“Die”: la vita, il senso delle cose e tutto quanto il resto

“Die”: la vita, il senso delle cose e tutto quanto il resto

Die è un distillato di tutti i temi e le idiosincrasie di Kieron Gillen, a cui i disegni di Stephanie Hans danno espressione e sfumature.

These are your friends from childhood, through youth,
Who goaded you on, demanded more proof,
Withdrawal pain is hard, it can do you right in,
So distorted and thin, distorted and thin
.”

(Joy Division, Day of the Lords, 1978)
Gillen Hans N06 Cover

Die è una serie firmata da Kieron Gillen (testi), Stephanie Hans (disegni e colori), Clayton Clowes (lettering) e Rian Hughes (design), pubblicata in 20 albi fra dicembre 2018 e settembre 2021 da Image Comics e quindi raccolta prima in 4 volumi brossurati (qui la recensione del primo, ad opera di Federico Beghin), poi in un cartonato di grande formato. Da notare che nello stesso periodo Gillen lavorò anche alle serie Once & Future (Boom!), The Ludocrats (Image) e The Eternals (Marvel).
In Italia, Die è stato pubblicato da Panini Comics con il titolo Die – (Di)partite per la traduzione di Fiorenzo Delle Rupi.

Con la stessa ambientazione e lo stesso nome dell’opera a fumetti, Gillen ha sviluppato il prototipo di un gioco di ruolo che ha poi affidato allo studio di game design Rowan, Rook & Decard per realizzarne una versione effettivamente giocabile e commercializzabile. Die, infatti, ha molto a che fare con il gioco di ruolo, sia come meccaniche (definizione dei giocatori, caratteristiche del mondo) sia come dinamiche (relazione fra i personaggi e fra questi e il mondo). Riservandoci un approfondimento specifico in futuro, notiamo intanto che molti titoli usati nella serie, sia per gli episodi sia per i volumi, utilizzano espressioni e terminologia relativa al gioco di ruolo. Ad esempio, “Fantasy Heartbreaker” è l’appellativo che storicamente indica i giochi di ruolo che mostravano del potenziale innovativo non valorizzato, restando quindi spesso a livello di prodotti derivativi. Alla luce della costruzione del racconto, il titolo ha quindi un tono tanto affettuoso quanto ironico. Così, il titolo del secondo arco “Split the Party“, riferisce in negativo uno dei principi di base dei gruppi di gioco: “Non dividere il gruppo”. Ancora: il quarto volume, che tratta da vicino i traumi dei personaggi, si intitola “Bleed”, termine che indica la manifestazione di disagio dei giocatori, che si cerca di gestire con varie tecniche, fra le quali le “Linee e i Veli”, titolo dell’episodio 18. In questo modo i titoli offrono indicazioni e creano aspettative puntuali sul racconto a chi coglie le allusioni, senza tuttavia andare a detrimento di chi le ignori.

L’opera

“Here are the young men, weight on their shoulders
Here are the young men, where have they been?
We knocked on the doors of Hell’s darker chamber
Pushed to the limit, we dragged ourselves in”

(Joy Division, Decades, 1980)
Gillen Hans Die n01 P04
L’uso della luce è il tratto distintivo dell’approccio di Stephanie Hans. Qui vediamo come fa emergere le emozioni dei personaggi. Gillen, Hans, Die n. 1 p. 2, Image, Panini, 2020.

Nel 1991 sei adolescenti – Solomon “Sol”, Dominic “Ash”, Angela, Chuck, Matt, Isabelle “Izzy” – scompaiono mentre stanno giocando a un gioco di ruolo inventato da Sol per festeggiare il compleanno di Ash. Dopo due anni, cinque di loro ricompaiono: manca Solomon e Angela ha perso un braccio. Nessuno dei ragazzi riesce a parlare di ciò che hanno vissuto. Venticinque anni più tardi, i cinque superstiti sono risucchiati nuovamente nel mondo dal quale, scopriamo, erano riusciti a fuggire, richiamati da Sol, che li sfida a terminare quanto iniziato nella loro prima venuta. Da qui muove una vicenda che vede il quintetto affrontare sfide e ciascuno confrontarsi con il proprio passato, la propria identità e le proprie motivazioni profonde, in un modo che fa emergere tensioni intense e porta alla spaccatura del gruppo, mettendo a repentaglio il ritorno a casa.

Come si può notare dalla trama, Die sviluppa i temi ricorrenti in altre opere di Gillen: la ri-costruzione e definizione dell’identità personale, il ruolo della narrazione in questa impresa e nella lettura del mondo, la relazione fra architettura, regole e senso della narrazione. In più, rispetto al passato, qui abbiamo la centralità della comprensione dell’altro, delle sue emozioni. Anche gli elementi compositivi sono quelli che troviamo altrove: intreccio complicato e non necessariamente risolto in maniera esaustiva, personaggi irrisolti e conflittuali (anche con sé stessi), tratteggiati con ampio e capillare uso di dialoghi e voce narrante (qui, tutto il racconto è commentato dalla voce fuori campo di Ash), numerosi riferimenti intra diegetici, per dare profondità all’ambientazione, ed extra diegetici, per collegarla al mondo esterno al racconto (cioè a quello del lettore e alle sue esperienze).

Die sfrutta inoltre un’ambientazione che è al contempo scenario e mistero, vivificata dalla presenza e azione di innumerevoli creature, società e relazioni; i protagonisti sono in grado di agire in e attraverso esse, ma si ritrovano a cercare di capire che cosa muove quel mondo. Nonostante l’abbondanza di riflessioni e deduzioni proposte attraverso le parole e i pensieri dei protagonisti, non tutto viene spiegato in maniera esplicita: gli incontri e le scoperte forniscono il disegno generale, nel quale il lettore ha spazio per immaginare come inserire alcuni aspetti di quel mondo, aspetti che peraltro non sono necessariamente dei dettagli secondari, come la guerra eterna fra la Piccola Inghilterra e la Prussia Meccanica, o le motivazioni degli dèi che lo popolano.

Nell’universo di Die, i sei protagonisti vivono identità diverse da quelle ordinarie: basate sulla loro personalità, ne amplificano le caratteristiche e innescano dinamiche relazionali – con sé stessi e gli altri – che li costringono ad affrontare aspetti non risolti della loro esistenza. Questi conflitti non sfruttano trasposizioni metaforiche dei vari disagi, bensì ciascun personaggio vive o convive con una versione di quel disagio: così, per esempio, Matt ha una spada parlante che tenta di demolire la sua autostima, Angela trova la figlia – nel suo mondo affidata al padre dopo la separazione – morta e ri-animata da un afflato vitale basilare, che la riduce a un essere ferino, solo parzialmente consapevole di sé, e l’Ash del mondo di Die è un personaggio femminile. I personaggi interpretati dai protagonisti, che pure sono apostrofati “Paragon” (“Campioni”) dagli abitanti della Città di Vetro, vivono una dolorosa ordinarietà umana perché la loro essenza è definita dalle loro sofferenze e dai loro tratti irrisolti.

Gillen Hans N06 P12
Se, da una parte, le immagini di Hans hanno una caratteristica statica, qui vediamo come il diamismo, addirittura il senso di urgenza, sia reso attraverso la costruzione della tavola. La suddivisione risulta in una scansione del tempo, mentre il colore trasmette l’emozione dominante. Gillen, Hans, Die n. 6 p. 12, Image, Panini, 2020.

Il cammino del gruppo attraverso il mondo di Die, alla scoperta della sua origine, della sua natura profonda e dei suoi obiettivi è scandito metronomicamente dai cliffhanger di fine episodio e punteggiato non solo da relazioni con i personaggi che lo abitano – dettaglio fondamentale: i protagonisti hanno deciso di considerare gli abitanti di Die esseri reali e non creature di fantasia – ma anche dagli incontri con i simulacri (o i riflessi o gli Avatar, non è chiarito) di scrittori le cui opere hanno contribuito alla definizione dell’immaginario e delle meccaniche che fondano la letteratura fantastica e fantascientifica e i giochi di ruolo. Dai dialoghi con essi emergono indizi che tratteggiano la minaccia che il mondo di Die porta al nostro con toni di ineluttabilità: ogni stratagemma risulta non solo vano ma sembra addirittura rafforzare quella minaccia e predisporne il compimento. Se tutto il racconto è immerso in un’atmosfera cupa – l’umorismo che vi ritroviamo è sempre macabro o è sarcasmo che ferisce sia chi pronuncia la battuta sia chi la subisce -, il finale offre al più uno spiraglio di possibilità, non soluzioni ai disagi dei protagonisti né tantomeno alla minaccia rappresentata dall’universo in cui agiscono.

La messa in scena del racconto – che, come sempre per le opere di Gillen, sfrutta un’alta leggibilità visiva – ha due caratteristiche principali: la cupezza dell’atmosfera che permea ogni tavola e l’interpretazione dei protagonisti come individui ordinari di un mondo straordinario. La prima è definita in ogni scena tramite palette cromatiche specifiche, sempre di pochi colori e in toni prevalentemente scuri – Hans ne illustra l’utilizzo in termini di “color moods” in un’interessante appendice al vol. 3-; le luci sono poi usate per sfumare i contorni, comunicando un senso di instabilità e fugacità delle forme che significa fragilità.
Quando non avvolti dall’ombra, i personaggi sono rappresentati spesso su sfondi i cui gradienti cromatici isolano le loro figure, arrivando ad effetti di dilatazione temporale di brevi istanti nel caso di dettagli su sfondo bianco. Anche gli elementi di meraviglia – la Città di Vetro, i draghi meccanici, il pozzo senza fine – seppure si guadagnino lo spazio dell’intera tavola, trasmettono un senso di minaccia incombente attraverso la proporzione fra le loro dimensioni gigantesche e quelle delle figure dei protagonisti. Non sono mai parte di un’illustrazione, ma sempre di immagini immerse nel flusso narrativo: la pausa che offrono è comunque marcata da parole, che collocano precisamente quelle meraviglie nel “qui e ora” del racconto.

Gillen Hans Die n19 p01
Non mancano le tavole d’effetto, in Die, Anche in questo caso, si apprezzi l’uso del colore e la composizione della tavola, che risulta in un effetto di focalizzazione, spaziale ed emozionale, sul dettaglio del volto della figura. Gillen, Hans, Die n. 19 p. 1, Image, Panini, 2022.

La valenza sempre narrativa e mai meramente illustrativa delle raffigurazioni è fondamentale nell’interpretazione dei personaggi: non c’è un solo caso, una sola vignetta dove questi siano in posa e i loro corpi, le loro posture, i loro volti sono sempre resi con uno spirito impressionista che fa aggio sull’oggettiva varianza nella rappresentazione. In generale, infatti, Hans fa ampio uso di ritratti, primi piani e dettagli del viso, così da valorizzare la loro espressività e trasmettere stati d’animo ed emozioni dei personaggi. Le scene sono d’altra parte quasi sempre statiche: l’azione in esse è ellittica, spesso allusa o concentrata in una o due vignette, e sempre funzionale a ribadire e far emergere un tratto caratteriale del personaggio.

In questo senso, l’immagine esemplare è la doppia splash che ritrae i cinque appena materializzati sulla superficie di Die, avvolti in una sorta di nebbia rossastra che nasconde il paesaggio. In primo piano a destra Chuck, che guarda di lato, quasi timoroso che sia solo un’illusione; alle sue spalle, gli altri osservano i propri vestiti con uno sguardo che mescola stupore e rassegnazione e Ash commenta un didascalico “We are back“. Non c’è niente di eroico, di meraviglioso: quattro personaggi guardano sé stessi e uno guarda il mondo intorno e questo anticipa gli atteggiamenti che guideranno le loro decisioni per tutto il resto dell’avventura.


L’esperienza di lettura

Watched from the wings as the scenes were replaying
We saw ourselves now as we never had seen
Portrayal of the trauma and degeneration
The sorrows we suffered and never were free

(Joy Division, Decades, 1980)

Die è la quintessenza del modo di raccontare di Gillen, poiché ogni sua tecnica e impostazione è qui portata all’estremo. In esso l’autore inglese è riuscito a combinare come mai prima l’efficienza delle meccaniche narrative con l’efficacia delle dinamiche che ne scaturiscono. Il racconto procede svelando poco a poco il passato e il futuro, l’investigazione dei misteri procede in sincronia con lo scavo doloroso in sé dei personaggi, e ogni momento di aumentata consapevolezza è reso con precisione evocativa dalle immagini. Nessun dettaglio è meno che necessario, nessun passaggio evitabile, in una vicenda che emerge dalla complessità dei materiali e delle loro relazioni: ne risulta una sorta di necessità a posteriori di ogni evento, di ogni scelta.

Ad ogni snodo, il racconto manifesta una pluralità di opzioni, mai risolte dalle regole narrative ma sempre dalle decisioni dei personaggi. Nel flusso continuo di parole e pensieri, nessuna è gratuita, nessuna è mero virtuosismo ritmico o semantico: non può essere tolta dal racconto, dal particolare punto in cui appare e mantenere il proprio senso. La tessitura del racconto sopporta anche l’estemporaneità di un passaggio inesplicabile e assorbe nel suo flusso anche le esposizioni di storia della letteratura, che divengono parte fondante della vicenda: così facendo, consente alla lettura di restare sempre dentro la storia, aumentando l’immersione in essa ( o meglio “il senso di immersione”).

Sempre aperta a letture meta-letterarie, alle quali per Die si possono aggiungere quelle sulla natura del gioco di ruolo, l’opera si fonda sulla capacità di suscitare empatia con i personaggi: questa è sicuramente la barriera maggiore per entrare nel suo mondo, ma questa è d’altra parte la fonte di ogni immagine e ogni frase che incontriamo. Die si offre come un percorso da ripetere più volte – come un gioco rogue-like, verrebbe da pensare. Un percorso reso faticoso dalla densità dei dialoghi e dei monologhi, dal carattere inevitabilmente doloroso e spezzato delle relazioni fra i personaggi e dei personaggi con sé stessi e, soprattutto, dal fatto che non esistono passaggi – sequenze, scene, finanche singole immagini – di alleggerimento: la tensione è sempre tenuta alta e ogni colpo di scena la aumenta.  Per rendersene conto, si può intanto notare la scarsità delle scene d’azione, che rappresentano il più classico degli escamotage di riempimento, ma soprattutto il carattere degli scontri dialettici, che in altre opere di Gillen sono talvolta virtuosismi retorici, mentre qui sono immancabilmente spiragli su una qualche lacerazione dell’animo di chi parla o di chi ascolta.

Where will it end?

(Joy Division, Day of the Lords, 1978)
Gillen Hans Die N20 P02
Come in ogni vera esplorazione, sono le domande a contare. Lo smarrimento dei personaggi, corrisponde alla necessità di un cambio di visione. Gillen, Hans, Die n. 20 p. 2, Image, Panini, 2022

Accanto al percorso di ciascun personaggio – e qui intendiamo anche quelli secondari, i famigerati Personaggi Non Giocanti dei giochi di ruolo, gli “One line characters”, come li definisce Chuck – con il quale possiamo entrare in sintonia emotiva, ce n’è uno più generale, la ricerca della risposta alla domanda che risuona nel mondo di Die: “What am I for? (“Per che cosa sono qui?”, ma anche: “Che cosa rappresento?”). Questa domanda assume via via un ruolo sempre più centrale, fino a diventare il punto di fuga narrativo della vicenda, per il semplice motivo che non chiede la scoperta di una funzionalità o un obiettivo ma del senso di quello che stanno facendo i protagonisti, quello che sta facendo il mondo di Die e quello che stiamo facendo noi che leggiamo tutto questo.

In questo, Die è in stretta continuità con Phonogram e The Wicked + The Divine: nelle tre opere seguiamo la stessa ricerca, svolta da protagonisti via via più avanti nella vita, e possiamo infatti considerare le diverse prospettive delle loro esplorazioni come marche dell’età. Ad ogni fase corrispondono domande diverse, problemi diversi e soluzioni accettabili (o anche solo praticabili) diverse. In questo senso, Die offre risposte per adulti e d’altra parte “Fantasy for grown ups” era stata la frase che aveva catturato i sei protagonisti all’inizio dell’avventura.

Sintesi

Die è costruito con tutti gli ingredienti tipici di Gillen, che qui generano un racconto dotato di un equilibrio e un’economia narrativa che in precedenza era mancata. A dimostrarlo, l’assenza di punti deboli nella struttura, che in altre opere avevano dato l’impressione di ripensamenti o ridefinizione degli obiettivi o dei temi portanti in corso d’opera. Rispetto al resto della produzione dell’autore inglese, va notato che al posto dell’umorismo, spesso sdrammatizzante, qui abbiamo abbondanza di sarcasmo, che nasce da una generica difficoltà dei personaggi nell’usare empatia verso i propri compagni. Le relazioni fra loro sono goffe e generano un costante disagio emotivo, che determina il tono generale del racconto. Lo stile di Hans amplifica questa atmosfera, che a tratti si fa oppressiva, soprattutto perché, tenendosi lontana dagli stereotipi del fantasy, elimina esplicitamente ogni supporto a una lettura ironica.

Abbiamo parlato di:
Die – (Di)partite voll. 1-4
Kieron Gillen, Stephanie Hans, Clayton Cowles;
Traduzione di: Fiorenzo Delle Rupi
Panini Comics, 2020 – 2022
160 pagine ca., brossurato, colori – vol. 1: 21,00€, vol. 2-4: 19,00 € cad.
ISBN: 9788891278111, 9788891281289, 9788828702955, 9788828710745

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