Dai Vetri agli Orti, viaggiando per una Venezia corrosa e corrosiva. Alberto Lavoradori è un autore poliedrico: scrittore, sceneggiatore e disegnatore, si è destreggiato e continua a farlo tra personaggi Disney, narrativa in prosa e fumetto sperimentale. Proprio a quest’ultima categoria va ascritto Orti, ultimo lavoro dell’artista, pubblicato nel 2022 da Segni d’Autore.
Sabato 10 settembre 2022 Lavoradori è stato ospite della fumetteria Fumetti & Soda di Padova per presentare ai lettori la sua opera. Dalla chiacchierata in negozio è nata questa intervista, sviluppata e terminata con un piacevole scambio di mail.
Ciao Alberto e ben arrivato su Lo Spazio Bianco! Parto dai tuoi primi “libri intraprogettuali”, ossia Gommo Origine e Stirpi. Che cosa ha fatto scattare la molla per realizzare un prodotto diverso da un fumetto o un libro tradizionale?
Gli intraprogettuali sono esperimenti, dove ho cercato di miscelare intrattenimento e progettualità. Dove ogni reparto e quindi studi, testi, immagini non sono fusi, ma coesistono presenti sullo stesso piano e sono collegati, narrativamente parlando. In sintesi, l’intraprogettuale è un progetto che intrattiene (è un finito non finito). Tantissimi dubbi per questa formula, non lo nascondo, eh, ma sono contento d’averci provato. La molla è ed è stata la curiosità di vedere l’effetto finale, di materializzare l’assieme fisico d’un concept diverso.
Vetri (2021) e Orti (2022) sono le prime due tappe di una trilogia ambientata in una Venezia particolare, corrosa sia nell’esteriorità che nell’interiorità. Quando e come nasce questo progetto?
Nel periodo 2017-2020, grazie alla pazienza e all’interesse di Andrea Voglino, ho scritto e disegnato per Alias Comics delle storie brevi con un personaggio che si chiamava Pleasence (sì, proprio ispirato al grande attore inglese). Un soggetto vedeva il personaggio a Venezia. Vetri nasce così, da quel lontano spunto, seppur poi rimodellato. Orti, invece, è una propaggine del primo albo, presenta altri personaggi sempre un po’ “totemici”, e nuovi territori. Concordo con quanto dici, sono due lavori corrosi nell’involucro e nel contenuto, sono una disgregazione estetica e narrativa.
Vetri è un libro in portfolio, costituito da singole tavole che, insieme, compongono la narrazione. Orti è un fumetto rilegato. Entrambe le opere condividono l’orizzontalità, perché l’hai preferita alla verticalità?
Risposta visiva: in narrativa per immagini il formato orizzontale con una singola vignetta, per intenderci la splash-page, necessita di sintesi, ma tale scelta dona velocità e freschezza (secondo me). Risposta percettiva: Venezia, vista dalla laguna, per chi l’ha vissuta per anni in barca a remi, talvolta a motore, da distante, tra i litorali, tra le isole, nelle zone più desertiche e selvagge (che ci sono e pochi conoscono), ha sempre un’unica conformazione ottica, cioè orizzontale e schiacciata (impervia e faticosa da raggiungere). Voglio dire, è un’impostazione quasi subliminale.
Al di là della “confezione”, anche il contenuto è piuttosto sperimentale, non convenzionale. Qual è, secondo te, il pubblico di riferimento per la tua trilogia? Che cosa gli chiedi?
Questi sono lavori “out in the cold”, non richiesti, non calcolati, non necessari e secondo me non possono avere un vero e proprio pubblico di riferimento, anche se a riguardo osservo un lento ma costante gocciolio. Forse possono funzionare con i lettori onnivori, meglio, gli iper-onnivori, che, secondo me, sono un catino d’utenti impagabili per l’editoria in generale.
Quali tecniche e quali materiali hai utilizzato per disegnare Vetri e Orti? C’è stata continuità oppure hai aggiunto sperimentazione su sperimentazione?
Ho usato tutto il possibile del cartaceo e tutto il possibile del digitale, senza nessuna esclusione di effetti e di trucchi. Con il tempo mi sono costruito a mano dei plug-in “grezzi e personalizzati”, che inserisco all’occorrenza per sporcare il più possibile l’effetto matematico e sintetico dei programmi.
In entrambe le storie i luoghi, che esistono davvero, hanno un’importanza pari se non superiore ai personaggi. Per disegnarli li hai visitati oppure ti sei documentato, per esempio, usando delle foto?
Nulla è inventato ma tutto è rielaborato. Rii, fondamente, ponti, calli, canali, panoramiche sono quelle esistenti. “Capricci” zero. Le foto invece sono mie. E, aggiungo, le sequenze non inventano percorsi, ma sono tragitti rispettosi della mappa cittadina, tragitti veri se si vuole arrivare nei punti nevralgici dei fatti narrati. I personaggi si muovono in laguna e in città, in modo topografico. Non so se è giusto il temine, ma credo si capisca.
Tra i luoghi che citi e raffiguri alcuni sono davvero curiosi: Sant’Arian, la Baia del Re e l’Isola Campana. Leggendo, sono andato a cercare informazioni sulle loro storie. Esercitano un fascino speciale anche per te oppure li hai inseriti per un’esigenza “geografica”?
Il fatto d’aver instillato in te lettore curiosità è uno dei motivi principali dell’esistenza di Vetri e Orti. Amo la lettura attiva, quella che fa sorgere punti interrogativi. Comunque, i posti che nomini sono dei posti davvero ai margini, defilati, ma fondamentali per questa invenzione. I luoghi presenti in Vetri e Orti sono capisaldi (sono quasi dei personaggi). Sant’Arian è un gigantesco ossario che contiene 1400 anni di spoglie umane. Baia del Re era una zona malfamata ed estremante pericolosa. Isola Campana un ex avamposto militare, a ridosso di bocca di porto Alberoni, dove leggenda narra che viva il cane del demonio a protezione d’indicibile segreto.
Nei testi, spesso ometti gli articoli. Vista la presenza di alcuni termini in latino, lo fai per assecondare l’antica lingua, magari creando una sorta di linguaggio peculiare per la tua storia, oppure per la volontà di assolutizzare i sostantivi e, di rimando, i concetti che veicolano?
Latino. Spagnolo. Una lingua antica e una lingua diversa. Sì, ci sono, e veicolano personaggi ed eventi ancora in ombra. Amplificano la forza del background.
Sui muri che disegni sono spesso presenti graffiti e scritte. Hanno un corrispettivo nella realtà o li hai inventati?
Sono riproduzioni della realtà, stesse conformazioni, stesse sbavature, stesse scritte. Disegni e parole che non ho mai cercato di decifrare, ma che ho solo fotografato. Ci sono perché esistono nel tessuto urbano della città. Non potevo non inserire tale espediente, perché è un aspetto autentico del passaggio umano. Scatti e foto fatte tra il 2010 e il 2020.
In Vetri e Orti troviamo conferma della tua passione per la fantascienza. Ho notato la somiglianza di un personaggio con Deckard di Blade Runner e un rimando a Metropolis. Quali sono le tue fonti di ispirazione legate al genere e quali le tue opere preferite?
Vero, amo la fantascienza (Vonnegut, Lem, Dick). Ma anche il sentiero che accosta il genere, quello astratto metafisico di Cortázar, Flaiano, Calvino. Mia paranoia era adattare quell’atmosfera del mondo inventato, tipico della fantascienza, nell’alveo d’una città che con essa non ha nulla a che spartire, né per composizione, né per abitanti, né per contenuti. Soprattutto perché la storia di questa capsula del tempo aperta è ferma da almeno due secoli. Il funzionario stropicciato chandleriano o dickano, famoso per essere affilato cupo antieroe, in Vetri e Orti è un soggetto davvero arido e inammissibile. Perciò vera la fonte, ma contraria.
Come ogni prodotto fantascientifico che si rispetti, anche Vetri e Orti riflettono sul mondo reale e lo criticano. Già l’estetica che hai scelto per la tua Venezia, mi sembra, va in questa direzione… che cosa non ti va giù della città e, in generale, del mondo in cui viviamo?
Tra il 2019 e il 2020, Vetri, e tra il 2020 e il 2021, Orti; sì, sono emanazioni distopiche, con risonanze distopiche, prodotte in un periodo distopico; però, in sintesi, restano invenzioni, trucchi da baraccone… che poi cullavo da tempo, come dicevo prima. Sì, il reale s’intrufola in questi lavori, serpeggia, ma è lui a entrare senza bussare, non io a invitarlo. Resto annichilito vedendo l’uso pornografico e inverso che si fa meccanicamente e incessantemente di questo luogo e di tantissime altre città italiane.
Prima di salutarti, una domanda classica: progetti futuri? Completi la trilogia e in contemporanea lavori a qualcos’altro?
Qualche tempo fa ho scritto due storie per due grandissimi disegnatori italiani, finalmente vedranno la luce il prossimo anno. Sì, mentre “sbanfo” e arranco sul crinale della chimera e della grafica, l’ultima parte della trilogia è già in cantiere (da anni, eh). Speriamo bene. Grazie della chiacchierata Federico e grazie a Lo Spazio Bianco.
Grazie Alberto, alla prossima!
ALBERTO LAVORADORI
Alberto Lavoradori nasce a Mestre nel 1965. Inizialmente disegnatore, dal 1989 lavora sia con editori mainstream che indipendenti, come Disney, Comic Art, Nuova Frontiera, Vincent ‘Nick Carter’, Panini, Tornado Press e altri. Nel 2010 collabora all’idea del libro intraprogettuale e pubblica, con questa formula, due volumi: Gommo Origine (Sciacallo Elettronico) e Stirpi (Cagliostro Press). Nel 2012 esce il suo primo libro di narrativa, Unrank (Montag), e nel 2017 Spacenoir (Il Grifo-Edizioni Di).
Nel 2018 realizza come autore completo Pleasence e, nello stesso anno, vince il premio Lymon con il volume American Food.
Per tutto il 2019 pubblica le schede mensili CelluloseBodies, legate a personaggi letterari di fantascienza, sul portale specializzato Sci-Fi Pop Culture. Nel 2021 sceneggia e disegna Vetri, un esperimento narrativo ambientato a Venezia e pubblicato da Edizioni Segni d’Autore. Del 2022 è Orti, seconda tappa della trilogia (fonte: Segni d’Autore).