Cronache dal BGeek 2019: come costruire un immaginario

Cronache dal BGeek 2019: come costruire un immaginario

Francesca Romana Recchia Luciani conduce l'incontro "Come costruire un immaginario", chiacchierando con le fumettiste Barbara Baldi, Fabiana Fiengo e Arianna Rea in occasione del BGeek 2019.

Durante il BGeek 2019, svoltosi a Bari nei giorni 1 e 2 giugno, si sono tenuti diversi incontri. Uno di questi, dal titolo Come costruire un immaginario, ha visto coinvolte le fumettiste Barbara Baldi, Fabiana Fiengo e Arianna Rea, che hanno risposto alle domande di Francesca Romana Recchia Luciani, filosofa e docente dell’Università degli Studi di Bari.

Barbara Baldi, celebre illustratrice e colorista, ha al suo attivo numerose pubblicazioni per il mercato italiano, americano e francese, tra le quali si ricordano le recenti graphic novel Lucenera e Ada per Oblomov Edizioni, Sky Doll e Monster Allergy. Alterna alla sua attività nel mondo editoriale l’altra sua grande passione: il cinema. Per la Rainbow CGI, il più grande studio europeo nella produzione di film di animazione 3D, lavora come color key artist per il film Winx 2. Attualmente è anche illustratrice e colorista per diverse realtà internazionali, tra le quali Pixar, Disney, Marvel, Eli Edizioni, DeAgostini e tante altre.

Napoli, 1992. Dopo il liceo classico Fabiana Fiengo si laurea in Filologia Classica presso l’Università “Federico II” di Napoli. Contemporaneamente frequenta i corsi di Fumetto e Concept Art alla Scuola Italiana di Comix. Nel 2015 pubblica una serie di illustrazioni per il volume Scrittori in viaggio con i classici a cura di Giuseppina Scognamiglio per Guida Editori.
Negli anni successivi, in qualità di fumettista e vignettista, collabora con
Repubblica Napoli.it e Il Correre del Mezzogiorno, con la Fondazione Melanoma Onlus dell’Ospedale G. Pascale e con il Policlinico di Napoli. Nel 2018 un progetto per una serie di animazione, per la quale realizza i disegni, viene selezionato per lo Springboard Cartoon di Valenciennes in Francia, e nel 2019 lo stesso progetto, ampliato e modificato, viene scelto per partecipare agli Animation Production Days di Stoccarda. Sempre nel 2019 realizza per Sergio Bonelli Editore l’adattamento a fumetti del primo romanzo de I Bastardi di Pizzofalcone, serie poliziesca creata dallo scrittore Maurizio de Giovanni. Per “I Bastardi”, si occupa anche del design dei personaggi. [fonte: Sergio Bonelli Editore]

Arianna Rea, classe 1979, è una disegnatrice Disney, illustratrice, character designer. Dopo aver frequentato la Scuola Romana dei Fumetti, ha esordito nel 2005 nel mondo dei comics con Monster Allergy. Diventata fumettista, illustratrice e character designer per il settore jeunesse del mercato italiano e internazionale, lavora dal 2013 come fumettista e illustratrice per progetti editoriali Disney.

Francesca Romana Recchia Luciani: Approfitterò di questa occasione per far raccontare a ciascuna di queste ragazze la loro storia e il modo in cui essa si trasforma in immagini, in narrazione, con questa modalità affascinante di costruire un racconto completamente nuovo. Vorrei anche capire com’è l’esperienza di raccontare con il vostro stile altre storie. Partirei da Barbara Baldi: illustratrice, fumettista e colorista, ha una bibliografia straordinaria. Ha collaborato a opere che hanno colpito l’immaginario, a partire da Monster Allergy, le Winx e Fairy Oak; di recente invece è autrice di due libri, Ada e Lucenera.

Barbara Baldi: Quattro anni fa ho fatto una passeggiata in campagna con il mio cane, con la testa libera, serena, e a un certo punto è successa una cosa drammatica e scioccante. Io sono anzitutto una colorista, ma mi è venuto il desiderio improvviso e forte di raccontare questa storia in poche pagine. Mi sono chiesta come avrei fatto e la parola magica era “mi arrangio”. Sono corsa a casa e ho deciso di fare quattro paginette, le ho postate su Facebook ed è scoppiato il mondo: tutti i grandi fumettisti ed editori mi hanno scritto dicendo che dovevo fare la fumettista. Era un segnale e così è nato Lucenera. Ho un metodo per creare: mi sdraio sul divano, entro in un dormiveglia nel quale vedo delle immagini che vengono dall’inconscio e le metto insieme. Finché non mi emoziono in modo molto forte non le abbandono e poi decido di raccontare la storia. Non sapendo ancora fare bene un fumetto, preferisco immaginare un ipotetico film, così gioco con le immagini e costruisco una storia, un percorso. Quindi i miei libri, Lucenera e Ada, parlano di me, delle cose che conosco, dei traumi e dei drammi che ho avuto nella vita grazie a questo orco di mio padre e a una famiglia un po’ particolare. Disegnare queste cose brutte mi ha aiutato molto a liberarmi.

FRRL: Sono molto grata a Barbara, perché è proprio uno streap tease, è impressionante: avevo giocato su questa idea di partire dal sé, ma Barbara ci ha veramente sorpreso. Ho visto questi due libri bellissimi e Ada, che è la storia di un rapporto veramente molto duro con un padre padrone e cattivo, mi ha fatto pensare all’idea che potesse esserci un’autobiografia, ma tutto sommato è un’idea che un po’ ho rifiutato, perché non è bello pensare che ci possano essere delle relazioni così violente.

BB: Inizialmente mi vergognavo tantissimo e chiedevo a me stessa se veramente volessi calarmi le mutande in questo modo, poi me ne sono fregata e l’ho fatto.

FRRL: Forse lo sai: quello che hai appena fatto è esattamente pratica femminista, cioè raccontare questo sé che non si deve raccontare. Grazie Barbara.
Passo a Fabiana Fiengo. È giovanissima, viene da una formazione classica ed è su questo che la voglio solleticare. Adesso si dedica al fumetto I bastardi di Pizzofalcone, la messa in scena del racconto di Maurizio De Giovanni che ha avuto tantissimo successo, diventando anche una serie tv. Raccontaci un po’ la tua storia.

Fabiana Fiengo: Ho una formazione classica, perché ho studiato al liceo classico e mi sono laureata in Filologia classica, dopo aver studiato latino e greco tutta la vita. L’università che ho scelto non c’entrava niente con la mia passione principale, il disegno, e l’origine della scelta risale al periodo delle medie, quando in un bar conobbi un signore che aveva fatto l’accademia delle belle arti. Il suo insegnante gli diceva che faceva “bei disegnini”, ma che non era molto portato. Così abbandonò la possibile carriera e si dedicò ad altro. La cosa mi colpì profondamente, perché disegnavo sempre fin da piccola e iniziai a chiedermi: “e se anch’io non riesco in quello che mi piace?”. È una cosa che poi avevo rimosso, ma nel tempo mi è ritornata in mente, perché mi aveva segnato. Pensai a un piano B, che nella vita serve sempre, e mi sono data a studi che potessero portarmi a un altro tipo di attività. Contemporaneamente, però, ho studiato alla scuola di comics e mi sono resa conto sempre di più che il disegno superava la passione per il latino e il greco. Indubbiamente, qualche riferimento alla cultura classica nei miei lavori emerge sempre, perché ormai fa parte di me, è un elemento che comunque fa parte del nostro background socio-culturale, non solo del mio, visto che la tradizione favolistica da Esopo e Fedro in poi ha sempre posto degli animali antropomorfi al centro dell’attenzione e delle vicende umane. Avevo collaborato con giornali e riviste, ma il mio primo vero progetto importante è questo, che in realtà è nato per puro caso. Mi considero molto fortunata: feci un disegno omaggio a I bastardi di Pizzofalcone, ma era un disegno brutto in cui interpretavo in chiave antropomorfa i protagonisti. Erano tutti cani, perché per me i Bastardi erano tutti cani: infatti ereditano il nome da poliziotti corrotti che erano stati arrestati e avevano infangato il nome del commissariato. Loro, di contro, non dovevano essere dei bastardi, ma dei cani di razza. Ogni personaggio corrispondeva a un cane preciso, utile per identificarlo meglio, che gli si confaceva per il carattere. Banalmente, il poliziotto più aggressivo era un pitbull, l’anziano era il bassotto, il personaggio più arrogante era un volpino e il protagonista un dobermann chiamato “‘O cinese”, per via del taglio degli occhi. A volte l’idea conta più del disegno, infatti il direttore della mia scuola, Mario Punzo, vide il disegno, gli piacque molto l’idea e lo mostrò a De Giovanni, visto che la scuola di comics aveva già collaborato con De Giovanni e la Bonelli per i fumetti de Il commissario Ricciardi. Maurizio apprezzò molto, lo fece vedere alla Bonelli, che già stava pensando di adattare I bastardi di Pizzofalcone, ma non aveva ancora deciso quale volto dare ai personaggi.

FRRL: Dato che mi sono occupata moltissimo della Shoà, la scelta degli animali mi ha fatto pensare al celeberrimo Art Spiegelman. In Maus la distinzione tra buoni e cattivi è molto netta e alla base c’è uno studio approfondito della scelta.
Arianna Rea ha un curriculum impressionante, ha lavorato per Disney e se vuole ci racconterà anche questa esperienza. Io sono rimasta impressionata perché ci sono molte figure femminili nelle sue storie.

Arianna Rea: Ho sempre pensato che la figura femminile, nella Storia, sia molto più bella di quella maschile. Il mio è un lavoro di ricerca: il mio disegno non è realistico, ma è filtrato tra l’umoristico, il grottesco e il sintetico. Devo trovare un certo ritmo da imporre e mi viene più facile con le figure femminili. Aggiungo anche il fattore immedesimazione: tengo molto alla recitazione, probabilmente perché mi sono formata con i film della Disney, che ha il primato per quanto riguarda la recitazione dei personaggi. Quindi è una cosa alla quale sto molto attenta, che mi tocca particolarmente ed è fondamentale perché un disegno funzioni. La cosa che mi piace di più, che ho avuto modo di fare in Disney, è sicuramente il character design, lo studio del personaggio attraverso una fase più o meno lunga di ricerca. Mi preme soprattutto dare un’anima al personaggio, creare una personalità. Fin da piccola, quando giocavo, creavo delle storie semplicemente disegnando il personaggio. Avevo un quaderno pieno di facce ed era una sorta di character design che ha preceduto il mio lavoro.
Riguardo al discorso che faceva Barbara, devo dire che io mi sento un modello positivo da questo punto di vista, perché la mia famiglia mi ha sempre incoraggiata, i miei genitori sono sempre stati entrambi un modello positivo per me. A volte mi viene fatto notare che a questo fumetto, oltre a me, hanno lavorato molte donne ed effettivamente mi rendo conto che non ci avevo pensato. Per quanto mi riguarda la creatività non ha genere.

FRRL: Ringrazio Arianna, perché mi dà l’occasione di fare quest’ultimo giro fra voi tre: io non sono d’accordo sul fatto che la creatività non abbia genere. Penso che la creatività abbia un genere molto preciso, per una ragione molto semplice: perché i vostri racconti intrecciano le vostre ispirazioni con le biografie, cosa inevitabile visto che siamo il prodotto di una storia e che la nostra storia è dentro di noi. Questo è un elemento molto presente nell’impostazione della moderna modalità di pensare il femminismo. Il femminismo oggi sta tornando in auge in maniera molto importante grazie alla maggiore consapevolezza delle giovani donne rispetto alla generazione che le ha precedute: hanno la consapevolezza che noi siamo il frutto di un’autonarrazione. Voi ne siete la prova provata. Appena ti ho visto, Barbara, con questo capello rosso ho capito che c’è un’autonarrazione: le storie che racconta Barbara hanno elementi biografici di cui non si può fare a meno.
La mia provocazione è questa: vi invito a riflettere sul lavoro che fate, che state facendo e che farete, sulle idee future, sulla creatività. Quanto c’è di genere? Quanto c’è del fatto che siete giovani donne che raccontano delle storie dentro a queste storie? Vi invito a pensare al vostro lavoro come a un lavoro che può partire solo da voi che siete delle donne.

BB: Mentre facevo Lucenera e Ada, pensavo che dovevo dire qualcosa alle ragazze: “sveglia, dobbiamo farcela!”. Ho sempre avuto questa idea durante il mio lavoro, quindi forse può essere il mio fine. “Andate per il mondo, dovete farcela”, questo voglio dire con i miei racconti.

FF: Per quanto riguarda il disegnare anche un po’ se stessi, è una cosa che hanno notato quelli che seguono il progetto della Bonelli. Infatti, una volta il direttore artistico Luca Crovi mi disse che vedeva la mia faccia dietro ai disegni. Però, visto che si tratta di animali, non l’ho presa troppo bene [ride]. Io non sono autrice completa, ho dei progetti e sto scrivendo la sceneggiatura di una storia, ma al momento mi sto occupando delle storie di altri. Il mio disegno è femminile e si vede. Anche per la Bonelli è stato piacevole avere una new entry che fosse una quota rosa, perché nella casa editrice i disegnatori sono più maschi che femmine. Il femminile nel mio disegno sta nella cura in tutto, nei contorni, in un ricamo, in un oggetto. Mi hanno detto che le ragazze amano di più gli elementi di contorno, rendono più caldo il personaggio, lo vogliono al centro di un mondo che gli si confà.

AR: Io mi chiedo: quanto c’è di culturale e quanto c’è di biologico nell’essere precise? C’è uno stereotipo legato al genere? Per identificarmi donna, quanto mi è arrivato dalla mia formazione, dai modelli femminili, dalla mia necessità di sentirmi precisa, più sensibile, più delicata? Io non sono mai stata delicata in realtà, fisicamente ero molto più ingombrante di mio fratello. Quindi ho riflettuto più volte: so che c’è una differenza tra uomo e donna, ma non saprei definirla, non so dove si trovi. Insegnando in una scuola di fumetto, ho modo di vedere i lavori di ragazze e ragazzi. Ci sono casi, pochissimi, in cui donne disegnano più uomini che donne e amano, per esempio, il supereroismo, però di solito è più facile trovare donne che disegnano figure femminili. Anche se non conosco l’autore del disegno, generalmente riesco a capire se sia una femmina o un maschio, perché il segno di una donna è riconoscibile. Perché? Cerca di aderire a un certo modello, cerca di essere delicata oppure la sua delicatezza è insicurezza sociale? Il primo giorno di scuola passo per i banchi e a nascondersi sono più donne che uomini.

FRRL: Secondo voi, nella vostra esperienza o in quella di altre persone del vostro ambiente lavorativo, è più difficile per una ragazza lavorare nel vostro ambito? Non possiamo non tenere conto del fatto che questa è una cosa degli ultimi dieci, vent’anni. Mi auguro che la vostra generazione non abbia vissuto una forma di discriminazione, ma non è sempre stato così: prima in certi ambiti era molto difficile l’accesso alle donne.

BB: Io ho notato un po’ la cosa contraria: i fumettisti maschi fanno una grande fatica a rappresentare il femminile, le loro femmine sono dei cessi. Forse noi sappiamo fare di tutto, ma tanti maschi fanno fatica: tettone e culi, basta. Oggi non vedo le vere femmine meravigliose uscire dalle penne dei maschi, vedo un po’ di terrore.

FF: Anch’io ho notato che di solito le ragazze disegnano le femmine e i ragazzi i maschi, ma secondo me è anche dovuto al fatto che ci si conosce di più, si ha percezione del proprio corpo e della propria anatomia e questa viene riversata nel disegno. Poi ci sono i gusti personali.

AR: Per fortuna questo è un lavoro meritocratico: quando un’opera viene riconosciuta come di grande valore, lo è a prescindere dal sesso, perché la creatività non ha genere. Però, sicuramente a volte ho avvertito una differenza di trattamento. Mi si pone sempre la domanda: che differenza c’è tra un disegnatore e una disegnatrice? Quando sento la domanda mi cadono le braccia, perché la domanda ha alla base la percezione che una donna che disegna sia una cosa strana. Quindi è vero, siamo un modello positivo finché questa cosa viene percepita come normale dai nostri lettori. Disegnare già di per sé non è facile, non possiamo anche aggiungere il fatto che siamo femmine, forse siamo insicure e non ce la faremo. Se lo facciamo, siamo spacciate.

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