Decifrare Promethea, quinta parte: fearful simmetry

Decifrare Promethea, quinta parte: fearful simmetry

Promethea e Providence, le due storie gemelle e opposte di Alan Moore, dove lo scrittore inglese esplora i concetti di eternalismo e universo blocco, mettendo in scena due apocalissi agli antipodi.

PROMETHEA: «Ah. Sei tu. Bene. È tanto che aspettavo di parlare con te. Vieni a sederti accanto al fuoco.»

LETTORE: «Grazie ma… ma io non sono davvero qui, no? Questa stanza non esiste davvero. E neanche tu. Questa è una storia, una cosa che sto sognando o leggendo…»

PROMETHEA: «Mm. Forse hai ragione. Ma fare un sogno o leggere un libro non sono un’esperienza reale? Dopo tutto, reale o meno, è su questa stanza che è incentrata la tua coscienza, in questo momento. E qualcuno sta parlando con te.»

LETTORE: «Be’, sì, ma… voglio dire, se è un sogno a parlare è il mio inconscio. Se è un libro invece, è uno scrittore. Comunque sia, tu sei un’invenzione.»

PROMETHEA: «(…) Sì, Promethea è un’invenzione. (…) Un’invenzione che può entrare nei tuoi sogni, possedere i suoi creatori e parlarti attraverso di loro. Sono un’idea. Ma sono un’idea reale. Sono l’idea dell’immaginazione umana e se ci pensi, è l’unica cosa che sicuramente non è immaginaria. (…)»1

Poco prima della fine del terzo libro (##24-32, in Italia: Promethea Deluxe #3, RW Lion), ecco che il lettore di Promethea arriva al suo cospetto e mentre le parliamo, dimostrandole la nostra ragionevole limitatezza di vedute, ci svela che le invenzioni come lei possono entrare nei sogni, possedere i sognatori e cambiare la realtà.

In fondo, come è stato possibile avere tutte le innovazioni tecnologiche, dalla ruota alla realtà virtuale, se non tramite un processo immaginativo concretizzato?

Nel volume The Starry Wisdom: A Tribute to H. P. Lovecraft (1994), viene pubblicato per la prima volta il racconto The Curtyard (Il Cortile) di Alan Moore, ispirato all’opera dello scrittore di Providence. Da quel racconto (e dal suo adattamento a fumetti da parte di Anthony Johnston, disegnato da Jacen Burrows), sarebbero nati anni dopo per la Avatar Press, Neonomicon (2010) e Providence (2015-2017), entrambi disegnati sempre da Burrows, nei quali Moore si confronta direttamente con il lavoro e il culto di Lovecraft. Soprattutto in Providence (di cui Lorenzo Barberis ha parlato approfonditamente qui), pubblicato dieci anni dopo la fine di Promethea, Moore torna a raccontare le stesse idee e le stesse implicazioni magiche della realtà, ma da una visuale diametralmente opposta.

Providence, dal punto di vista della progettazione e della scrittura, è un lavoro monumentale che per complessità e precisione si avvicina più a From Hell che a Promethea, ma dal punto di vista magico è certamente invece gemello di quest’ultima. Un gemello opposto però, come le Sephirot oscure, ovvero i Qelipot, dove Promethea e Barbara Shelley si ritrovano nel numero 18 della serie, Life on Mars (Vita su Marte).

PROMETHEA: «Il mondo dei gusci. Oddio… Barbara. Siamo nel Qelipot. È l’opposto dell’albero della vita. È una specie di antimateria spirituale.»2

E una specie di anti-Promethea fumettistica è proprio Providence. Le due opere partono da concetti simili (se non identici) e arrivano alle stesse conclusioni, ma con un sostanziale ribaltamento di prospettiva.

L’idea cardine di Providence è che le visioni raccapriccianti che Lovecraft racconta nelle sue opere di fantasia sono in realtà trascrizioni romanzate di fatti reali. Il protagonista, il giornalista Robert Black, compie un viaggio nel New England del 1919 alla ricerca di un’America “sotterranea” e misteriosa ed entra in contatto con gli adepti di una setta che mira a ripristinare il dominio di alcuni esseri extraterrestri sulla nostra realtà. Questi esseri altro non sono che i Grandi Antichi dei libri di Lovecraft, e quando alla fine del viaggio Black conosce lo scrittore, gli consegna lo zibaldone sul quale ha annotato tutti i suoi incontri. Da quelli Lovecraft prende spunto per i suoi racconti, ovvero per ciò che noi conosciamo oggi come Miti di Cthulhu.

Il gioco che fa Moore (oltre a essere un’esperienza eccelsa per gli amanti di Lovecraft, in quanto tutti i personaggi e le situazioni dei suoi racconti vengono riproposti nel fumetto con un estremo rigore filologico) è lo stesso che suggerisce con le sue tesi su linguaggio e magia. L’immaginazione crea la realtà e l’idea di un dio (o di un pantheon di dèi) è il dio stesso. Il linguaggio è la magia.

La mitologia di Lovecraft ha la particolarità di essere stata da subito, ben prima che le sue opere divenissero di culto, condivisa e ampliata da molti scrittori e di avere abbracciato nella sua visione anche altri miti letterari, come quelli di Carcosa e del Re in Giallo. In una lunga catena di romanzieri che da Ambrose Bierce e Robert  William Chambers arriva a Clark Ashton Smith e poi più in là fino a William S. Burroughs (tra l’altro, praticante di Chaos Magick), si svolge questo perturbante gioco letterario che nei decenni ha letteralmente invaso la realtà. Si basti pensare che il Necronomicon, lo pesudobiblion inventato da Lovecraft, è poi stato realmente scritto e stampato.3

Sempre di immaginazione che crea la realtà si tratta, dunque, la stessa idea alla base di Promethea ma, appunto, letta da un punto di vista rovesciato. Oscuro, potremmo dire, così come i Chakra indiani, situati nella parte anteriore del corpo, hanno i loro opposti nella parte posteriore, gli Shetran, e come l’Albero della Cabala ha le Sephirot sulla parte “chiara” e i Qelipot su quella “scura”. Qelipot che in Providence vengono direttamente citati e addirittura rappresentati (con evidente riferimento alla Cabala) come la forma fisica di Yog-Sothoth, il “Guardiano della Soglia” della mitologia lovecraftiana, descritto dallo scrittore americano come “un cumulo di sfere iridescenti”.

Un dialogo di Providence fra Robert Black e un essere chiamato Carcosa (emissario dei Grandi Antichi), rende chiara la vicinanza tematica delle due opere.

CARCOSA: «Signor Black, è lei a meritare i nostri ringraziamenti. (…) Ha consegnato le nostre storie a Providence. Ha trasmesso la buona novella al nostro salvatore e redentore

BLACK: «È-è lui, giusto? È Lovecraft. Io, io, io tornerò a New York domattina. Non dirò niente, lo giuro…»

CARCOSA: «Questo non ci preoccupa. La sua importanza consiste nell’aver consegnato quanto gli serve per ripristinare il mondo nella sua condizione originaria.»

BLACK: «M-ma lui non sa. Lui… scrive solo per libretti ciclostilati. C-come…»

CARCOSA: «Non deve sapere. Deve solo raccontare le sue storie e la sua specie sosterrà che sono vere. Io mi chiamo Carcosa.»

BLACK: «È… è un nome di Robert Chambers. E-e di Ambrose Bierce. In qualche, in qualche modo sei legato a tutta la finzione. S-sei…»

CARCOSA: «La finzione non è quella che pensa. Ed esiste un processo che si chiama post-selezione che lei ancora non capisce.(…)»

BLACK: «Sta-stai dicendo che questi scrittori hanno preso quei nomi da te. Lo-loro…»

CARCOSA: «No. Non è questo. Sto dicendo che nel dare un nome a qualcosa senza forma, gli hanno dato un’identità. Bierce mi ha dato una forma. (…) E il redentore darà nomi a tutto. E questo mondo sarà Yuggoth. Sarà sempre stato Yuggoth.»4

Yuggoth è il pianeta in cui abitano i Grandi Antichi. Qui Moore ci sta dicendo che attraverso il potere magico della narrazione di Lovecraft, il mondo di Yuggoth diverrà talmente reale da sostituirsi al nostro.

CARL PERLMAN: «Se ci pensi, sono come spore. La vita di un altro mondo che fa presa nella mente umana. Tascabili dei negozi dell’usato, prime edizioni costosissime, non importa. Qualunque narrazione efficace funziona come un contagio. (…) E poi ovviamente c’è questo cazzo di Necronomicon. Un volume immaginario che ha generato diversi volumi reali, insieme a un sacco di occultisti sciroccati secondo cui è tutto vero. (…)»5

Come una mano riempie un guanto, il linguaggio rende viva l’essenza della forma che rappresenta. Finché il guanto non viene rivoltato e la nuova realtà prende il sopravvento. Interessante vedere come, certamente per esigenze narrative (ma forse anche di visione personale di Moore, maturata negli anni che separano le due opere), l’apocalisse finale di Providence prometta l’esatto contrario di quella di Promethea. Da una parte gli umani che compiono un salto evolutivo di coscienza grazie al potere dell’immaginazione, dall’altra quest’ultima li soppianta completamente dando vita all’oscuro mondo dei sogni di cui Lovecraft fu il creatore.

Due dialoghi esprimono perfettamente questa doppia visione dello stesso fenomeno. Il primo è di Providence e vede S. T. Toshi (grande studioso di Lovecraft e dunque personaggio reale inserito nella narrazione) parlare con Merril Brears, la protagonista di Neonomicon,:

T. JOSHI: «S-sto iniziando a digerire tutto questo. New York sembra già una fantasia impossibile di Dunsany6. È questo il nostro nuovo mondo?»

MERRIL BREARS: «Penso che ora sia Yuggoth. Penso che forse sia sempre stato Yuggoth

T. JOSHI: «Mm. E la realtà umana è sempre stata un costrutto che noi abbiamo imposto per breve tempo sul caos fondamentale dell’esistenza. In termini filosofici non vedo obiezioni. E penso che non ne avrebbe viste neanche Lovecraft.(…)»7

Il secondo dialogo è invece di Promethea, con la dea che si rivolge ancora una volta al lettore:

PROMETHEA: «Gioisci. Il tuo mondo è finito. Le certezze su cui si fondava, si annullano davanti agli studi quantistici della tua nuova scienza; non sono mai esistite. Le carceri del tempo sono aperte; la prigione dell’ambizione materiale che ti limitava è ora demolita. Gioisci. Ora torna ai tuoi momenti separati, ai tuoi io e a tutte le tue stanze, e sappi che questa separazione è un’illusione. Sappi che eri uno solo, che sei sempre stato qui e che sempre sarai qui. Qui, dove la luce improvvisa del fuoco della tua anima ti ha ridestato dal sonno terreno. Resta sveglio.»8

Il dialogo di Promethea è innegabilmente ispirato e aulico e ricorda molto da vicino sia testi filosofici e religiosi orientali sia certa letteratura cosiddetta spirituale o new age. Tutto esiste da sempre e sempre esisterà per cui tutto è buono e giusto così com’è. Anche il dolore, le ingiustizie o la morte.

Nel numero 32, Wrap party (Festa avvolgente), Promethea afferma infatti che

«lo spaziotempo di Einstein è un solido atemporale che contiene simultaneamente ogni istante per l’eternità… compresa la nostra vita. La morte quindi è un’illusione prospettica della terza dimensione. Non Preoccupatevi.»9

Il dialogo di Providence è invece amaro e rassegnato e vede l’esistenza umana come un tentativo fallito di resistere all’inevitabile entropia del creato. La visione del tempo è la stessa, basata sulla teoria dell’universo blocco e dell’Eternalismo, ma queste idee sono tutte a favore dei Grandi Antichi e della loro realtà. Il guanto è il nostro mondo, ma la mano che lo calza è quella di Cthulhu.

MERRIL BREARS: «Cioè questo, il mondo, non è come la gente lo vede, vero? Anche il tempo è diverso. È ciò che ci ho messo più tempo a capire: come i Grandi Antichi siano, fossero e saranno. È una visione differente del tempo, vero? Non distingue tra passato, presente e futuro. Quindi queste storie e questi miti non descrivono necessariamente eventi del passato remoto, vero? (…) Forse tutta la mitologia di Lovecraft si riferisce a eventi del nostro futuro.»10

O a eventi che si dispiegano in un’eterna compresenza. La mitologia di Lovecraft fa spesso riferimento a culti egizi e a dimenticate divinità di quella tradizione. Un’antica visione esoterica egiziana vuole che la coscienza di ognuno di noi non sia altro che il centro di una ruota da cui partono infinti raggi che si dipanano verso la circonferenza. Ogni raggio è una nostra differente vita, o incarnazione, che si svolge allo stesso tempo di tutte le altre. Secondo gli egizi la vita che consideriamo “la nostra”, quella attuale, è quella in cui in questo momento si sta concentrando la nostra coscienza, ma in realtà esistono tutte e sono tutte reali allo stesso tempo. Come dice Promethea nel dialogo che apre questo articolo: “Dopo tutto, reale o meno, è su questa stanza che è incentrata la tua coscienza”.

Un’idea che fa pensare a una sorta di universo cerchio o universo sfera antecedente alla teoria dell’universo blocco.

Nota

Abbiamo visto come Promethea abbia bisogno di una mappa per poter essere apprezzata al meglio. Lo stesso si può dire di Providence, vero e proprio reticolo di citazioni dai libri di Lovecraft e non solo. Un sito molto utile a tale scopo è Facts in the case of Alan Moore’s Providence (www.factsprovidence.wordpress.com), ottimamente tradotto in italiano, con varie aggiunte all’apparato critico, dal blog Cronache Bizantine (www.zenosaracino.blogspot.com). Da visitare assolutamente in caso di lettura dell’opera.


  1. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe 3, RW Lion, 2018 

  2. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe 2, RW Lion, 2017 

  3. riguardo agli pseudobiblion lovecraftiani e alle mitologie letterarie intorno al Re in Giallo rimando al blog The Obsidian Mirror (www.insidetheobsidianmirror.blogspot.com) dove è stata fatta una lunga e accurata ricerca in una serie di articoli intitolata The Yellow Mithos 

  4. da A. Moore, J. Burrows, Providence 3, Panini Comics, 2017 

  5. da A. Moore, J. Burrows, Providence 3, Panini Comics, 2017 

  6. Lord Dunsany (1878-1957), scrittore inglese da cui Lovecraft fu molto influenzato. 

  7. da A. Moore, J. Burrows, Providence 3, Panini Comics, 2017 

  8. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe 3, RW Lion, 2018 

  9. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe 3, RW Lion, 2018 

  10. da A. Moore, J. Burrows, Neonomicon, Bao Pubblishing, 2013 

3 Commenti

3 Comments

  1. Obsidian M

    15 Febbraio 2020 a 11:30

    Credo sia la prima volta (anzi, no, la seconda) che mi capita di vedere il nome “Carcosa” attribuito a un personaggio anziché a un luogo. Finora il grande dubbio ha sempre riguardato il termine “Hastur”, con il quale Bierce e Chambers hanno identificato tutto e il contrario di tutto, al punto che anche il povero HPL, nel dubbio, aveva posto il termine “Hastur” in una posizione singolare tra quei tanti nomi e luoghi citati nel suo “Whisperer in Darkness”: «Lessi nomi e parole che avevo già sentito altrove e che sapevo riferirsi ai misteri più orridi: Yuggoth, il Grande Cthulhu, Tsathoggua, Yog-Sothoth, R’lyeh, Nyarlathotep, Azathoth, Hastur, Yian, Leng, il lago di Hali, Bethmoora, il Segno Giallo, L’mur-Kathulos, Bran e il Magnum Innominandum». A sinistra nomi di personaggi, a destra nomi di luoghi. E Hastur? Sta nel mezzo… un po’ di qua e un po’ di là.
    Grazie per la piccola citazione e complimenti per questo grande lavoro che stai portando avanti

    • Francesco Pelosi

      17 Febbraio 2020 a 15:39

      Grazie a te. La citazione la meriti tutta, anche perché il tuo http://www.insidetheobsidianmirror.blogspot.com è davvero una fucina di informazioni e collegamenti preziosissima. Rimanendo sui nomi, ho trovato interessante anche il fatto che “Hali” sia il nome di un lago (anche in Providence Moore lo cita) sia il nome di qualcuno che ha scritto un libro inerente i vari tipi di morte, come si legge nel Cittadino di Carcosa di Bierce… E a proposito di Carcosa, se ritorni da queste parti, ti chiedo in quale altro luogo letterario “l’antica e famosa città” diventa un personaggio. Ne hai scritto in qualche articolo che mi è sfuggito?

      • Obsidian M

        27 Febbraio 2020 a 19:55

        No, non ho ancora avito modo di parlarne sul blog. Si tratta di un racconto di tale Justin Hoffman (questo) che ho avuto la fortuna di riuscire a scaricare sul Kindle prima che sparisse dalla circolazione. Lo trovi ancora su Amazon ma è dichiarato esaurito.. cosa piuttosto strana per un ebook…

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