi.
Ciao e grazie a te, è un vero piacere fare questa chiacchierata! Allora, faccio un veloce passo indietro. La propensione al disegno l’ho sviluppata fin da piccola, quando passavo molto tempo a guardare i cartoni animati e sentivo l’esigenza poi di riprodurre personaggi e scene che mi frullavano per la testa. Quasi in contemporanea ho sviluppato il mio interesse verso i fumetti, che risale alle mie prime letture, intorno ai 4 anni, delle quali ho pochi ma lucidi ricordi. Leggevo Diabolik, Geppo e Popeye. Crescendo però mi dedicavo a sketch e illustrazioni su ogni superficie me lo consentisse più che ai fumetti come prodotto finito, ma già sapevo che da grande avrei voluto fare qualcosa che avesse a che fare, lavorativamente parlando, con questo ambiente. Ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono laureata in Psicologia, non mi ispiravano molto le scuole d’arte generiche, volevo qualcosa di più specifico ma non potevo permettermelo. Allora ho pazientato un po’ e, durante gli anni del corso di laurea, ho lavorato molto, dalla segreteria universitaria alle discoteche, così da mettere da parte un po’ di soldi che ho poi aggiunto alle le varie borse di studio che riuscivo ad ottenere ogni anno.
Alla fine di tutti gli esami la prima cosa che feci, prima ancora della discussione della laurea, fu iscrivermi alla Scuola Internazionale di Comics a Roma. Mentre studiavo fumetto lavoravo come psicologa e, durante alcuni incontri a scuola, nelle ore dedicate a visioni di portfolio da parte di editori, fui selezionata per delle prove come illustratrice. Così iniziai a lavorare per I grandi Classici di Geronimo Stilton. Una volta diplomata, dopo pochissimo, ebbi il mio primo lavoro, come fumettista, con la casa editrice Clair de Lune. Il fumetto d’esordio fu La Driade, che vedeva ai testi il mio amico Giancarlo Dimaggio, un noto psichiatra, psicoterapeuta e socio fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale.
Ho letto che, durante la tua formazione, hai vinto una borsa di studio per andare in Giappone: come ha influenzato il tuo stile questa esperienza?
Alla fine del mio percorso di studi alla Scuola Internazionale di Comics ho vinto la una borsa di studio che mi ha permesso, per una decina giorni mi pare di ricordare, di frequentare una scuola di fumetto e animazione in Giappone. È stato davvero istruttivo ed emozionante. Ho visto come gli studenti lavorassero per diventare mangaka e ho avuto la fortuna anche di conoscere Jiro Taniguchi, oltre ad altri professionisti del settore. Ho imparato che anche i “grandi” creano un’equipe di lavoro quando serve, che è normale chiedere una mano, ho imparato che va bene avere un bel tratto ma la cosa principale deve essere l’attenzione a una buona sceneggiatura. Ma ho anche capito che i loro tempi non sono quelli che voglio avere io. Io lavoro per vivere ma non vivo per lavorare. Questa è una cosa che ho dovuto imparare a gestire negli anni, inizialmente mi ero fusa col lavoro e la mia mente ne ha risentito troppo. Ho percepito un eccesso nell’idea di lavoro che non ha nulla di sano (sempre e solo secondo me, è solo un’opinione). Ho ascoltato i loro racconti e hanno delle tempistiche al limite della sopravvivenza, per non parlare proprio dei danni fisici e mentali che ne conseguono. Una cosa bella invece che ho invidiato ai ragazzi del posto è la normalità con cui viene socialmente percepito il mestiere del mangaka. Non sgranano gli occhi dicendo “Vuoi fare fumetti? E poi per mestiere vero? Che lavoro fai davvero?”. Crescendo ho dovuto spesso ascoltare i noiosissimi discorsi scettici e privi di ogni forma di incitamento concreto o fiducia. Mio padre stesso buttava via i miei disegni e mia madre li stirava, letteralmente, per recuperarli. Ma tutto sommato non sono mai stata una molto interessata ai pareri esterni, a meno che non si trattasse di argomenti con una valenza utile per la mia evoluzione personale/lavorativa. Dopo un paio di esperienze di vita dove ho “toccato il fondo” mi son dovuta centrare e stabilizzare ancora di più e quindi ora è davvero impensabile che qualcuno riesca a smuovermi in senso negativo o abbattermi. Questo lavoro è intimamente legato con la mia personalità, per farlo al meglio devo stare al meglio. Fortunatamente per le nuove generazioni ci sono molte agevolazioni pratiche, tante scuole del fumetto, e il lavoro del fumettista non sembra più tanto un gioco e basta, forse in Italia siamo ancora molto indietro in termini di accettazione ma almeno non è come anni fa. Tornando al periodo concessomi per studiare in Giappone, concludo dicendo che è stata davvero una bella esperienza ma non mi ha influenzato ulteriormente perché il mio stile ne era già stato “dolce vittima” negli anni precedenti, anche se l’ho poi fuso con lo stile europeo e americano. Mi restano di sicuro alcune peculiarità che mi rendono una disegnatrice ibrida, una meticcia. La tendenza a fare gli occhi un po’ più grandi rispetto le proporzioni realistiche in senso stretto, quelle piccole estremizzazioni delle espressioni facciali o gestuali per meglio rappresentare stati d’animo. Il manga è una parte del mio stile ma ormai è digerito con gli altri appresi durante gli anni alla Scuola Comics.
All’inizio della tua carriera hai lavorato per il mercato francese e italiano, per poi spostarti sempre di più verso gli States: quali sono le differenze e i punti in comune tra queste tre grandi realtà e cosa ha determinato la tua transizione verso gli Stati Uniti?
In realtà non mi sono spostata verso il mercato americano, ho solo approcciato un altro genere e ambiente ma senza abbandonare nulla. Non c’è stato un distacco tra i vari percorsi, quello su cui mi muovo è sempre un unico piano. È un unico appartamento, con tante stanze. Posso cambiare un po’ l’outfit che indosso per entrarci, ma fondamentalmente il mio stile resta identico. Risente solo delle evoluzioni personali, ma non lo modifico in base al prodotto. Sarebbe alienante. Aver lavorato anche per l’America ha solo comportato un cambiamento di registro per quanto concerne la composizione della pagina, la regia, fotografia, oltre all’organizzazione del lavoro, star dietro a tempistiche veloci. La narrazione invece resta per lo più costante. Che siano pagine con 4 o 11 vignette, l’importante è che ci siano chiarezza, leggibilità, equilibrio.
Le differenze tra i mercati sono soprattutto nelle tempistiche: quelle americane sono più veloci e ristrette, quelle francesi più diluite. Io preferisco queste ultime perché mi permettono di creare cose più appaganti per il mio gusto, ho più tempo di dedicarmi a sfondi elaborati, a dettagli che, per via del formato comics ridotto e delle deadlines di fuoco, sparirebbero. Non ho una mano velocissima quindi mi sento più a mio agio e sento di dare più qualità quando non ho consegne strette. In generale però trovo che le differenze siano abbastanza sfumate negli ultimi anni. Vedo in entrambi i mondi varietà di stili, generi, e soluzioni grafiche. Vedo molti fumetti americani avere un corposo numero di vignette, una prerogativa spesso associata ai formati di stampa francese e vedo talvolta, ma senza esagerare, griglie più movimentate nelle pagine francesi. La cosa che mi piace tanto del mondo BD è che è molto più facile che sia tu a creare ex novo l’intero universo del fumetto in questione, mentre in America è più facile che tu sia parte di un’equipe che lavora su universi già creati, su serie già avviate. Ma è solo in termini di percentuali che parlo perché ci sono numerosi titoli americani dove si hanno le stesse possibilità che ho appena menzionato. Non sono mai stata una fan di questo o quel personaggio storico del mondo del fumetto, quindi preferisco affiancare le mie matite e chine a storie nuove dove posso essere regista, costumista, dove posso fare i casting ai miei personaggi. Per il mercato italiano ho lavorato solo come illustratrice, dunque posso parlare marginalmente di questo ambiente lavorativo. Troviamo il classico formato da edicola, bianco e nero o colori, gabbie meno rigide rispetto un tempo, ci sono anche prodotti dal formato francese o diverso da tutti quelli nominati. Insomma la varietà non manca, ci sono le storiche grandi realtà e alcune più piccole che hanno dei titoli davvero interessanti ma ripeto, per ora non ci ho ancora lavorato e l’ho frequentato davvero poco quindi sono fonte di scarse informazioni a riguardo. Per quanto riguarda l’ambiente in cui lavoro posso dire invece che, sia durante le fiere europee che americane, durante incontri o cene, ho sempre sentito un’aria di cordialità, poco gossip e molto confronto tra gli editori e autori sulle rispettive o altrui produzioni. Sento sempre molta curiosità e poca invidia. Sono ambienti che mi piacciono e spero di restarci a lungo.
Oltre a disegnare interni, sei specializzata soprattutto in copertine: come cambia il tuo approccio al disegno nei due casi?
In questi casi cerco solo di essere sintetica ed efficace. Ho solo un’occasione, un tempo, una pagina, per dire qualcosa. Per lo più le cover che ho fatto sono state cover di pin up, quindi cover dall’argomento leggero, che mi son divertita tanto a fare e che dovevano trasmettere un pizzico di malizia o simpatia ammiccante. Si trattava di personaggi già noti nelle serie su cui lavoravo e io ne davo solo una mia versione in base a cosa mi ispirava. Ma l’approccio vero e proprio è sempre quello di essere professionale e di creare curiosità sul prodotto. Quando invece affronto cover di fumetti disegnati da me, cerco di incuriosire sul contenuto utilizzando il mondo del fumetto stesso, senza però dare anticipazioni o spoiler.
Negli Stati Uniti hai lavorato molto per case editrici come Zenescope e Aspen Comics, su titoli come Grimm Fairy Tails e Fathom Kiani. Fumetti poco conosciuti in Italia ma che hanno uno zoccolo duro di fan negli States. Prima di tutto, vorrei sapere come sei entrata in contatto con queste case editrici.
Inoltre, come è lavorare per degli editori di nicchia in un mercato altamente competitivo come quello statunitense?
Sarò onesta, il mio percorso lavorativo negli anni non è stato ostico o particolarmente frustrante. Solitamente vengo contattata da qualcuno che ha visto i miei lavori sui social oppure io stessa mostro portfolio agli editori sia durante fiere del fumetto sia inviandolo via email. Grazie alla comodità dei social e di internet in generale, le distanze ormai sono per lo più virtuali. Il bello di questo mestiere è che se vai bene per un titolo lavori, altrimenti no. E non è detto che se un editor non ti voglia oggi, tu non possa andar bene domani. Ci sono tanti fattori da considerare oltre lo stile. A volte vale anche il tempismo, ovvero esserci proprio quando c’è bisogno di te. Non ci vedo manovre di raccomandazioni, almeno per gli ambiti lavorativi in cui mi muovo. Posso parlare solo ed esclusivamente per me. A volte mi è capitato di fare prove, di ricevere complimenti, ma essere inadatta per quella casa editrice o meno adatta rispetto altri per quella specifica prova e quindi venire scartata. Non c’è molto da dire. O ti vogliono o no. Punto. Se c’è margine di raddrizzare il tiro su qualche dettaglio, si fanno correzioni, ma se non funziona lo stile è solo quello e basta, non la faccio mai diventare una questione personale. Non sarà mai il lavoro dato a un altro che non mi farà lavorare e sicuramente non è il mondo del fumetto a essere brutto e cattivo quando non mi vogliono o mi bocciano le prove. È competitivo, siamo in tanti e immagino non sia semplice scegliere, investire, puntare su questo o quel disegnatore da parte di un editore.
Cosa ti sentiresti di consigliare ad un autore che voglia entrare in contatto e poi lavorare in questo ambiente?
Fondamentalmente leggere fumetti, aggiornarsi, studiare tanto e mostrare portfolio. Non sentirsi mai arrivati, perché il confronto è tosto e abbassare la guardia ci mette in fondo alla fila, non c’è solo il compagno delle medie o 4, 5 autori nella provincia in cui si vive con cui confrontarsi. C’è un mondo intero di disegnatori con cui competere, quindi si deve dare il meglio. Quando si mostrano i propri lavori bisogna crederci e mai esordire con “eh questo l’ho fatto a 15 anni, questo quando avevo la febbre e qui ero stanco”. Un portfolio deve contenere poche cose (o se volete proporvi per più editori o generi allora fate appositi portfolio ma non presentatevi con una bibbia di 300 pagine contenenti di tutto un po’), deve essere sullo stile attuale che si ha “nelle mani” (anche perché se metti cose fatte a 15 anni e vogliono quelle, mentre tu nel frattempo hai un nuovo stile, come la mettiamo?) e bisogna esserne fieri, non presentarlo come il figlio scemo di cui ci si vergogna. Non è mai una buona cosa cercare di vendersi senza crederci in prima persona. Inoltre evitare il vittimismo perché è mestiere che paga solo in visibilità. Una brutta visibilità. Frignare sui social o con altri, continuamente, è diventato uno sport che vedo prendere piede facilmente, sia da esordienti che da professionisti frustrati da momenti bui, io non credo se ne esca bene e alla fine neanche con un ingaggio. Quando arrivano le delusioni si prova di nuovo e ancora ma, e questa è una mia personale opinione, senza accanirsi fino ad ammalarsene. Sentirsi castrati e frustrati per troppi anni fa ammalare e toglie la luce. Sono cose che dico anche a me stessa ovviamente. Se un domani dovesse succedere che nessun editor mi vorrà più, farò altro. Non confondo il piacere di lavorare disegnando con la ragione di vita. Ho una laurea e altre risorse personali che potrei sfruttare se le cose andassero male, ma di sicuro nessuno e niente potrà impedirmi di disegnare fino a che potrò.
Dopo queste collaborazioni hai ricevuto un incarico importante, andando a lavorare per Top Cow su Rise of the Magi, serie di Marc Silvestri: come è stata questa esperienza?
Marc Silvestri mi scrisse su Facebook, così, all’improvviso. Probabilmente vide i miei lavori sui social e mi chiese se volevo occuparmi di alcuni numeri di questa serie, insieme a Sumeyye Kesgin. Di ogni numero lei avrebbe disegnato il primo capitolo e io il secondo, così per 4 numeri. Non ho mai fatto neanche pagine di prova per la Top Cow. Si sono fidati. È stato divertente perché la storia era spassosa e piena di magia, come piace a me, ma un po’ stressante per la mia sciatica perché era la prima volta che affrontavo tempistiche americane ed era tutto un corri corri. Ma quello Top Cow è stato un ambiente tranquillo e tollerante, mi hanno concesso tempi diluiti quando ne ho avuto necessità e sono stati tutti sempre gentili.
Inoltre, sempre con la stessa casa editrice, ho lavorato anche su September Mourning, un fumetto che prende il nome dall’omonima band musicale che ha ispirato personaggi e ambientazioni. Anche qui tutto è andato per il meglio. Io ho lavorato sui numeri 3 e 4 mentre primi due numeri invece sono stati disegnati da Sumeyye e la collezione completa è uscita da pochi mesi. Il fumetto parla di una ragazza, un ibrido mezzo umano e mezzo mietitore, che aiuta le anime a completare i compiti lasciati in sospeso prima di morire. Avrà compagni di viaggio speciali e dovrà combattere nemici ostili e agguerriti in un mondo parallelo a quello umano. Anche in questo caso mi son sentita a mio agio ed è stato bello disegnare la protagonista e i character dei suoi antagonisti, oltre le ambientazioni sulle quali non mi risparmio mai, è una cosa che non riesco a fare.
Oltre a fumetti in cartaceo, stai lavorando su Crestomat, un webcomic molto particolare, pubblicato in quattro lingue e volto principalmente a promuovere e tutelare la lingua romancia. Cosa puoi dirci di questo interessante progetto?
Dunque, Crestomat è un progetto fantasy del quale disegno gli interni, con l’aiuto di Annapaola Martello sui layout e le cover, colorate da Fabio Mantovani. Lavoro sempre da sola ma, avendo già molto da fare, in questo caso ho un gruppo di lavoro. Crestomat è un fumetto accessibile on line o scaricabile, gratuito per tutti e tradotto in 4 lingue. La principale è la romancia, ancora parlata in poche aree svizzere, e poi ci sono le traduzioni in inglese, tedesco e italiano. Il dott. Clau viene risucchiato nella Crestomazia retoromancia del diciannovesimo secolo e diventa così prigioniero di un mondo in cui avrà a che fare con figure mitiche come streghe, donne zombie, giganti e il Buttatsch, uno stomaco bovino parlante con tanti occhi.Per questo lavoro sono stata contattata su Instagram e sono entrata a far parte del progetto a partire dal numero 16 e andrò avanti fino all’ultimo. Per chi fosse interessato a riprendere il filo della storia c’è ovviamente l’archivio che comprende tutti i numeri, mentre questo è il link dell’ultimo numero messo in rete: www.crestomat.ch.
Chiudiamo con la domanda di rito: su cosa stai lavorando in questo momento?
Attualmente sono a lavoro su un progetto a fumetti per il mercato francese, per la casa editrice Drakoo. La sceneggiatura, scritta da Olivier Gay-écrivain e dal titolo Nécromants, sembra cucita sulla mia pelle. Avventura, magia, umorismo, una storia che ha quel sapore cinematografico in stile La Mummia o Indiana Jones. Preferisco, se mi viene data la possibilità di scegliere, dedicarmi a storie che siano nelle mie corde, che magari somiglino al mio modo di vivere e intendere la vita. I miei personaggi sono coraggiosi, sfacciati, hanno una personalità ben definita e ci sono quei siparietti umoristici che io adoro. Quelle leggere dissacrazioni, quelle irriverenze, che però non tolgono l’attenzione generale all’enfasi al momento. Lavorare su storie che mi piacciono è appagante e stimolante. Tengo molto a questo progetto perché è uno dei magnifici pezzi di un periodo stupendo pieno di felicità e soddisfazione che sto attraversando da molti mesi. Più di un anno fa, nella mia vita, c’è stato un grandioso effetto domino dove, abbattuto un primo tassello, è andato tutto nel verso giusto e spero che a questo si aggiungerà il vostro gradimento quando avrete tra le mani questo fumetto.
Intervista realizzata via mail nel Dicembre 2019
Biografia di Tina Valentino
Avellinese, classe 1980, Tina Valentino ha frequentato la Scuola Internazionale di Comics a Roma, dove ha vinto una borsa di studio in Giappone che le ha permesso di trascorrere del tempo in una scuola di fumetto e animazione. Ha lavorato come illustratrice per “I Grandi Classici” di Geronimo Stilton e come fumettista su True Blood #6 (IDW). Ha pubblicato per la Clair de Lune, col fumetto d’esordio La Driade e ha collaborato con la rivista Mono, Noir, Batman Crime Solver, The Thing: Artbook. Copertinista per Aspen e Zenescope, ha lavorato per la Top Cow sui titoli Rise of the Magi (con Mark Silvestri, 2014) e September Mourning (con Mark Silvestri e David Hine, 2018). Attualmente a lavoro sulla serie web Il Crestomat e su Necromants edito dalla Drakoo.