Il 7 maggio 2005, Pino Pelosi, l’uomo accusato di essere l’assassino di Pier Paolo Pasolini, ha dichiarato di non essere stato lui l’autore dell’omicidio. Dopo aver scontato quasi 30 anni in carcere, Pelosi ha affermato di non avere avuto il coraggio di dire la verità per paura delle conseguenze e ha così deciso di farlo solo ora perché, con ogni probabilità, i veri responsabili del delitto erano nel frattempo morti.
6 mesi dopo le dichiarazioni di Pelosi e a 30 anni dalla morte del poeta, Becco Giallo pubblica “Il delitto Pasolini”, una ricostruzione a fumetti di Gianluca Maconi, basata su una notevole raccolta di documenti e sul significato che questo delitto ha rappresentato per la storia d’Italia.
Come lo stesso Maconi dichiara nella postfazione, questo lavoro intende essere un omaggio a “un importantissimo e discusso personaggio della cultura italiana”, un intellettuale, un poeta e un regista su cui, nel tempo, è stato scritto di tutto. Maconi fornisce un’accurata descrizione dei fatti come sono realmente avvenuti (salvo pochissimi errori, perlopiù non corretti per mancanza di tempo), sostenuta da una massiccia ricerca basata su libri, giornali e documentari. Ma, a differenza di molti altri approfondimenti su questo delitto, l’autore non si ferma al semplice racconto dell’omicidio né vuole mettere di nuovo in discussione una sentenza notoriamente sbagliata; tenta invece un’operazione ben più difficile. Sfruttando le molteplici possibilità offerte dal fumetto, Maconi aggiunge una profondità senza tempo alla vicenda tragica e alle parole di Pasolini.
Il fumetto si apre con una presentazione in stile cinematografico, come dei titoli di testa, e inizia con l’inseguimento di Pelosi ad opera dei Carabinieri, narrato con vignette strette e lunghe come un 16:9.
Segue il ritrovamento del corpo di Pasolini, basato su servizi televisivi dell’epoca: qui la vignetta diventa più rettangolare, come un 4:3 televisivo. Maconi fa poi una doverosa panoramica sul funerale del poeta, scandito dai titoli dei giornali e accompagnato dalla celeberrima e commossa arringa di Alberto Moravia: “Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo…” Al funerale c’é gente senza volto, ci sono gli amici e i colleghi di Pasolini, gli intellettuali a cui era legato da una sincera stima reciproca; non ci sono politici. Dopo il funerale ci sono gli interrogatori, le carte processuali e le sentenze, racchiusi dentro piccole vignette uguali e quadrate, ripetitive come i processi nelle aule di un tribunale, in cui i volti dei protagonisti raccontano la loro versione dei fatti.
é subito alla fine di questi momenti di cronaca a fumetti che inizia il lavoro più delicato e intenso di Maconi. La ricostruzione del delitto, le ultime ore di vita di un ignaro Pasolini vengono raccontati con rispetto e sensibilità, usando immagini e metafore prese in prestito dalle opere del poeta stesso, alternando momenti di vita e di dialogo a fotogrammi di storia. Non sono soltanto il racconto di un’intervista, di una cena, di un abbordaggio a pagamento e di una tragedia. Esse diventano la metafora della sua vita e delle sue parole, una lunga metafora spiegata ora riascoltando la sua intervista a Furio Colombo o il suo ultimo dialogo con Davoli al ristorante; ora usando immagini simboliche, come quella rubata agli “Appunti per un film sull’India”, in cui Pasolini cammina in un set cinematografico di una città indiana e si ritrova, uscendo dagli studi, in una landa desolata, di fronte a un branco di tigri quasi morte di fame. In quest’ultima sequenza, Maconi riprende il taglio in 16:9, riducendolo alla fine, per passare dal contesto di finzione/immaginazione a quello domestico, in cui inizia l’intervista di Furio Colombo, che avrà come titolo “Siamo tutti in pericolo”. Un’intervista difficile, che diventa il cuore stesso di tutto il fumetto, in cui Pasolini, con la consueta passione e lucidità, fa un’analisi tremenda della società moderna, dominata da una violenza senza quartiere: “L’educazione ricevuta è stata questa: avere, possedere, distruggere”, un’educazione imposta da un sistema/regime capitalistico. L’autore alterna le durissime parole di Pasolini a riproduzioni a fumetti di fotografie celebri di cronaca nera, guerra, pestaggi, stragi, rapimenti e attualità (dall’Olocausto al Vietnam, passando per Moro, la Strage di Bologna, l’Afghanistan e altro); con immagini di celebri film come “Salo’ e le 120 giornate di Sodoma” o “Uccellacci e uccellini”. Le frasi del regista, in questo modo, acquistano forza e diventano attuali, critiche e feroci: non a caso Maconi decide appunto di alternare immagini d’archivio a immagini d’attualità, storia recente che Pasolini non ha vissuto e chissà come avrebbe commentato.
Il racconto prosegue verso il suo epilogo, passando per la cena insieme a Davoli e finendo con l’incontro di Pelosi. Maconi decide di raccontare gli ultimi minuti di vita di Pasolini per quello che hanno rappresentato a più livelli di interpretazione, più per come probabilmente sono stati. E lo fa dando una tinta cupa alle ultime vignette, scomposte, deframmentate, violente, su una pagina a sfondo nero e tagliata a metà dal racconto dell’uomo davanti alle tigri moribonde: qui l’autore riprende la metafora sospesa per arrivare a un’immagine forte e muta sul significato del sacrificio del poeta. Lo stile, qui, è tanto più nitido, bianco e puro, quanto più sono nere e sporche le immagini di violenza che la circondano.
Forse un Pasolini insospettabilmente mostruoso ha aggredito un minorenne, stando alle parole di Pelosi e stando a quanti, soprattutto in quegli anni, volevano usare il pretesto dell’omosessualità del poeta per condannare lui, la sua arte e le sue critiche allo stato (con la “s” minuscola, più pasoliniana). Forse un gruppo di ignoti lo ha massacrato, stando all’incompleta interpretazione della sentenza. Forse è la storia di un mistero e di un sacrificio, la fine di un intellettuale scomodo. Maconi non vuole concentrarsi tanto sulla dinamica del delitto quanto sul senso che esso ha avuto e lo fa reinterpretando gli stessi appunti del poeta, come se l’autore cercasse di guardare il delitto attraverso i suoi occhi. In questo modo ottiene una sequenza muta e senza tempo, sospesa nella metafora e nell’immagine.
Una lunga carrellata di illustrazioni dedicata a Pasolini, alcune delle quali davvero imponenti, chiude il volume, a dimostrazione di un affetto profondo e del segno lasciato anche nelle generazioni future, persino in autori o in giovani che non hanno avuto modo di vedere il regista in vita.
Con “Il delitto Pasolini”, Maconi partecipa profondamente alla tragedia del 2 novembre 1975 e produce un’opera a fumetti sfaccettata, difficile e per nulla scontata. Con discrezione e rispetto, prende in prestito dalle opere e dagli appunti di Pasolini e le traduce in una metafora a fumetti ricca di significati. Sfiora appena il patetico quando, durante l’intervista a Colombo, decide di inserire le immagini delle Torri Gemelle in fiamme: ma è un momento quasi dovuto, visto che è in questa sequenza che l’autore dimostra la straordinaria attualità dei messaggi che ci ha lasciato l’intellettuale friulano. Non rinuncia alla mera descrizione dei fatti avvenuti dopo l’omicidio, in un certo modo evocativi del momento storico in cui avvengono: un periodo drammatico della storia d’Italia, ma anche un periodo che aveva un Moravia o un Pasolini.
In breve Maconi riesce appieno a sfruttare l’occasione offerta da Becco Giallo e comunica, a più livelli, il dramma e i significati della morte di questo protagonista del Novecento, dosando sapientemente poesia, cronaca e tragedia, attraverso un’opera a fumetti consapevole e matura.
Riferimenti
http://www.beccogiallo.it