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  • Di Giappone, meraviglia e nuovi progetti: intervista a Benjamin Lacombe

    Di Giappone, meraviglia e nuovi progetti: intervista a Benjamin Lacombe

    In occasione della presentazione milanese di "Storie di fantasmi del Giappone" abbiamo intervistato Benjamin Lacombe.

    Benjamin Lacombe è uno dei più noti illustratori francesi contemporanei: con il suo stile, capace di evocare mondi fiabeschi e grandi classici della letteratura, ha illustrato decine di libri pubblicati a livello internazionale. Quest’estate, in occasione della sua presentazione milanese per Storie di fantasmi del Giappone, le nostre Nicole Brena e Maya Quaianni l’hanno intervistato nella bellissima sede della casa editrice Ippocampo: è stata l’occasione per scoprire di più sul suo metodo di lavoro e sulla sua passione per la cultura nipponica.

    storie-di-fantasmi-coverCiao Benjamin, e grazie a te alla casa editrice Ippocampo per questa intervista. Iniziamo la nostra chiacchierata parlando di Storie di fantasmi del Giappone, pubblicato da Ippocampo. Il libro raccoglie una serie di racconti scritti dall’irlandese naturalizzato giapponese Lafcadio Hearn (1850-1904), pioniere nel far conoscere agli occidentali il folklore nipponico. Si tratta del primo tassello del tuo lavoro dedicato alla rappresentazione della mitologia nipponica attraverso i testi di Hearn: in Francia è infatti già acquistabile Esprits & créatures du Japon (Éditions Soleil, 2020), che uscirà a settembre in Italia sempre per i tipi di Ippocampo. Benjamin, come è nata l’idea del libro?
    Sono affascinato dalla cultura giapponese fin da quando ero bambino e amo i manga di Rumiko Takahashi e i film di Hayao Miyazaki. In entrambi i casi, puoi trovare degli yōkai1 nelle loro opere, e avvertire come ognuno di questi personaggi abbia una propria storia.
    Non conoscendo le loro vicende, ho iniziato a fare delle ricerche e ho trovato l’opera di Lafcadio Hearn, che è incredibile e assolutamente sconosciuta in Francia (penso sia sconosciuta anche in Italia, nessuno conosce davvero Lafcadio). Qualche volta è stato difficile trovare il testo originale, e alcuni degli scritti raccolti in questo libro e nei volumi che usciranno prossimamente non erano mai stati tradotti prima in francese o in italiano. È un peccato, il suo lavoro è davvero rilevante. L’importanza dell’opera di Lafcadio può essere paragonata a quella dei fratelli Grimm, che hanno raccolto storie fino ad allora tramandate solo oralmente e le hanno trasmesse al mondo. Lafcadio ha fatto lo stesso con le storie giapponesi di yōkai, di fantasmi, di pirati, di kwaidan2, di yūrei3, con tutti questi racconti. Volevo sapere chi fosse ognuna di queste creature, è qualcosa che avevo in mente da molto tempo. Per tenere una conferenza sulla cultura giapponese, ho ricontrollato tutti i riferimenti per essere sicuro al cento per cento. Durante la ricerca e nel processo creativo e immaginario sono sempre totalmente devoto al mio lavoro.
    Ho sempre amato il Giappone, l’ho visitato cinque volte ormai, e il primo vero fumetto che realizzai quando avevo 19 anni, L’Esprit du Temps (Éditions Soleil), era su una ragazza trasformata in fantasma giapponese costretta a vivere in un tempio dove è stata rinchiusa da un demone. Mi porto dietro questa fascinazione per le storie di fantasmi giapponesi fin da quando ero giovane.
    Ho realizzato un altro libro qualche anno fa, Les Amants Papillons (Édition Seuil, 2007), sempre sulla cultura giapponese, sul concetto di morte e su cosa succede nell’aldilà, e ho fatto Madame Butterfly (uscito in Italia per Rizzoli nel 2014). Si tratta di un tema che amo davvero e che mi interessa. Ho proposto alla casa editrice [francese, ndr] questo libro perché volevo davvero lavorare su questo folklore, praticamente sconosciuto agli occidentali e che ogni giapponese conosce.

    Come hai scoperto l’opera di Lafcadio Hearn?
    Semplicemente cercando. Volevo saperne di più sull’argomento e, se cercando informazioni sulle fiabe occidentali ciò che si può trovare facilmente sono i fratelli Grimm, Andersen, La Fontaine, cercando sugli yōkai si trova Lafcadio Hearn. La difficoltà era che alcuni di questi testi, come dicevo, non erano tradotti, così ho lavorato con un esperto in Francia, Matthias Hayekis, professore all’École Pratique des Hautes Études dove insegna Storia e Sociologia delle Credenze Nipponiche e Storia Sociale delle Conoscenze nel Giappone Moderno (dal XVII al XIX secolo): lui ha tradotto alcune delle storie.

    Les Amants Papillons
    Come è stato il tuo percorso verso la rappresentazione grafica delle opere di Hearn? Ci hai detto che già conoscevi molti manga e anime. Hai tratto ispirazione anche dalle stampe ukiyo-e?
    Naturalmente, e ho inserito molti riferimenti alle stampe xilografiche nipponiche: amo il folklore e la cultura giapponese, e volevo rendere omaggio alla tradizione nella sua interezza. Quando lavoro su un tema come questo, voglio essere sicuro di ogni aspetto.
    In Giappone ogni cosa ha un suo codice: il kimono, per esempio. Un certo tipo di kimono dipende dal periodo dell’anno, la stampa che compare sul kimono ha un significato, anche la maniera in cui indossi il kimono ce l’ha. Se lo indossi in un certo modo significa che te ne stai andando, se lo indossi in un altro significa che sei morto: nell’illustrazione in copertina, ho intenzionalmente disegnato il lato destro davanti perché il personaggio è uno spettro. Quando ho realizzato questo libro, ho inserito anche molti riferimenti allo stesso Lafcadio Hearn, e a tutte le edizioni che ha realizzato: anche la copertina è una sorta di ricostruzione del lavoro fatto sulle copertine da Lafcadio Hearn stesso.
    Ho cercato di inserire un significato in ogni elemento della copertina: per esempio i colori che ho scelto per il libro, che puoi trovare ovunque – blu, rosa, porpora, magenta. Si tratta dei colori della transizione dalla fine del giorno alla notte, o dalla notte all’inizio del giorno. È il momento in cui si suppone che i fantasmi appaiano. Nella cultura giapponese compaiono sempre quando inizia l’oscurità, o quando inizia ad albeggiare: in un luogo di transizione, un ponte, dietro una porta, situazioni del genere.
    Ho introdotto un riferimento anche alla trama di tessuto con cui è realizzata la copertina: a seconda del lato in cui si guarda il libro lo si vede in maniera diversa, e aprendolo puoi osservarne i vari livelli. Per esempio, i livelli all’inizio ti danno accesso alle storie di fantasmi, dandoti una maniera di vedere le cose, e quando hai terminato di leggere le ultime pagine hai un modo nuovo di vederle quelle stesse cose. Le storie di fantasmi avvengono tra questi due strati: ho inserito molti riferimenti – yōkai, ukiyo-e, stampe xilografiche – perché volevo che le persone che conoscono la cultura giapponese capissero.
    Ho fatto molte ricostruzioni di yōkai: il concetto di yōkai è una sorta di “cadavere squisito”, dove un autore realizza yōkai e successivamente un altro ne prende alcuni elementi e lo reinterpreta. Per esempio, per i noppera-bō4, la rappresentazione tradizionale è quella di una semplice ragazza senza faccia. In Miyazaki si trova una rappresentazione molto interessante, uno spazio vuoto: mi piaceva molto e così ho mescolato questi due concetti. Trovi così questo genere di citazioni, anche se qualche volta ne ho inserite di più esplicite tratte da opere molto famose. Per esempio, Itō Jakuchū: ho usato praticamente il suo stesso modo di comporre immagini, in modo che chi lo conosce lo potesse notare – le persone che non conoscono l’opera non lo capiranno, ma non è un problema. Altri riferimenti che ho inserito sono quelli a Hasui Kawase e, naturalmente, a Kuniyoshi, dove ho realizzato una citazione molto chiara. Kuniyoshi ha illustrato una storia molto molto famosa – che praticamente tutti i grandi artisti hanno illustrato – su una strega arrabbiata che manda un’armata di scheletri per fare capire che con lei non si scherza. Gashadokuro5 è stata una citazione per anni e anni: non sappiamo perché, ma Kuniyoshi non voleva disegnare un’armata di scheletri, e disegnò invece un solo scheletro gigante. È un’immagine particolarmente iconica, ha creato una nuova iconografia per lo yōkai Gashadokuro. Da allora, ognuno ne ha realizzato una propria versione. Questo è il modo in cui l’arte yōkai evolve nel tempo: si tratta di una specie di cadavere squisito attraverso il tempo. E naturalmente ci sono ulteriori riferimenti a Hokusai e Kuniyoshi nel libro – anche perché Kuniyoshi è l’uomo che disegnava i gatti.

    fantasmi Lacombe 1
    Quale yōkai ti è piaciuto illustrare in particolare?
    I miei preferiti, in realtà, sono nel secondo volume: amo i kitsune6 e i kappa7. Amo questi yōkai: possono essere teneri ma anche terribili, e amo quando hai questo strano mix di elementi kawaii8 e spaventosi. Li inserisco ovunque. E amo La Storia di Aoyagi perché il personaggio femminile è un albero, e tutta questa interessante storia è sulla percezione. Se conosci la cultura giapponese, saprai che ci sono cose che non sono normali: per esempio non vedrai mai dei kodama 9 sulle persone, i kodama appaiono solo sugli alberi, sulle foreste. Anche se non hai letto la storia, dovresti capire che non è un’umana, è un albero, ed è il motivo per cui ha dei kodama su di lei.
    In queste storie del Giappone non amo solo le azioni – la ragazza che fa questo, o Urashima Tarō che va lì -, amo parlare della percezione della vita e come comportarsi con gli elementi che ci circondano. Nella cultura occidentale dominiamo natura e animali, noi siamo in cima alla piramide e il resto deve obbedirci. Il che è completamente diverso da queste fiabe, perché gli yōkai possono essere qualsiasi cosa: possono essere il più piccolo insetto o uno tsunami, e tu devi rispettare ogni cosa perché sei parte di un qualcosa di più grande e non sei tu al centro del mondo. E ciò è molto interessante soprattutto considerando il periodo in cui ci troviamo, dove molti elementi ci ricordano che siamo parte di un quadro più generale, non siamo noi il centro, e se facciamo troppo casino non saremo più parte del quadro.

    alice lacombe
    Hai illustrato diversi racconti tradizionali: qual è il tuo rapporto con il folklore? Come progetti il formato dei tuoi libri? Ad esempio i leporelli di Frida o Madame Butterfly?
    Per me ogni progetto è diverso. Cerco sempre di sperimentare: mi viene l’idea di come fare il libro e a volte mi servono da 5 a 8 anni per realizzarlo. Questo non vuol dire che ci metta 5 anni per fare solo un libro (visto che ho pubblicato più di 40 libri e non sono ultracentenario!). Ci penso, ce l’ho in mente e ogni cosa che vedo ha un suo senso per l’opera. Per il libro sulle storie di fantasmi giapponesi ogni volta che c’era una mostra sugli yōkai o sulla cultura nipponica ci andavo per imparare di più sull’argomento, perché amo conoscere approfonditamente quello di cui parlo. Amo imparare, perché se lo faccio forse le persone che leggeranno il mio libro alla fine impareranno anche loro qualcosa.
    La stessa cosa vale per i classici. È fantastico quanto puoi imparare se scavi a fondo in un tema, se cerchi di non essere superficiale. Alice nel Paese delle Meraviglie, per esempio, è il libro che è stato più illustrato – forse più della Bibbia – ma questo non significa che tu non possa realizzare qualcosa di interessante. Ho amato la storia fin da quando ero un bambino, e quando ho iniziato a illustrarla volevo saperne di più. Avevo un’idea di Alice formatasi attraverso il film, attraverso tutti i libri che avevo letto, ma anche così puoi continuare ad averne una comprensione superficiale. Per esempio, alcune persone dicono che la vera Alice fosse questa ragazzina chiamata Alice Liddell, e che Carroll creò, scrisse e persino illustrò il manoscritto per lei. Ma cosa trovi se analizzi il manoscritto e i diari di Lewis Carrol? Proprio alla fine del manoscritto che lui diede a lei, si trovano le foto della giovane Alice Liddell: e sotto questa foto c’è la rappresentazione di Alice dello stesso Lewis Carrol. E hai la rappresentazione di Alice all’interno del libro. Puoi chiaramente vedere che non si tratta della stessa ragazza, il che significa che la vera Alice non era Alice Liddell: era una specie di mix, il suo sogno da bambino. Quando Carroll chiese a John Tenniel – il primo illustratore del libro – di lavorare sul libro, gli diede una foto di Beatrice Hatch. Si può chiaramente vedere che, visivamente parlando, era lei la musa, e che Alice non era per niente questa ragazzina bruna che aveva disegnato, era un’altra che però aveva chiamato Alice realizzando questa storia per Alice Liddell. Per me era abbastanza chiaro che diede al personaggio la personalità di Alice e l’aspetto di Beatrice Hatch. Erano elementi che tutti avevano dimenticato ma che erano già presenti nel manoscritto. Se scavi un po’ superi le apparenze e scopri cose, anche se in maniera scultorea.
    Mi chiedevi del leporello e dell’intaglio su carta: sono stati realizzati appositamente per via della storia. La storia di Alice è tutta sul cambiamento, diventare un adolescente, crescere, avere parti di te stesso continuamente in trasformazione. È la ragione per cui i fiori vanni ridipinti di rosso: è qualcosa che succede alle ragazze, lei sta continuamente crescendo e non sa più chi è. Il libro doveva trasmettere lo stesso viaggio, cambiare di dimensione nello stesso momento in cui lei lo fa. Quando progettavo il libro pensavo: deve seguire questa trasformazione.
    Per Frida è stato diverso. Volevo realizzare quel libro da tanto. Frida Kahlo è un’artista a me molto cara, e quando realizzai il mio lavoro non c’erano così tanti libri su di lei. Non era di moda, non c’era ancora il movimento “Me Too”. Sapevo però cosa non volevo realizzare su di lei. Non volevo raccontare la storia della sua vita: “Era nata qui, ha fatto questo”, perché Frida Kahlo era una persona davvero non convenzionale. Lei ha incorporato nel suo lavoro qualcosa di davvero profondo, personale, molto connesso alla sua vita ma anche alle sue radici. Aveva anche un’ottima conoscenza della cultura Maya, e inserì diversi riferimenti nel suo lavoro.
    Quando vedi i dipinti di Frida, la prima cosa che noti sono i colori: molto vibranti e con una vasta palette. La seconda cosa che noti è invece legata alla sua storia: Frida Kahlo aveva la colonna vertebrale spezzata e non poteva avere figli, quindi sai che le sue opere possono avere altri significati. E infine hai una terza lettura, se conosci tutti i retroscena di cui lei parla, perché c’è la sua critica alla società, lei era molto politicizzata. Sapevo di aver bisogno di parlare di questi tre temi, e mi è servito tempo per farlo, per ogni capitolo avevo bisogno che ci fossero queste tre livelli di lettura. Ed è lì che entra in gioco l’intarsio di carta tagliata con il laser: ho avuto l’idea visitando la Casa Azul, il museo di Frida Kahlo. Ero lì per un tour di promozione e vidi un dipinto che mi diede la chiave del libro. Io non conoscevo tutti gli autoritratti di Frida Kahlo. Quando vidi quello, pensai: “Ora ho il mio libro”, perché Frida rappresenta il suo cuore nella sua cavità toracica, tagliato e in cui puoi vedere attraverso. Questo è esattamente quello che ho fatto per il mio libro: puoi vederci attraverso, puoi andare attraverso la resilienza e creazione artistica. Quindi il libro è stato realizzato così grazie a Frida, e grazie ai riferimenti alla sua storia. Ogni volta deve essere significativo.

    Frida lacombe
    Puoi parlarci del senso di meraviglia nel tuo lavoro?
    Ci sono diversi tipi di libri, quelli di cui abbiamo parlato richiedono molto dalla tua vita: tenti e ritenti per tanto tempo, sperimenti, cerchi di spingere i limiti al massimo, parli con lo stampatore su cosa sia possibile realizzare. Ricordo quando realizzai il libro su Carmen, che non è disponibile in Italia. Carmen è la rappresentazione massima della femme fatale, è perfetta. All’epoca non tutti capivano il suo personaggio, erano spaventati dal fatto che fosse così potente, e dicevano sempre cose malevole su di lei. Invece, quando leggi l’opera pensi “Lei è davvero grande perché è così libera”, qualcosa che un uomo del XIX secolo non poteva capire. Per quel periodo, lei era l’espressione del Male. Il libro illustrato sulla Carmen è sul ragno e la rete, sulla trasformazione, e fin dall’inizio volevo che la copertina avesse questa rete e questo filamento, così ho realizzato una bozza ricamandolo io stesso perché nessuno voleva farlo. Queste cose richiedono tempo e hai bisogno di convincere tutti.
    Oppure parliamo, per esempio, di quest’altro libro su cui sto lavorando – penso che uscirà in autunno perché nel 2022 sarà il 150imo anniversario di Alice in Wonderland, e verrà pubblicato da Ippocampo. Come vi dicevo, amo il fatto che il libro si trasformi: è tutto sulla trasformazione. Il testo è di 300 pagine e non era possibile inserire un grosso pop-up, ma l’idea di avere qualcosa che si trasformasse continuava a girarmi in testa e volevo fare qualcosa di più, volevo esprimerlo in qualche modo e così ho preparato con le mie mani un prototipo: il progetto finale sarà tutto a colori e sarà perfetto. Qui hai tutti i livelli e questa trasformazione a 360°, che è molto importante perché Alice in Wonderland è una storia a 360°. Nel racconto, lei si addormenta e si sveglia nello stesso posto, e in questo tempo tutta la storia ha luogo, così aveva assolutamente senso per me realizzarlo in questo modo. Ancora una volta, la creatività porta a qualcosa di nuovo: un mix di un carousel book – normalmente piatto – e un libro pop-up. Questa tecnica per renderlo apribile è difficile da spiegare, ma grazie alla forma a stella che si viene a creare rimane dritto. Come potete immaginare, per ottenere questo prototipo ho realizzato due o tre test prima, e stiamo ancora ultimando i dettagli. Potrebbe cambiare ancora.
    I libri sui gatti e cani [come Facéties de chat, da noi Vite di gatti straordinari, o Destins de chiens, in italiano Vite di cani illustri, ndr] sono molto più facili. Amo i gatti e i cani e volevo realizzare un libro fantastico su di loro; inoltre non tutti i libri possono essere così complessi.

    fantasmi Lacombe 4Tornando ai tuoi due libri sul folklore giapponese, alla fine ringrazi Barbara Canepa per i suoi consigli. Come l’hai incontrata?
    L’ho incontrata tanto tempo fa, quando feci il mio primo fumetto all’età di 19 anni. All’epoca avevamo la stessa casa editrice. Amavo il suo lavoro con Alessandro Barbucci, Sky Doll e W.I.T.C.H., quindi ero davvero felice di lavorare per la stessa editoriale: diventammo presto amici. Quando lei decise di creare la sua linea editoriale [“Métamorphose”, per la casa editrice francese Éditions Soleil, ndr.] mi chiese se volevo farne parte e risposi di sì. E aggiunsi “Facciamo un libro che nessuno ha mai fatto, che non è di moda: un libro illustrato per adulti”.Nel 2009 in Francia non c’erano libri illustrati per adulti, ed era molto difficile, si pensava che nessuno li volesse e anche i librai si chiedevano “Dove lo metto? Non posso metterlo tra i libri illustrati, non posso metterlo tra i fumetti, quindi dove?”. Alla fine ce la facemmo con Les contes macabres, insieme a Clotilde Vu – che co-dirige la collana – e abbiamo trovato un pubblico molto buono. È stato un libro davvero di successo e grazie a quello posso ancora realizzare opere come questo. Quindi il rapporto con Barbara dura da almeno 20 anni.

    Un’ultima domanda che è una mia curiosità personale, essendo un grande fan di questo genere di yōkai: nella seconda parte di questo progetto ci sono dei tanuki10?
    Mi sarebbe piaciuto molto, ma Lafcadio non ha scritto su di loro. Ma come saprete ci sono molti tipi di yōkai: la prima tipologia di yōkai sono fantasmi (il primo libro), la seconda gli spiriti e le creature (la natura e i suoi elementi, che trovate nel secondo libro), la terza tipologia gli dei, e spero di trovare una storia sui tanuki per i libri futuri.

    Intervista realizzata dal vivo il 9 giugno 2021

    Benjamin Lacombe

    NLacombeato a Parigi nel 1982, Lacombe è uno dei più noti illustratori francesi contemporanei: durante i suoi studi presso l’École nationale supérieure des arts décoratifs lavora nel campo pubblicitario e nell’animazione, ma già nel 2003 inizia a pubblicare i suoi primi fumetti e libri illustrati per Éditions Soleil.
    Con il suo stile, capace di evocare il mondo di fiabe e grandi classici della letteratura, ha illustrato opere quali Notre-Dame de Paris di Victor Hugo e Les contes macabres di Edgar Allan Poe. Pubblica inoltre libri su storie inedite, scritte da lui o insieme ad altri autori, come Frida, realizzato insieme a Sébastien Perez.
    I suoi lavori sono stati esposti in gallerie quali L’Art de rien di Parigi, Ad hoc art di New York e Maruzen di Tokyo, e una mostra gli è stata dedicata in occasione di Lucca Comics & Games 2018.

     






    1. Yokai (“manifestazione inquietante”) è il termine con cui si fa riferimento ad apparizioni soprannaturali o spettri nel folklore nipponico. Può indicare entità soprannaturali più o meno malvagie, e con caratteristiche piuttosto eterogenee, con elementi presi dal regno degli animali, da oggetti di uso comune o più mostruosi. 

    2. A volte traslitterato come kaidan, è una parola formata dall’unione dei kanji “strano, misterioso” e racconto”. Viene usata per indicare storie di fantasmi o horror, in particolare risalenti al periodo Edo (1603-1867). 

    3. Gli yūrei (“spirito evanescente”) sono in fantasmi nel folklore giapponese. 

    4. I noppera-bō sono un tipo di yōkai: considerati innocui, amano terrorizzare gli esseri umani. 

    5. Gashadokuro è uno yōkai che rappresenta uno scheletro gigante. 

    6. Kitsune è il termine giapponese per volpe, che secondo la tradizione sarebbero dotate di poteri magici, come la capacità di cambiare aspetto e assumere sembianze umane. 

    7. Il kappa è uno yōkai che nel folklore nipponico abita laghi e fiumi, dall’aspetto umanoide ma con tratti simili a quelli delle scimmie e delle rane. 

    8. Aggettivo che può essere tradotto in italiano come “carino”. 

    9. I kodama sono spiriti che risiedono negli alberi. 

    10. I tanuki sono una specie di procioni che nel folklore nipponico sono considerati dotati di poteri magici, come quello di mutare forma. Nell’iconografia tradizionale vengono rappresentati con testicoli molto grandi, che spesso usano come tamburo. 

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