Se fosse stato un calciatore, Daken Akihiro sarebbe stato etichettato come una meteora, non per forza un bidone, ma come uno di quei giocatori che illudono presidenti, allenatori e spettatori con una stagione ad alti livelli che poi non sono più in grado di replicare.
Forse, se fosse esistito – realmente esistito – all’epoca di Immanuel Kant, il filosofo di Koenigsberg l’avrebbe definito un genio, un individuo che agisce dando l’impressione della naturalezza, anche se non prescinde dalle regole. In questo senso, sarebbe in antitesi con la riflessione elaborata da Friedrich Schiller e dai romantici, per i quali il genio è estraneo alle regole, alla debolezza e alla stoltezza ed è guidato solo dalla natura e dall’istinto. Daken non potrebbe aderire a tale riflessione, perché non è creatura di puro istinto, benché sia figlio di cotanto padre, né è estraneo alla stoltezza. Anzi, è debole e spesso si trova a correggere la traiettoria del proprio cammino.
DAKEN, CHI SEI?
All’interno dell’universo della Marvel Comics 1, Akihiro è il figlio di James Howlett, meglio noto come Wolverine o Logan, e di Itsu, ragazza giapponese con la quale il mutante canadese visse una breve e sfortunata storia d’amore nel secondo dopoguerra. Bucky Barnes, che nel conflitto del 1939-1945 vestiva i panni della spalla di Capitan America, dopo aver subito un lavaggio del cervello, fu inviato da Romulus, personaggio misterioso e temibile inventato da Jeph Loeb e Simone Bianchi e in seguito sviluppato da Daniel Way, a uccidere la donna incinta. Quando tutto sembrava perduto, il nascituro fu estratto dal ventre della madre e portato alla vita in mezzo al sangue. In quello che scorreva in lui già erano attivi i geni mutanti ereditati dal padre, così sopravvisse e crebbe, nonostante l’inizio terribile.
Adottato da una coppia nipponica, il ragazzo non fu accolto benevolmente dalla popolazione del paese e venne soprannominato daken, ossia “bastardo”. Presto non poté più celare la propria vera natura violenta ed egoista, macchiandosi di atti censurabili e alleandosi con Romulus. Costui fu per il giovane un mentore, una sorta di terzo padre, dopo quello biologico e quello adottivo.
Quando si rivelò al mondo e ai lettori, Daken aveva ormai più di mezzo secolo di vita alle spalle ed era finalmente pronto per vendicarsi di Wolverine, che erroneamente riteneva responsabile della morte della madre e di tutte le proprie sciagure.
Nel nostro mondo, Akihiro è figlio della mente dello sceneggiatore Daniel Way e delle matite del compianto Steve Dillon, che lo fecero esordire nella lunga saga Wolverine Origins, nel 2007. Il personaggio conquistò una testata personale nel 2009, sempre grazie a Way, affiancato da Marjorie Liu, restando sugli scudi fino al 2012, quando imboccò la parabola discendente, fino a diventare una comparsa: dalla serie Dark Wolverine (#75-90) si passò a Daken: Dark Wolverine (#1-23). Ovviamente non mancarono presenze fisse e apparizioni in altri lidi, dai crossover con X-23 e Wolverine Origins, passando per Dark Avengers, Dark Reign: The List – Punisher, la miniserie Franken-Castle e altri camei meno rilevanti.
Nel 2019, il mutante è stato coinvolto da Jonathan Hickman nel suo rilancio delle serie X. Pur non essendo una colonna portante del rinnovamento, il personaggio ricompare in X-Force #9 (marzo 2020), testata sceneggiata da Ben Percy per le matite di Joshua Cassara, mantenendo intatte alcune delle sue più precipue caratteristiche.
Per questo approfondimento si prendono in considerazione Dark Wolverine #75-90 e Daken: Dark Wolverine #1-9, ossia i capitoli firmati da Way e Liu, poi sostituiti alla sceneggiatura da Rob Williams, oltre ai due crossover succitati. Pubblicati in Italia da Panini Comics nello spillato Wolverine da maggio 2010 a marzo 2012 e nel brossurato Daken – Dark Wolverine: Impero (ottobre 2011), questi episodi consentono di delineare con precisione la figura del figlio di Logan.
NEL NOME DEL PADRE
Degno figlio di suo padre, il Wolverine Oscuro ne ha ereditato le abilità mutanti, nella fattispecie il fattore di guarigione, i sensi ipersviluppati e soprattutto gli artigli. Diversamente da Logan, ne ha due che escono dal dorso del polso/mano e uno dal lato opposto, nella posizione in cui si prende il battito cardiaco, per intenderci. Questi “poteri”, però, non lo rendono forte quanto il papà, anche se a essi si aggiunge la manipolazione delle emozioni attraverso l’emissione di particolari feromoni: pertanto, se nella Marvel si applicassero i criteri degli shonen manga per valutare i personaggi e si desse grande rilevanza all’abilità in combattimento, il figlio si posizionerebbe in classifica non solo sotto il genitore, ma anche dopo X-23, il clone femminile del Guercio (soprannome con cui l’eroe interpretato al cinema da Hugh Jackman è conosciuto nella fittizia isola di Madripoor). Questo fatto piuttosto curioso viene evidenziato proprio da Laura (X-23, appunto) in Daken: Dark Wolverine #9, quando dice al fratellastro di mettersi al sicuro perché, essendo ferito gravemente, non riuscirebbe a prevalere sui nemici. Insomma, non un bel biglietto da visita per un uomo che pochi minuti prima sentenziava: “Hai bisogno di me“.
Questi due passaggi, per quanto marginali, fotografano efficacemente lo status mentale di Akihiro e quanto esso non trovi corrispondenza nei fatti. È un individuo che ha una elevatissima opinione di se stesso, gioca a fare dio, sente la necessità di essere adorato e allo stesso tempo desidera mostrarsi buono, magnanimo, misericordioso, meritevole di quell’ossequio tanto agognato. È simile alla figura di Eros che Platone tratteggia nel Simposio, quando fa parlare Socrate, che a sua volta riporta le parole di Diotima, una sapiente di Mantinea. Figlio di Penìa e Pòros, cioè di Privazione e Abbondanza, Eros non è l’amato ma l’amante: è colui che ama ciò che non possiede, proprio perché non lo possiede; ama ciò di cui è privo; cerca di spegnere il bisogno che lo fa soffrire. Ancora, l’Amore si rivolge alle cose belle ed è filosofo, perché la “cosa” più bella di tutte è la sapienza (Platone, Simposio, traduzione di Carlo Diano, introduzione e commento di Davide Susanetti, Marsilio, Venezia, 1992).
A pensarci bene, Daken ama ciò che non possiede, cerca di spegnere il bisogno che lo fa soffrire, si rivolge alle cose belle e, a modo suo, è un filosofo.
Anzitutto necessita della figura paterna, o per lo meno di un incontro-scontro con essa: privato dell’affetto della madre biologica ancora prima del primo vagito, mai accettato fino in fondo dalla comunità ospitante, cresce convinto di avere un padre uxoricida, bramando vendetta ma non solo. Vuole anche dimostrarsi all’altezza e perfino superiore a quel Wolverine che sente troppo spesso nominare da Romulus, in qualità di suo futuro successore. Anche se dimostra circa una ventina d’anni, il rampollo mutante ne ha in realtà una sessantina e per più di mezzo secolo ha vissuto nell’ombra di un uomo che è stato ed è tante cose: assassino, eroe, X-Man, Vendicatore, signore di una città-stato, cavia da laboratorio, il migliore in quello che fa.
Way e Liu trattano per tutta la loro gestione, magari a singhiozzo ma comunque con continue riprese, il rapporto tra padre e figlio, a dire il vero più in assenza che in presenza. Le reali interazioni tra i due sono poche e quella decisiva è raccontata nel crossover tra le testate Dark Wolverine e Wolverine Origins, ma nella testa del protagonista l’odio nei confronti del genitore è costante e attraverso le didascalie l’ossessione è esplicitata senza interruzioni. I due autori accompagnano il lettore, mentre penetrano nella mente della loro creatura, rendendolo partecipe di ogni ragionamento. Akihiro pianifica, giudica, pensa tantissimo e nessuno di questi pensieri resta segreto: la scelta della cronaca del flusso di coscienza è vincente, perché la sua psicologia è il vero punto di forza del personaggio, soprattutto se si tiene conto che le azioni lasciano spesso a desiderare, come vedremo.
Probabilmente sempre per la necessità di colmare i vuoti interiori, l’antieroe è anche un esteta: ama l’arte e viene mostrato mentre acquista un quadro, segue la moda e si fa confezionare un costume su misura da uno stilista italiano, cura la propria immagine maniacalmente, a suo gusto chiaramente. Un po’ tamarro, un po’ fighetto, tiene sempre il colletto della camicia o della polo alzato, ha una catena agganciata ai jeans, sfoggia una cresta da moicano e, appena può, mette in mostra il tribale tatuato su parte del petto, sulla spalla e sul braccio. A margine, il look è uno degli elementi più accattivanti di questo mutante, anche e soprattutto grazie alla maestria con la quale l’hanno raffigurato gli artisti che ne hanno disegnato le avventure. Alcuni di questi sono italiani: Giuseppe Camuncoli, affiancato alle chine da Onofrio Catacchio, Christian Cornia e Grazia Lobaccaro, Mirko Piefederici e Marco Checchetto.
Appassionato di filosofia, è avido lettore de Il Principe di Niccolò Machiavelli, citato alla lettera da Liu e Way, dal quale trae ispirazione per il proprio modus operandi.
WHAT’S MY DESTINY?
Machiavelli nel venticinquesimo capitolo de Il Principe scrive: “Iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam ei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi“. Espandendo anche concettualmente, visto che lo storico e politico fiorentino in qualche modo limitava le possibilità di controllo umano sulla Fortuna, si può pensare all’homo faber latino e persino alla poesia Invictus di William Ernest Henley, resa celebre da Nelson Mandela, che recitava: “Io sono il padrone del mio destino: / io sono il capitano della mia anima“.
Daken, lo si evince già dal primo arco narrativo della sua serie regolare, intitolato appunto Il Principe (Dark Wolverine #75-77), non solo brama l’indipendenza dal Fato, di più, nella breve saga Divino (Dark Wolverine#82-84), afferma: “Il destino non è bizzarro come appare. Quello che un uomo pensa di se stesso è ciò che determina la sua vita. Il carattere è il destino. Il desiderio è il destino. E noi siamo gli architetti di noi stessi“.
Carattere e desiderio: ancora una volta si può fare riferimento al Simposio di Platone, dato che il personaggio-Socrate specifica subito che, per determinare l’oggetto d’amore a cui Eros si rivolge, bisogna prima chiarire quale sia la vera essenza di questa potenza travolgente e spesso a sua volta travolta. Tra i due segmenti dell’epopea del guerriero mutante si infila, però, un trittico di storie che ha dell’incredibile, se si tiene conto delle parole proferite dal protagonista stesso, della sua convinzione nei propri mezzi, della sua almeno apparente consapevolezza.
Ne Il mio eroe (Dark Wolverine #78-80) Norman Osborn, all’epoca del Dark Reign direttore di H.A.M.M.E.R., l’organizzazione che aveva preso il posto dello S.H.I.E.L.D., e boss degli Oscuri Vendicatori, nei quali milita anche il figlio di Logan, organizza una messa in scena per riabilitare agli occhi del pubblico Akihiro, reo di aver sgozzato un criminale in diretta TV e di aver allontanato al suono di “vattene stupida vacca” una civile. All’apparenza la missione è semplice: l’artigliato deve arrestare una banda di villain di serie Z, senza esagerare con la brutalità e il turpiloquio. Una cosa da nulla, se non fosse che Daken si mette nel sacco da solo, peccando di arroganza ed egocentrismo. Desideroso di dimostrarsi superiore al suo capo e al vero Wolverine (ancora, sempre lui), commette degli errori che lo portano a essere pesantemente sconfitto non una ma due volte e deriso dal fu Goblin. Peggiori del sangue versato e dello scherno sono le parole di una nemica che, dopo averlo steso, l’ha risparmiato: “Tu non sei Wolverine. […] Io non sono…niente! Sono la bella donna che ti ha lasciato vivere“.
Non solo la ragazza capisce che non ha di fronte il vero eroe canadese, ma si vanta di aver avuto nelle proprie mani il destino dell’avversario. Dove sono allora carattere e desiderio? L’affabulatore, il manipolatore, lo spietato assassino è solo tanto fumo e poco arrosto. Eppure più avanti dice: “Voglio tutto“.
NON HO FILI CHE MI LEGANO
Tra una buona azione, un sorriso – spesso finto –, una pantomima, uno sbudellamento e tanti insuccessi, piano piano il lettore si fa l’idea che alla fine l’aitante sessantenne perda sempre. O meglio, che non vinca mai. Non veramente. Sì, guai a negarlo, si gira e rigira tra le mani come vuole quel pazzo di Bullseye, flirta con lui come con La Cosa dei Fantastici Quattro e Mac Gargan/Venom, lasciando trasparire tutta la propria ambiguità sessuale, salvo poi pugnalarlo alle spalle e sminuirlo; usa ironia e sarcasmo ai danni di Norman e Gambit, li stuzzica e li ridicolizza a parole. Ma nei fatti?
Nei fatti, il burattinaio si rivela un burattino, la pedina di Osborn, di Romulus e, in seguito, parzialmente di Malcolm Colcord, losco figuro deciso a riavviare il progetto Arma X. Il tutto con l’ombra di Wolverine alle spalle. E anche quando simula la propria morte per liberarsi dalla presa altrui e poter manovrare restando nell’oscurità, ha comunque bisogno che prima sia proprio l’odiato padre a togliergli le castagne dal fuoco. Infatti, il perfido e lungimirante Romulus ha progettato di reincarnarsi in Logan o eventualmente in Daken qualora questi riuscisse a prevalere sul genitore. Il piano è complesso ma in passato è stato efficace: il nemico col nome latino addestra il proprio successore, lo rende più forte, si fa superare e uccidere per reincarnarsi in lui. Il problema è che Akihiro questo piano non l’ha compreso, rapito com’è dalla sete di vendetta e di auto-affermazione, quindi rischia di cadere vittima del grande macchinatore, proprio quando crede di averlo in pugno. Come anticipato, per sua fortuna, arriva James Howlett a scrivere la parola fine sul dominio del lupoide introdotto da Loeb e Bianchi nella storia Wolverine: Evoluzione.
Come detto, per scrollarsi di dosso il controllo di un personaggio scomodo come Norman e la sua cricca di Oscuri Vendicatori, Daken ricorre a una mossa di cui eroi e antieroi solitamente non vanno molto fieri. Finge di restare coinvolto in un’esplosione mortale, facendo cadere repentinamente in depressione Johnny Storm/la Torcia umana, che in breve tempo e senza un vero motivo era giunto a considerarlo un caro amico. Potere dei feromoni del protagonista o sbavatura di Way e Liu nelle sceneggiature?
Lo stratagemma consente all’arrivista senza scrupoli di rifarsi una vita, con un grosso “ma”: ripete la necessità di mettere un punto al passato, però, a partire da Daken: Dark Wolverine #1 va a Madripoor, vuole diventare l’imperatore dell’isola proprio come in passato aveva fatto il Guercio…suo padre!
Karla Sofen, psicologa nota anche come Moonstone e sua compagna nei Dark Avengers, dice che non si riesce a capire se Akihiro reciti oppure no, aggiunge che egli è un mistero, tutto e niente, ma sicuramente nasconde qualcosa. Forse allora gli autori non svelano proprio tutti i pensieri del character, altrimenti non si spiega perché, pur volendo archiviare la pratica-Logan, vada a costruire un dominio seguendone le orme. Oppure, più semplicemente, il Wolverine Oscuro è un perdente che, malgrado i proclami, non riesce mai ad andare oltre, a guardare avanti per vivere una vita libera.
I LOVE MY LIFE
Anche se apprezzabile, strana o incomprensibile, la scelta di recarsi a Madripoor e di scalare la vetta per il controllo della città-stato si rivela finalmente giusta, perché consente all’antieroe di raggiungere per la prima volta un obiettivo concreto, tanto che a battaglia per la supremazia conclusa può esultare: “È bello stare in cima. […] È bello essere me“.
Eppure non va esattamente come cantava Robbie Williams nel 2016: “I love my life / I am powerful / I am beautiful / I am free / I love my life / I am wonderful / I am magical / I am me / I love my life“. Sebbene il protagonista pensi “forse il potere è tutto ciò che ho. O che mi serve“, nelle orecchie del lettore risuonano le frasi di X-23, secondo la quale il fratellastro si limita, perché non vuole lasciare spazio ai sentimenti. Ecco allora che le parole di Daken certificano una sua nuova, ultima e parziale sconfitta: per diventare il signore della malavita e tenere in scacco un’intera popolazione, ha dovuto rinunciare a tutto quanto, ha dovuto spogliare la propria esistenza di qualsiasi altro significato.
Ma, anche di fronte all’ennesimo passo falso, non si può non riconoscere al figlio di Logan alcune caratteristiche del tutto umane, messe bene in evidenza da Liu e Way: la determinazione, l’abnegazione, la voglia di rivalsa e di primeggiare, di ambire a qualcosa di più del ruolo che ci viene assegnato dagli altri, la lotta costante con l’importanza che diamo alla percezione che da fuori hanno di noi e la tentazione di fregarcene per essere realmente noi stessi.
Oltre a ciò, ovviamente, per Dark Wolverine c’è di più: ci sono una personalità straripante ma un’identità mutevole e insondabile forse persino per lui stesso, la grande attenzione alla mente e ai pensieri di alleati e avversari, un’etica assolutamente discutibile che giustifica l’assassinio come necessità connaturata al carattere e prevede un gesto di misericordia per ribadire eroismo, superiorità e (presunta) divinità.
Alla fine Akihiro si rivela il principe di niente ma, come ripeteva spesso un insegnante che ho conosciuto all’università: “Chi non fa sbaglia sempre, chi fa ogni tanto vince“. Allora, Daken, ritenta, sarai più fortunato.
Albi importanti per ricavare le informazioni su Daken sono: Wolverine Origins #10, 26, 30; Daken: Dark Wolverine #1 ↩