Il sodalizio tra Napoli Comicon e Goethe Institut Napoli è di lunga data e piuttosto fruttuoso. Negli anni sono stati presentati vari giovani autori e autrici di grande talento, spesso non ancora tradotti in italiano ma desiderosi di creare connessioni con l’editoria del nostro paese e con autor* di altri paesi. Quest’anno Goethe Institut di Napoli ha ospitato la mostra COMICON OFF dal titolo “Anna Piccolagrande e altri equivoci. I Fumetti di Mia Oberländer”, una giovane autrice che con il suo Anna (ancora inedito in Italia), ha già vinto il Berthold Leibinger Comic Book Prize 2021 ed è candidata al Deutsches Jugendliteraturpreis. La storia, in parte autobiografica, parla di tre donne, tutte e tre di nome Anna, e si sofferma in particolare su Anna 2 (figlia di Anna 1 e madre di Anna 3): molto alta e grossa sin dalla nascita, non accettata nel suo villaggio e poco anche dalla propria madre. La sua storia diventa una riflessione sul corpo, sulla percezione di sé stessi e su traumi e paure trasmessi di generazione in generazione, realizzata con uno stile minimalista ma dai colori sgargianti. Venerdì 22 aprile, prima giornata del Comicon, Mia Oberländer ha incontrato una classe di studenti di dell’Istituto Matilde Serao di Pomigliano D’Arco per guidarli nella mostra e per leggere loro alcune pagine di Anna: una cosidetta Comiclesungen, molto diffuse in Germania ma un’esperienza completamente nuova (e molto apprezzata) per i ragazzi. A margine di questo incontro, Lo Spazio Bianco ha intervistato Mia Oberländer per parlare della sua opera, dei suoi studi e delle sue ispirazioni.
Ciao Mia e grazie per il tuo tempo con noi. Prima di tutto, vorrei farti alcune domande per presentarti al pubblico italiano. Da bambina e da adolescente, leggevi fumetti? Quali sono stati i primi con cui sei entrata in contatto?
Quando ero piccola ho ricevuto da mio padre una grossa pila di fumetti di Mickey Mouse degli anni ’60, quelli della sua infanzia, che non aveva buttato e che mi ha voluto regalare. Quindi quando ero bambina ho letto molto Topolino, ma anche Paperino e Asterix e Obelix.
Insomma, i tipici fumetti tradotti e molto diffusi in Germania.
Sì, diciamo che da piccola ho letto i classici e niente altro di particolarmente diverso da tanti altri bambini. Poi durante il periodo della scuola la mia migliore amica mi ha introdotto al mondo del manga; quindi, durante l’adolescenza ho letto molti manga, dagli shōjo fino a shōnen come One Piece. Per un certo periodo non ho letto più alcun fumetto, ho letto molti più libri, ma una volta iniziata l’università ho ricominciato a farlo.
Quando hai iniziato a pensare di fare fumetti e quali sono stati i tuoi passi in quella direzione?
In realtà all’inizio volevo realizzare libri illustrati per bambini, ma questo non ha funzionato un granché, perché alla fine tutte le storie che realizzavo non erano veramente per bambini. Con l’università sono stata ben tre volte alla Children Book Fair di Bologna per presentare il mio portfolio e ogni volta le case editrici a cui mi sono proposta mi hanno detto che le storie erano sì belle e interessanti, ma non proprio per bambini. Quindi dopo l’ultima visita ho pensato che sì, in effetti avevano ragione (ride), e quindi ho deciso che magari avrei fatto qualcosa di diverso. Ho poi frequentato un corso di fumetto alla HAW di Amburgo tenuto da Anke Feuchtenberger e lì ho davvero capito che era quello che volevo veramente fare.
Mi hai anticipato sulla prossima domanda. Parli giustamente di Anke Feuchtenberger, tra le più importanti autrici del fumetto tedesco ed europeo. Quale è stata la più importante lezione che hai imparato da lei?
Ho imparato davvero molto, sono una grande fan di Anke. In particolare, ho imparato davvero come si racconta, e che ogni cosa può diventare racconto. Anke realizza i suoi fumetti in maniera molto intuitiva, spontanea, con poche regole fisse. Ci diceva sempre che se un autore realizza quattro disegni che non hanno niente a che fare tra di loro e poi li mette uno accanto all’altro, la mente cerca automaticamente di legarli tra loro e costruire una storia, per questo si possono realizzare molte storie che non sono programmate ma che nascono da una intuizione. Questa è una delle lezioni più importanti che ho appreso: il mio stile non ricorda ovviamente il suo, ma da lei ho cercato di apprendere un modo di raccontare.
È vero che il tuo stile è diverso dal suo, ma ci sono comunque elementi di minimalismo del segno, l’uso del bianco e nero in alcune tue storie.
Sì, e credo che forse una cosa che ci accomuna è come trattiamo il lettering, che è sempre parte del disegno per me. Infatti, scrivo sempre i testi direttamente nei disegni, una cosa che un autore non dovrebbe mai fare (ride). Credo che chi ha tradotto e adattato Anna per l’edizione francese pubblicata da l’Atrabile mi abbia davvero odiato, perché ha dovuto cambiare tutte le pagine con Photoshop. Però non riesco a immaginarmi un altro modo di lavorare, devo vedere i disegni con il testo già dentro per capire come sarà il risultato.
Hai studiato presso l’HAW di Amburgo, una città che negli ultimi anni ha visto emergere numerosi talenti del fumetto tedesco. Quanto è stato importante per te entrare in contatto con questa comunità molto attiva?
Ad Amburgo faccio parte da circa tre anni del direttivo che organizza l’Hamburger Comic Festival. Ovviamente non è un festival grosso come il Comicon di Napoli: è un festival del fumetto indipendente, ma è comunque una bella esperienza. Ci si conosce tutti, l’atmosfera è molto confortevole e rilassata, sono tutti molto carini; inoltre, mi piace il fatto che gli artisti non siano solo autori e disegnatori che sono invitati, ma siamo noi stessi che ci organizziamo e che invitiamo altri autori che ci piacciono anche da altri Paesi. Trovo che la comunità di fumettisti sia molto piacevole e aperta, non solo ad Amburgo ma anche in altri posti in Germania.
E mi sembra un ambiente ricco di idee e spunti.
Sì, esatto. Mi rendo conto di aver un po’ divagato prima e non aver risposto alla tua domanda: faccio parte della comunità di fumettisti di Amburgo e posso dire che è una scena molto bella, ci sono un sacco di grandi autori come Antonia Kuhn, Sascha Hommer, Jul Gordon. È veramente una gran cosa che così tanti autori siano insieme nello stesso luogo.
Parliamo di Anna, tuo progetto di tesi che ha vinto anche il premio per il fumetto della Fondazione Berthold Leibinger. Il fumetto affronta, in una maniera molto particolare e ricca di inventiva, il tema del bodyshaming e dell’accettazione di sé stessi, declinandolo in una storia famigliare e multigenerazionale. Come è nata l’idea di questa storia?
Un tema importante di questa storia è sicuramente la percezione di sé stessi, come una persona pensa di apparire all’esterno e come può cambiare questo aspetto in base alla risposta e al feedback dell’ambiente esterno, della propria famiglia o del mondo che lo circonda. La storia nasce dall’esperienza reale di mia madre, una donna molto alta rispetto alla media (1 metro e 80). Negli anni ’60, quando lei è nata, questa cosa non era vista di buon occhio nel suo piccolo paesino d’origine. Per questo, dato che si è sempre vergognata, e l’hanno sempre fatta vergognare, del suo aspetto (una cosa assurda, dato che mia madre è una donna molto bella!), ha voluto evitare che questa situazione si ripresentasse per me e mia sorella. Per fare questo, però, ha profuso molta energia nel far sì che noi pensassimo il contrario, ha sempre sottolineato quanto fosse grandioso essere alti. Questo ha creato in me una percezione falsata del mio aspetto: io credevo di essere una persona enorme (e non lo sono, sono alta 1 e 75, quindi nella norma tedesca e non solo) e finche’ non mi sono trasferita ad Amburgo, confrontandomi con un altro ambiente, pensavo cose come “sono troppo alta, quindi non mi potrò mai sposare, oppure dovrò indossare delle ballerine per essere di un’altezza giusta”, cose così. Conoscendo nuove persone però, queste mi hanno fatto rendere conto che non ero così alta, che la mia percezione era molto distorta. E lì mi sono resa conto che per quasi dieci anni mi ero vergognata del mio aspetto, ma che questo non era vero, non era la realtà dei fatti. Per questo ho deciso di realizzare quest’opera, per riflettere sulle paure che si trasmettono attraverso le generazioni, come queste influiscono sulla propria evoluzione ma anche come ci si può affrancare da queste. Non volevo però scrivere un racconto in cui parlo del mio “terribile destino di donna troppo alta” o della mia famiglia, volevo scavare nell’essenza di questo tema, di come traumi e paure possano ripetersi all’interno di una storia famigliare.
Questo è sicuramente uno degli aspetti più interessanti del tuo lavoro: si percepisce che contiene elementi autobiografici, ma non è un’autobiografia come se ne possono trovare ormai moltissime sia in Germania che in Italia o in altre parti del mondo, è una storia più universale.
Sì, è una storia piuttosto esagerata, volutamente esagerata. Non si parla dei problemi realistici di una donna troppo alta, nessuno ha gambe così lunghe o problemi così estremi. La mia Anna non è 1.80 m, ma 4! Usando il grottesco ho però potuto generalizzare il discorso che volevo fare, perché a quel punto il “difetto” attorno a cui ruota questa storia può essere scambiato con qualsiasi altro: si può raccontare la stessa vicenda anche per chi è basso, per chi è magro oppure corpulento, per qualsiasi tipo di corpo e non solo.
E anche il tuo stile narrativo, così come il tuo disegno, è molto ironico, pur raccontando una storia che ha comunque delle parti molto serie. Una storia seria ma trattata con leggerezza. Pensi che il fumetto sia un mezzo adatto e utile per riflettere su tematiche importanti per la società contemporanea? Il tema del tuo fumetto, la riflessione sul corpo, è uno di quelli molto sentiti da vari autori e autrici della tua generazione, in Germania come nel resto del mondo.
Sì, credo di sì. Del fumetto mi piacciono due cose che penso siano uniche per raccontare un certo tipo di storie. Prima di tutto, in un fumetto si può costruire un intero mondo, con le sue regole e la sua struttura: posso creare un villaggio, e in questo villaggio diventa possibile che una persona sia alta quanto Anna. E chi legge fumetti semplicemente accetta quello che sta guardando, accetta quel mondo. E chi crea può semplicemente realizzare quello che ha in mente, senza pensare a costrizioni come, ad esempio, il budget di un film: abbiamo una persona alta 4 metri e non ci dobbiamo pensare. Inoltre, penso che sia un mezzo molto potente per raccontare storie autobiografiche o storie su determinati temi: il fumetto ha testo e disegni, ma chi legge può scegliere cosa e come leggerlo, e chi scrive può scegliere come dosare questi elementi.
Ad esempio, nel capitolo in cui la rabbia di Anna esplode, ho scelto uno stile e una narrazione che sarebbero impossibili da realizzare in un libro: un testo non potrebbe mai rappresentare quell’emozione, o in cosa consiste quella emozione per quel personaggio. Non potrei lasciare gridare il personaggio per dieci pagine in un libro e fargli urlare solo “AAAAAA”, mentre nel fumetto posso scegliere di dedicare molte pagine a questo, dilatandone i tempi, anche se magari quell’evento in realtà dura solo pochi secondi. E poi nel fumetto ci sono eventi che si dipanano in anni e che hanno lo stesso numero di pagine: la gestione del tempo e del ritmo è uno degli elementi più potenti e affascinanti del fumetto. Ed era proprio questo che mi interessava quando lavoravo ad Anna, volevo dare al libro la giusta velocità, il giusto ritmo, dosare la quantità di testo in ogni pagina.
Prima di Anna hai realizzato molte storie brevi, e questa era la tua prima graphic novel. Quanto è stato difficile per te questo passaggio? E che ruolo ha avuto Edition Moderne in questo tuo lavoro?
Sicuramente lavorare a una graphic novel assorbe molte energie, ma non penso sia molto diverso dal realizzare storie brevi: serve solo una resistenza maggiore!
Quando ho firmato il contratto con Edition Moderne, il libro era già completo al 90%. Più tardi ho cambiato un capitolo e alcune pagine individuali. A quel punto ero già in contatto con Julia Marti e Claudio Barandun di Edition Moderne. Poi c’è stata una correzione di bozze. Sicuramente se l’aspetto del libro è così bello e curato il merito va in gran parte proprio a Edition Moderne, sono noti per realizzare libri editorialmente, graficamente e tipograficamente molto belli. Ad esempio, l’impostazione grafica della copertina, con le tre Anna sui tre lati del libro è un’idea nata dalla mente di Julia Marti, unз deз tre editorз di Edition Moderne, su cui poi abbiamo lavorato insieme.
Il fumetto ha uno stile molto geometrico e minimalista, sia nel tratto che nella impostazione grafica e nello storytelling, tranne che per un capitolo. Come hai deciso di strutturare la storia in questo modo? Che influenze hai avuto durante la realizzazione del fumetto?
Confesso di essere piuttosto pigra e quindi il mio minimalismo deriva proprio da questa mia caratteristica. Sono anche molto impaziente, quindi spesso tutto quello che disegno rimane in gran parte così come l’ho realizzato la prima volta. Inoltre, sono una grande fan dei colori sgargianti e degli outlines e questo si vede nel mio lavoro. Però cerco anche di modificare il mio stile in base alla storia, in modo che le si adatti al meglio. All’inizio avevo pensato di realizzare ogni capitolo in uno stile diverso, ma poi mi sono detta che non aveva molto senso, che una decisione del genere deve avere un significato e un motivo ben preciso, altrimenti diventa solo difficile da seguire per il lettore.
Ritornando al capitolo dell’urlo, in quel caso lo stile più grafico e geometrico della storia non era adatto, non era abbastanza arrabbiato, non era esplosivo. Per questo ho cambiato, usando colori ancora più accesi, eliminando le linee di contorno.
Per quanto riguarda le ispirazioni, non saprei. Di solito quando lavoro a un mio fumetto smetto di leggere quelli degli altri, proprio per evitare di assorbire troppo e rischiare di imitare altri autori senza accorgermene. Spesso, comunque, mi viene detto che il mio stile ricorda quello di Max Baitinger, e dato che mi piace molto lo prendo come un complimento! E poi mi piacciono Olivier Schrauwen, Joe Kessler, ovviamente Anke Feuchtenberger. Ma non so dirti di preciso uno stile o un autore verso cui sono più orientata.
Insieme ad altri autori e autrici, fai parte del progetto Invisible Lines, che è stato protagonista di una mostra al BilBOlBul 2021. Cosa puoi dirci di questo progetto e della tua partecipazione?
Ho avuto modo di visionare il bando grazie ad Anke Feuchtenberger, di cui ero assistente. Mi sono quindi candidata, abbiamo fatto tre workshop in tre diverse città europee che hanno poi portato alla mostra e al volume. L’ho trovata un’esperienza veramente bella ed entusiasmante. Ho avuto modo di lavorare con tanti artisti talentuosi da varie parti d’Europa, con autori del calibro di Stefano Ricci e Yvan Alagbè. In genere non mi piacciono molto le antologie, ma i tre volumi che sono nati da questo progetto mi hanno soddisfatta, e l’esperienza mi ha insegnato molto.
Anna non è stato ancora pubblicato in Italia, mentre in altri Paesi è stato già tradotto, ad esempio in Francia per L’Atrabile. Quali sono stati i feedback che hai ricevuto? E speri che venga pubblicato anche nel nostro Paese?
Il feedback, è stato molto positivo e sicuramente vorrei che fosse pubblicato in Italia, sono in contatto con un editore e chissà che non si concretizzi qualcosa. Sono contenta di essere qui al Comicon e di essere già stata ad altri festival anche grazie ad Invisible Lines, per esempio al BilBOlBul o il Central Vapeur a Strasburgo. Questo progetto mi ha permesso di parlare del mio lavoro e di entrare in contatto con tanti autori e case editrici.
Grazie mille Mia per il tuo tempo e in bocca al lupo per il tuo fumetto!
Intervista a Johanna Wand
A margine dell’intervista abbiamo anche parlato con Johanna Wand del Goethe Institut Napoli che ha organizzato l’incontro dell’autrice con i ragazzi delle scuole.
Come è nata l’idea di portare in Italia proprio una mostra di Mia Oberlaender, pur non essendo il suo fumetto ancora pubblicato da noi?
Da oltre 15 anni, il Goethe-Institut e Comicon Napoli lavorano insieme per aumentare la visibilità della letteratura a fumetti in lingua tedesca sul mercato librario italiano. L’obiettivo è in particolare quello di interessare gli editori italiani ad autori tedeschi che sono ancora sconosciuti in Italia. Mia Oberländer appartiene a una nuova generazione di fumettisti tedeschi che stanno attirando l’attenzione con debutti molto significativi. Le storie e la loro estetica mostrano grande creatività e originalità. È bello farli conoscere al pubblico italiano.
In che modo si è svolta la collaborazione tra il Goethe Institut e il Comicon di Napoli?
Come ho detto, lavoriamo mano nella mano da molti anni. Questo include prima di tutto la selezione degli artisti di cui presentiamo le opere. Comicon è responsabile della selezione delle opere e del concetto della mostra, in stretta consultazione con il Goethe-Institut. Naturalmente, è sempre bello quando gli artisti sono anche sul posto e possiamo tenere incontri o workshop con loro all’istituto. Questo di solito accade durante il Comicon, ed è particolarmente utile perché tanti artisti di molti paesi si riuniscono a Napoli nello stesso momento. Quindi, oltre agli incontri con il pubblico napoletano, il festival offre anche l’opportunità di scambio e networking tra gli artisti. Questo tipo di collaborazione con Comicon si è dimostrato estremamente efficiente. Collaborazioni simili esistono anche con gli altri istituti culturali europei presenti sul posto, l’Instituto Cervantes e l’Institut français (che quest’anno hanno ospitato rispettivamente Alberto Monteys e Léa Murawiec, NdR).
La mostra è stata anche presentata a dei ragazzi delle scuole superiori che studiano tedesco: come è stato organizzato l’incontro e quale è stato il feedback dei ragazzi?
Infatti, abbiamo invitato espressamente per incontrare Mia Oberländer alcuni alunni dell’Istituto Matilde Serao di Pomigliano D’Arco che sono particolarmente interessati al fumetto. Durante una visita guidata alla mostra, l’artista ha fornito un’interessante visione del suo lavoro, dalla sua tecnica di lavoro ai temi delle sue storie. Ha parlato della sua carriera e degli artisti che l’hanno influenzata, come Anke Feuchtenberger. Fulcro dell’incontro è stato una lettura del fumetto da parte dell’autrice (queste letture, in tedesco Comiclesungen, sono molto comuni in Germania, NdR), che è stata una grande sorpresa per tutti. Leggere in pubblico da un fumetto? Questa è stata una nuova esperienza per i ragazzi. Mia ha letto alcuni capitoli della sua graphic novel di debutto “Anna”, mentre le singole immagini venivano proiettate su uno schermo, come un film, ma sempre una dopo l’altra. Il testo dei baloon e i suoni appartenenti alle immagini sono stati letti e realizzati da Mia stessa. Gli alunni erano assolutamente entusiasti. Mia Oberländer ora ha 15 follower in più su Instagram!
Intervista realizzata in collaborazione con il Goethe Institut di Napoli il 22 aprile 2022 in occasione dell’incontro sulla mostra COMICON OFF “Anna Piccologrande e altri equivoci. I fumetti di Mia Oberländer”.
Si ringrazia Johanna Wand per l’organizzazione e la disponibilità.
Mia Oberländer
Nata a Ulm nel 1995, vive ad Amburgo dal 2015. La sua graphic novel d’esordio Anna ha vinto il Premio per il fumetto 2021 della Fondazione Berthold Leibinger. L’artista sta attualmente studiando Visual Storytelling con Anke Feuchtenberger alla HAW Hamburg. Dal 2019 è co-organizzatrice del Festival del fumetto di Amburgo. Il suo lavoro è stato pubblicato, tra gli altri, su Le Monde diplomatique e Strapazin.