David Lloyd e il futuro del fumetto

David Lloyd e il futuro del fumetto

David Lloyd, ospite d'onore a Fantastica 2016, ci parla con schiettezza del suo lavoro, del mondo dell'editoria e del futuro del fumetto.

David Lloyd, autore britannico conosciuto soprattutto per aver illustrato V for Vendetta scritto da Alan Moore, è stato di recente l’ospite d’onore alla prima edizione di Fantastica, fiera del fumetto che si è tenuta dall’8 al 10 dicembre nel Castello Aragonese di Reggio Calabria. In occasione dell’evento l’autore ha acconsentito a rilasciare a noi de Lo Spazio Bianco un’intervista, nel corso della quale si sono toccati vari argomenti legati al mondo del fumetto in generale e ai progetti dello stesso Lloyd, che riportiamo qui di seguito.

Oggi i cinecomics (senza dimenticare le numerose serie TV come The Walking Dead), spopolano. Anche il film tratto da V for Vendetta, da te disegnato, ha avuto buone recensioni e successo di pubblico. In generale, cosa pensi di questo sfruttamento di testi fumettistici per creare soggetti per cinema e televisione?
Trovo triste che si guardi ancora all’universo dei fumetti solo come “l’universo dei fumetti”.
Nonostante tutte le cose fantastiche che puoi fare con i fumetti, con la semplice pianificazione di immagini e disegni, come è la semplice pianificazione di immagini e suoni nel cinema dall’avvento del sonoro, nonostante tutti i pregiudizi abbattuti, i fumetti sono ancora visti come qualcosa di buffo.
C’è una percezione errata del medium. Il cinema non si pone il problema del valore di un testo fumettistico, al cinema non frega un cazzo dei fumetti e ai fumetti non dovrebbe fregare un cazzo del cinema. Ciò di cui si dovrebbe preoccupare il fumetto è mantenere alto il proprio valore e non basarsi sul successo di qualche adattamento cinematografico o televisivo. Il fumetto è un mezzo di comunicazione differente e non dovrebbe dipendere dai fottuti film.
Il problema è che film e serie Tv si sono stabiliti come mezzi di comunicazione rispettati in tutto il mondo, mentre il fumetto no, e questa è una tragedia. In Italia, Giappone, America, Inghilterra e così via, il linguaggio cinematografico ha sempre mantenuto un’essenza universale. Nonostante le differenze, infatti, l’essenza della narrazione e dello storytelling rimane uguale in tutti questi paesi, mentre nel medium fumettistico manca questa caratteristica; si è sviluppato in maniera diversa e in tempi diversi in diverse parti del mondo e questo è un limite del linguaggio fumettistico.

Come sta procedendo Aces Weekly? È diverso in qualcosa rispetto a come lo avevi immaginato? Come è la risposta dei lettori e quanto è forte il rapporto con loro?
Non è diverso da come mi aspettavo e la risposta dei lettori è ottima, in quanto riusciamo a offrire loro i migliori prodotti al miglior prezzo.
Il grande problema con i lettori di fumetti, però, è che loro adorano la carta; loro amano collezionare la carta, amano comprare “la carta”, amano costruire le proprie librerie.
Il problema è che le persone amano la carta stampata, non la storia e invece la storia è tutto, l’unica cosa veramente importante. I lettori di fumetti sono feticisti della carta, e finché non ci libereremo di questo modo di pensare, non riusciremo a fare passi in avanti. Ci proviamo, ma, soprattutto è difficile promuovere un prodotto digitale.

Tu forse più di altri, anche grazie al progetto Aces Weekly, hai il polso del fumetto britannico odierno e degli autori che nei prossimi anni potrebbero emergere a livello internazionale. Se dovessi fare qualche nome, quale sarebbe?
Non ho nomi da fare… Il futuro del grande fumetto non è nazionale; il futuro del grande fumetto è globale! Noi viviamo in un mondo globale, noi possiamo vivere, parlare e pubblicare all’interno di questo spazio, da un lato all’altro del mondo. Non si dovrebbe più ragionare in termini di Inghilterra, America, Francia, ecc. Noi oggi siamo cittadini del mondo. Già negli anni Sessanta gli hippy si definivano cittadini del mondo anche se non era vero. Oggi con internet noi possiamo essere cittadini del pianeta e non inglesi, americani, italiani e spagnoli. La gente, però, non se ne è ancora resa conto.

Visto che tu hai detto che per i fumetti sarebbe difficile avere caratteristiche universali, potresti provare a spiegare meglio come questi possano arrivare a diventare un linguaggio transnazionale?
Difficile. Ad esempio nei film c’è il suono; quando vennero creati i primi film muti tutti pensavano che in quelle semplici immagini chiunque si sarebbe potuto rispecchiare e quindi il cinema era candidato a diventare un linguaggio universale. L’introduzione del suono ha creato una spaccatura e ora non si può più tornare indietro.
Nel caso del fumetto la chiave è che sono i grandi editori come DC e Marvel che non vogliono mandare determinati messaggi alle persone. Loro vogliono stabilire esattamente le cose, il materiale su cui tu devi pensare.
Il futuro sono le persone che usano i mezzi di comunicazione come film e fumetti, dovunque, come strumenti per comunicare universalmente senza il controllo dei grandi editori come la fottuta Disney, Marvel e DC. Se loro continueranno a controllare il linguaggio del fumetto non si potrà mai fare il salto di qualità; finché sarà posto un controllo, un filtro il messaggio veicolato dal fumetto non potrà mai essere universale, in quanto questo va contro gli interessi di chi deve vendere.

Dopo Kickback e São Paulo manchi dalla carta stampata e dalla collaborazione con altri editori. Perché questa scelta? Cosa deve avere un progetto per convincerti e affascinarti, per cosa torneresti a lavorare per un editore e con altri autori?
Per me la cosa più importante è la storia, far arrivare una storia al maggior numero di utenti al prezzo migliore possibile, senza tutta la merda della stampa, del mercato, ecc. Non c’è bisogno di tutte queste intermediazioni. Siamo nel ventunesimo secolo e si può far risparmiare i lettori, risparmiando anche sui costi di produzione di una storia. Il punto rimane che il lettore di fumetti vuole il fumetto stampato e non gli importa della storia, permettendo alle grandi case editrici di lucrare su questo suo feticismo.
Fanculo le grandi case editrici!

Alan Moore, ma anche Grant Morrison, Warren Ellis, James Delano, Garth Ennis: hai collaborato con il gotha del fumetto di lingua inglese. Cosa ricordi di questi “incontri”, chi ti ha lasciato di più (professionalmente o umanamente) e a chi credi di aver dato tu qualcosa
Penso di aver lavorato con grandi scrittori, ritengo ciò una benedizione, sono estremamente grato e felice di aver potuto collaborare con ognuno di loro. Dal punto di vista professionale non ho imparato niente da loro, prima di collaborare con chiunque io dovevo sapere come scrivere un fumetto e come tradurlo in immagini.
Io penso di aver dato loro semplicemente il miglior adattamento possibile delle loro storie.

Sei stato uno degli autori che nei primi anni Ottanta hanno costituito la cosiddetta British Invasion del mercato statunitense. A 30 anni di distanza, con uno sguardo indietro carico di maturità, quali furono le circostanze che permisero la produzione di quell’humus dentro il quale tu e gli altri tuoi colleghi esplodeste?
La cosiddetta British Invasion è una cazzata, era solo un modo per portare una certa essenza inglese in un universo omologato dei supereroi americani, quindi non abbiamo fatto nessuna differenza. Siamo solo stati invitati a creare qualcosa di leggermente più eccentrico, dissonante rispetto ai soliti temi.
C’è stata una British Invasion ma non ha cambiato niente nell’industria del fumetto americano e anzi, nonostante l’indiscusso valore letterario di alcune opere, dal punto di vista delle major americane è diventato tutto una variazione sul vecchio tema supereroistico. Quell’elemento di esotismo era solo la novità che permetteva di vendere qualche albo in più.
Aldilà di tutto, però, riuscirono veramente a creare qualcosa di interessante alla Vertigo grazie a Karen Berger, lei era la sola che tentava di cambiare le cose alla DC.

Un ringraziamento speciale all’interprete Mariagrazia Costantino.

Intervista realizzata dal vivo l’8 dicembre 2016, durante la fiera del fumetto Fantastica 2016.

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