Delethes vol. 1 - La carovanaVittorio Pavesio continua, lentamente ma con costanza, a puntare sugli autori italiani. Secondo uno schema e un formato collaudato, “alla francese” per permettere l’apertura verso un mercato, quello oltr’alpe, remunerativo e importante, esce Delethes, opera prima di un vero talento della matita, Paolo Martinello. Un debutto che non lascerà indifferente. Lo abbiamo contattato e intervistato per presentare il suo lavoro e le spettacolari tavole di Delethes.

Vuoi presentarti ai nostri lettori?
Ebbene, mi chiamo Paolo Martinello, ho 31 anni sono nato a Vicenza, ma da un paio d’anni vivo a Roma. Ho fatto studi artistici, l’Accademia a Venezia, e dopo un periodo abbastanza breve in cui ho fatto il grafico pubblicitario, ho deciso di dedicarmi a tempo pieno alla mia passione di sempre, che è quella del disegno, dei fumetti e dell’illustrazione. Ho avuto la fortuna di avere un padre che amava molto il fumetto di qualità e quindi ho sempre avuto fin da piccolo la casa piena di libri splendidi: Toppi, Battaglia, Tacconi, Micheluzzi, Breccia, Pratt, Orient Express, Linus, l’Eternauta… e potrei proseguire fino a diventare probabilmente prolisso…

Da dove viene il tuo stile, da quali esperienze e quali esempi?
Mi è sempre piaciuto da matti Andrea Pazienza, inutile nasconderlo: prima per quella commistione curiosa e attraente di disegno umoristico e realistico e poi soprattutto per la vitalità e la passione che scaturiva delle sue pagine e dalle sue storie. Mi è piaciuto per lo stesso motivo Bisley (per la carica grottesca soprattutto), ho avuto come tutti un periodo Toppi e ho sbavato per anni sui Dylan Dog disegnati da Dall’Agnol (autore misteriosissimo). Ultimamente amo tantissimo le cose di Bacilieri e di Enoch. Hanno un disegno indiscutibilmente molto forte e vigoroso, ma quello che mi piace di più è la loro capacità di raccontare nel senso classico del termine. Di mettere in piedi delle storie, che ti trascinano a forza fino all’ultima pagina, divertendoti e stupendoti. Mi piace molto anche il tipo di racconto della Satrapi. Oltre alle influenze fumettistiche, nel calderone di ciò che mi ha formato credo di poter mettere anche molti pittori e registi di cinema, anche solo per tirarmela. Bacon e Kubrick sopra a tutti.
Un’altra cosa che mi ha segnato per sempre sono stati alcuni “sketchbook” che rubai da piccolissimo all’interno della Caserma Ederle a Vicenza (quella degli americani, in questi giorni un po’ se n’é parlato). Gli yankees avevano un’edicola-libreria in cui si potevano trovare tutte le figate che in Italia non esistevano e dove gli Italiani non potevano nemmeno mettere piede; fortuna fu che all’epoca una zia che lavorava nella caserma fornì a me e a mio padre dei pass per il paese dei balocchi. Fumetti a pacchi ovviamente, ma quello che a me interessava di più erano gli introvabili sketchbook dei film di fantascienza. Adesso sembra una cosa ridicola, ma per un provincialotto a metà degli anni ottanta è un’altra storia. Ce l’ho ancora adesso i libri con le “concept art” di “Alien”, “Il Ritorno dello Jedi” e “La Storia Infinita”. Grazie America, ma solo per stavolta…

Come sei entrato nello studio Inventario di Palumbo? Cosa svolgi con loro? Com’é il rapporto con un maestro contemporaneo come Palumbo?
Nel periodo in cui facevo il grafico, mi baleno’ nel cervello l’idea che io volevo fare proprio i fumetti, volevo viverci, ma non pensavo di essere ancora ad un livello professionale. Vidi allora che Palumbo teneva un corso di fumetti a Bologna e pensai e ripensai se iscrivermi o meno. Per una forma di indecisione atavica e di senso di confusione sul da farsi, per rompere il ghiaccio pensai di spedire direttamente una mail al suo studio, offrendomi come illustratore, visto che Inventario è principalmente un agenzia di illustratori. Mi rispose dicendomi che ci saremmo dovuti incontrare e così fu. Il mio lavoro gli piacque e quando gli dissi che stavo pensando di seguire il suo corso di fumetto, mi guardo’ e si fece una grassa risata, non ho mai capito veramente cosa volesse dire…
Conoscere Giuseppe è stata una cosa favolosa: lui oltre ad essere una macchina pensata e costruita per produrre figate in quantità industriale, è anche una persona di straordinaria umanità, sempre col sorriso sulle labbra. Trasmette anche alle persone che lo circondano la sua passione (per questo motivo è anche un ottimo insegnante) e riesce a far sembrare scoppiettante anche un lavoro, quello del fumettista, che di per sé visto da fuori è un po’ sfigoso. All’inizio mi coinvolse nel controverso progetto “Real Crimes”: tre numeri di cui feci le copertine e i disegni di parte del terzo. Dopo questo ho fatto più che altro illustrazioni, per svariati clienti dello Studio, alla bisogna.

Parlaci brevemente della tua miniserie per l’Eura.
é una miniserie divisa in cinque episodi di una quindicina di pagine ciascuno, si chiama “L’improbabile John Dallas“. Recchioni me la propose dopo aver visto delle mie prove per “John Doe“, che reputava non essere adatte alla serie, dicendomi che in ogni caso all’Eura si poteva lavorare sui cosiddetti “liberi”. è una storia molto divertente, in puro “Recchioni style“, con una struttura molto aperta che si reinventava ad ogni episodio. A tutt’oggi non è ancora stata pubblicata, ma credo debba andare su Skorpio…

Veniamo finalmente a Pavesio e Delethes: come sei entrato in contatto con l’editore?
Conoscevo già da un po’ i libri della Pavesio e li apprezzavo parecchio: mi piaceva molto la fastosità delle ambientazioni e delle storie che pubblicavano. Mi sentivo affine a questo stile perché da sempre covavo una gran passione per un certo tipo di fantascienza; così li contattai per sapere cosa ne pensavano del mio lavoro. Mi ando’ benone, soprattutto perché mi chiesero se avevo già qualche idea per una storia da realizzare: mi sentii al settimo cielo. Scrissi un soggetto, mettendo a fuoco un’idea che mi gravitava nella testa da un po’ e a loro piacque molto fin da subito.
Per me si realizzo’ un sogno. A pensarci adesso non credo che avrei potuto fare questo libro con altri editori. In Italia si va sempre con i piedoni di piombo con gli esordienti e la Pavesio invece mi permise di fare tutto da solo fin da subito: testi, disegni e colori. Una goduria totale. Chiaramente ancora non ero consapevole della mole di lavoro che mi aspettava.

Dettaglio da studio di un personaggioDelethes: cos’é? Descrivici l’idea della serie, come è nata e come intendi svilupparla.
L’idea nasce da una pin-up che feci a tempo perso un paio d’anni prima, smarrita nel mucchio di fogli del mio book: un giullare futuristico sbronzo marcio, che si regge in piedi aggrappandosi ad una specie di unicorno punk. Mi piaceva molto l’idea di un personaggio totalmente inadeguato all’interno di una vicenda epica in senso classico e decisi che lui doveva essere il mio protagonista.
Lo sfondo della storia è quello di una civiltà pseudo-medioevale che vede opposti in un’annosa guerra una confederazione di Dodici Stati e una misteriosa Popolazione Errante che transita da sempre nei loro territori. Una specie di guerra preventiva, perché nessuno è mai riuscito a sapere granché sul conto dei nomadi, ragione sufficiente ai Dodici per considerarli una minaccia e quindi combatterli.
Il protagonista si chiama Ropas e fa parte delle truppe dei confederati. Per non rivelare troppo posso dire che un fallimento in battaglia e la conseguente cattura da parte dei nemici gli faranno scoprire una realtà del tutto inattesa, in cui anche le sue strane visioni trovano una spiegazione…
L’idea di questo libro riguarda l’impossibilità di comunicare con qualcuno che si immagina ostile, quando si rimane incatenati alle proprie convinzioni e ai propri pregiudizi. Il protagonista stesso porta su di sé il fardello del pregiudizio unito ad un cinismo indifferenziato nei confronti delle vicende della vita. Dovrà ricoprire un ruolo importante e farà di tutto per scrollarsi di dosso questa responsabilità. Anche se da lui dipenderanno le sorti della guerra.
Se così vi sembra complicato, aspettate di leggere il libro…!

Un progetto spiccatamente “francofono”: era questa la tua idea fin dall’inizio o si è sviluppato così per il target a cui si indirizza Pavesio?
L’idea era quella fin dall’inizio, soprattutto perché mi serviva sviluppare un’ambientazione molto dettagliata, per rendere credibile l’impianto. Con scenari molto ampi, pagine grandi per rendere meglio i particolari che avevo in mente. E soprattutto, i colori. Mi sono sempre trovato più a mio agio con i colori che con il bianco e nero. Ho avuto spesso un approccio pittorico anche quando ho fatto bianco e nero: è un mio modo di rendere quello che immagino. Il fatto che si possa definire questa visione “francofona” è una convenzione come un’altra, allo stesso modo in cui si immagina esista una “tradizione italiana” nel nostro fumetto.

Dalle anteprime si nota un uso molto attento del colore, non semplice riempitivo ma elemento portante del disegno. Come hai maturato il tuo stile?
Il mio approccio con i colori è stato per molto tempo relegato alla pittura, nel periodo in cui dipingevo. Quando smisi di sipingere smisi anche di usare i colori, perché non immaginavo di poter essere in grado di usarli per i fumetti, oltre a non essermi mai considerato un pittore particolarmente talentuoso. Poi per questioni professionali e commissioni varie dovetti ricominciare ad usarli, ma i tempi di consegna erano ovviamente strettissimi e non se ne parlava proprio di usare acrilici e acquerelli, soprattutto perché erano parecchi anni che non li usavo. Decisi di affidarmi alle meraviglie di Photoshop, come già in molti facevano, e dopo una iniziale diffidenza unita ad una serie di difficoltà tecniche, cominciai a prendere mano e a rivedere i colori sulle mie cose.
Più usavo Photoshop pero’, meno desideravo che si vedesse che i miei colori fossero fatti al computer e cominciai quindi a lavorare a strati esattamente come si lavora sulla pittura ad olio: colori scuri sotto, colori chiari e velature sopra per dare il volume alla forma. Così facendo i miei disegni cominciavano a sembrare meno freddi, cosa abbastanza tipica della colorazione al computer, e ad avere un po’ più di vitalità. è stato un processo lento, ma piuttosto naturale. Se devo immaginarmi un’ispirazione stilistica, posso dire che sono andato sempre fuori di testa a vedere i colori di Bisley, chiedendomi per anni come diavolo facesse a farli così. Pure Liberatore mi ha mandato in fissa; più recentemente poi, posso dire di essere stato mesi col microscopio sulle tavole del primo “Morgana” di Alberti

Di quanti volumi sarà composto Delethes? Rimarrà una mini unica o ti sei affezionato tanto ai personaggi da avere già in mente un seguito?
In effetti ho in mente una saga di minimo quindici volumi, divisi in cinque cofanetti da tre ciascuno, ma non so se questa eventualità sia in effetti possibile, bisogna prima vedere se il primogenito uscito dal grembo riesce a respirare da solo. A parte gli scherzi, il libro che sto facendo non è autoconclusivo, lascia cioé parecchie questioni in sospeso, che andrebbero risolte perlomeno in tre volumi. So come debba proseguire la storia, o almeno immagino come dovrebbe reagire il protagonista agli stimoli e alle strade che ho messo davanti a lui, ma al momento e ancora presto per pensarci. Speriamo bene, mi auguro davvero che il libro possa piacere…

Delethes vol. 1 – La carovana
di Paolo Martinello

Vittorio Pavesio Editore, mag. 2007 – 48 pagg. cart. col. – 15,99euro

Riferimenti:
Paolo Martinello, il blog: useless75.blogspot.com
Vittorio Pavesio Editore: www.pavesio.com

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