Dampyr Magazine, l’orrore d’autore di Boselli e Colombo

Dampyr Magazine, l’orrore d’autore di Boselli e Colombo

L’orrore vampirico Bonelli, tra l'arte di John Bauer e la protofantascienza di Fitz-James O'Brien, nei disegni di Bacilieri, Genzianella e Roi.

Esce in edicola venerdì 25 novembre 2016 il primo Dampyr Magazine, con copertina di Luca Rossi e tre storie a fumetti rispettivamente di Mauro Boselli e Paolo Bacilieri, Maurizio Colombo e Nicola Genzianella, e dinuovo Boselli con Corrado Roi.

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La formula del Magazine Bonelli è stata avviata l’anno scorso, sostituendo quella dello storico Almanacco, termine affascinante ma ormai desueto, sostituito naturalmente con un anglismo. Inoltre, gli almanacchi erano legati al tema e non al personaggio, con un doppio problema: minore riconoscibilità presso il largo pubblico e sovrapposizione tra personaggi con generi in parte simili.
Così, divenendo l’Almanacco della Paura il Dylan Dog Magazine, si è aperto uno spazio per un nuovo magazine legato alla seconda testata (per vendite) del genere horror della Bonelli: appunto, Dampyr.

La sfida è stata quella di dare alla nuova pubblicazione una sua identità specifica ben evidente, coerente al personaggio, con le scelte tematiche di “orrore colto” che lo contraddistinguono.
Questo passaggio all’associazione dei nuovi Magazine ai personaggi è forse anche una presa d’atto che il riferimento al genere non aveva valore aggiunto, e non portava nuovi lettori fuori dal bacino delle serie regolari Bonelli. In tal caso, sarebbe purtroppo anche un segno di un certo perdurare della marginalità del fumetto.

Lo stile grafico è moderno, anche nella essenziale ed efficace cover di Luca Rossi, e aumenta la parte dedicata al fumetto, seguendo una diffusa preferenza del pubblico bonelliano. I residui dossier tematici sono collegati ai fumetti stessi: se la prima storia si incentra, come vedremo, sul Piccolo Popolo, l’approfondimento parla dei suoi misteri; un altro servizio analizza invece il Dracula di Christopher Lee, e si affianca così alla storia con al centro la comprimaria Tesla, che si conclude con una dedica all’attore, da poco scomparso.

I giganti della montagna: l’orrore d’autore di Boselli e Bacilieri

La prima storia vede lo sceneggiatore Mauro Boselli, curatore della testata, affiancarsi ai disegni di Paolo Bacilieri, considerato uno dei più “autoriali” disegnatori bonelliani a partire dal suo storico lavoro su Napoleone,  e che aveva già illustrato il Magazine dylandoghiano di quest’anno.

La storia, Il Re della montagna, va ad approfondire una figura storica, il pittore svedese John Bauer (1882-1918), di cui il fumetto indaga la breve e tragica esistenza. Il tema è perfetto per il segno di Bacilieri, accomunato a Bauer dal tratto morbido, in linea chiara, e dai soggetti, creature fantastiche più bizzarre che orrorifiche, benché spesso sottilmente inquietanti.
L’onirismo tipico di Bacilieri viene sviluppato da Boselli con una storia che si svolge su tre piani temporali che si intersecano e condizionano a vicenda: il tempo presente, dove si svolge l’indagine di Harlan Draka, il dampyr, e l’antica amata Gudrun; l’epoca di Bauer, dal 1908 fino alla sua fine, in cui si sviluppa il mistero su cui Draka va a investigare, e il passato ancestrale e mitico dei Troll e della grandi saghe eroiche, che è stato pericolosamente riportato in vita dal suo sonno nell’età moderna.

I tre piani temporali su cui si sviluppa la storia non sono solo affiancati nell’alternarsi della narrazione, che è resa così più dinamica, ma – come frequente nel fantastico, ma un po’ meno nel bonelliano – si interconnettono tra loro su un piano mistico.

Come il montaggio globale della storia è piuttosto raffinato, così vale per le tavole di Bacilieri. In verità, non siamo lontanissimi dalla griglia classica: Bacilieri interviene in modo tutto sommato minimale, ma molto efficace, per adattarla alle sue esigenze stilistiche e a quelle della narrazione. Ecco allora che, nel suo comparire sotto il titolo della storia, a p.39, John Bauer viene fatto uscire dai confini della vignetta non solo per metterlo in particolare luce agli occhi del lettore, ma anche per evidenziare la capacità di superare i limiti della realtà con la sua arte.

Lo stilema più tipico di Bacilieri – uno dei rari autori in Bonelli che lo usi in modo sistematico – è quello delle “vignette nella vignetta” (p.45, ad esempio, ma in molte altre parti), per creare una maggiore compenetrazione tra dettagli e sfondo, che può essere un’altra vignetta o uno sfondo a tutta pagina. Modifiche sottili, a volte impercettibili (meno evidenti ad esempio del lavoro sul segno, che è subito chiaramente “autoriale”), ma quasi sempre presenti: difficile trovare una tavola che non abbia qualche variazione dalla norma della “gabbia” classica.
Va detto che tale impostazione di tavola, che è tipica di Bacilieri anche nelle opere in cui è autore completo, nasce in questo caso su indicazione dello sceneggiatore Mauro Boselli, e non come una pura interpretazione del disegnatore. La cosa si può vedere anche dall’immagine qui sotto, che riporta la suddetta pagina 45, affiancata alla pagina di sceneggiatura che Boselli ci ha gentilmente fornito.

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Anche quando la tavola è, raramente, del tutto tradizionale (ad esempio p. 37), Bacilieri applica un margine bianco leggermente più ampio della media. L’impressione è quella di voler sottolineare la presenza di un più ampio “spazio bianco” tra le vignette, invitando il lettore a interpolare più del solito i passaggi tra le stesse: non compiere un passaggio automatico, quasi subliminale, ma riflettere sui necessari non-detti. Ad esempio, qui la pittrice Gudrun dipinge Draka come il suo eroe del mito classico (ma di spalle: il volto non si vede).
Lo spazio bianco sembra quasi voler essere, qui, un leggero silenzio, una sottile esitazione di Draka nell’assumere quel ruolo di eroe che, come tutti i personaggi bonelliani moderni, gli va stretto. Ma un altro lettore potrebbe vederci la nostalgia di un perduto amore, o altro ancora (anche magari in base alla sua frequentazione del personaggio), dando al fumetto un po’ della sua impossibile tridimensionalità.

Questa sfumata complessità della struttura narrativa di Boselli-Bacilieri si sposa bene alla trama, che mette al centro due rapporti tra amanti definiti in modo sottilmente complesso: il rapporto di Draka con Gudrun, nella cornice, e ancor più il rapporto tra Bauer ed Ester, nella storia centrale. Il rapporto pittore/modella non è, in questo caso, né puro amore romantico, né crudeltà spietata di dominazione, né ossessione alla Poe.
O meglio, ha qualcosa di questi tre elementi, a volte il Bauer della storia è crudele, a volte è ossessionato, a volte è gentile verso la sua amante: ma senza creare una percezione di incoerenza della trama (sono sfumature), bensì un personaggio sufficientemente ambivalente e complesso.

Con questa relativa profondità dei personaggi moderni, risalta ancora meglio la fissità archetipa dei personaggi dell’età del mito: l’usurpatore della montagna è solo il troll grezzo, potente e furioso; la ragazza del lago è solo la melanconia acquatica della morte innocente, l’eroe antico è davvero l’eroe puro delle fiabe, con cui Harlan Draka alla fine accetta implicitamente di identificarsi, quando necessario, ma con quella ritrosia umana, troppo umana, che lo contraddistingue.

Rave Party: il ritorno di Colombo, l’incubo di Tesla

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La seconda storia, sceneggiata da Maurizio Colombo per i disegni di Nicola Genzianella, rientra maggiormente nei canoni bonelliani. Al centro della vicenda Tesla, la vampira che affianca Draka nelle sue avventure. Colombo torna così ad occuparsi del personaggi di cui è stato il co-creatore con Boselli, dopo una lunga assenza spezzata solo da qualche sporadico ritorno, come nel 2013, col n.164 della serie regolare.

L’elemento più innovativo è l’uso del colore, che appare fin dal titolo nella prima pagina della storia, alternato al più classico bianco e nero. Un esperimento che ricorda un po’ quello di Morgan Lost, serie in bicromia (inchiostri rosso e nero) e analoghi esperimenti sull’uso di due colori nei due Magazine di Dylan Dog. In questa storia amburghese non abbiamo solo l’elemento cromatico del rosso, ma una serie di sfumature che vanno da un malsano giallo, che segna l’avvio dell’intossicazione allucinatoria quando la vampira è catturata dai suoi avversari della Dimensione Nera, fino al rosso per le scene più sanguinose.

Il risultato è un fumetto di pura supernatural-action, sviluppata con grande efficacia dai due autori; anche l’impostazione di tavola è dinamica, con molti tagli orizzontali e verticali che sottolineano la freneticità dell’azione. Dopo una serie di torture psicologiche e fisiche, la vendetta di Tesla si concentra sul demone, ed è tutto sommato mite verso gli accoliti umani; nonostante sia un personaggio vampirico, la tradizione legalitaria del bonelliano prevale, anche qui, nella definizione del personaggio, che non perde il controllo nemmeno nei confronti di nemici spregevoli.

La scelta di associare il colore alle sequenze oniriche dà una coerenza interna forte alla scelta cromatica, e permette di dare una spettacolarità ancor maggiore allo scatenarsi dell’incubo. Molto si guadagna, qualcosa si perde: la possibilità dell’inquietudine portata dal confine tra incubo e realtà, un grande classico dell’orrore, tanto più che la storia ha un finale aperto, che potrebbe portarci a sospettare che Tesla non sia uscita dal suo delirio (la coerenza stilistica nell’uso del colore ci dice invece di no).

La lente di diamante: Roi e l’iridescenza della follia.

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L’ultima storia, La lente di diamante, vede di nuovo Mauro Boselli ai testi, per i disegni di Corrado Roi. Se la prima storia ruotava attorno a un pittore, questa terza si incentra sul racconto di uno scrittore del fantastico. La simmetria sembra accurata e intenzionale, in quanto si va ad omaggiare, in ambo i casi, autori che possono essere una scoperta non solo per un pubblico inesperto, ma anche per un appassionato del genere dotato di buona cultura, estendendo quel valore quasi “didattico” degli almanacchi bonelliani dai servizi alla narrazione stessa.

L’autore è in questo caso Fitz-James O’Brien (1828-1862), irlandese naturalizzato americano e caduto nella Guerra di Secessione, coevo di Poe, a cui è molto vicino nel tema dell’ossessione omicida verso una donna impossibile, ma si differenzia nell’anticipare i temi della nascente fantascienza. Qui Boselli-Roi adattano, molto liberamente, il racconto omonimo, La lente di diamante appunto, tra i più famosi dell’autore, dove egli esplora i misteri del microscopio.

La scelta in sé è buona anche per le sue possibilità espressive: se la prima storia dell’albo era in bianco e nero e la seconda usava un monocromatico con sfumature fortemente espressivo, questa è l’unica storia dell’albo integralmente a colori in senso tradizionale, e il colore è efficacissimo nel mettere in scena l’iridescenza della lente di diamante e il mondo fantasmagorico che essa schiude.
Un po’ meno efficace invece nelle cupe scene seppiate di una New York ottocentesca, dove il folle mad doc ancora faustiano si muove irrequieto tra palchi lirici e omicidi quasi rituali, sedute spiritiche e ricerca scientifica. Forse il numero predeterminato di pagine per una storia piuttosto complessa costringe a tavole abbastanza dense e a un uso piuttosto ampio del voice over in didascalia, sacrificando qualcosa della potenza espressiva di Roi quando può essere appieno grandiosamente lugubre.

Nel complesso, dunque, un albo di indubbia qualità, interessante per il taglio colto e autoriale con cui sceglie di affrontare questo primo esordio al Magazine della testata, sotto la sapiente guida di due sceneggiatori storici, Boselli e Colombo, uniti a due tra i più autoriali tra i maestri Bonelli, Bacilieri e Roi (cui si affianca con professionalità Genzianella, creando un intermezzo fumettistico più vicino agli stilemi classici del bonelliano), e con rimandi a  due autori non facili come John Bauer e Fitz-James O’Brien.

L’esperimento sul colore è anch’esso relativamente innovativo per la testata, ancora più cauto rispetto a quanto avviene nel “fratello maggiore” Dylan Dog, con cui a breve si dovrebbe avere un crossover molto interessante, nel segno di quel “multiverso bonelliano” accennato a prudenti tratti (Zenith 666 di Zagor come ultima occasione) e che potrebbe divenire un altro tassello di una innovazione delicata, ma indubbiamente affascinante.

Abbiamo parlato di:
Dampyr Magazine #1
Mauro Boselli, Maurizio Colombo, Paolo Bacilieri, Nicola Genzianella, Corrado Roi.
Sergio Bonelli Editore, novembre 2016
176 pagine, brossurato, colore – 6.30 €

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