Durante un viaggio in nave dall’Europa all’America un oggetto magico e arcano viene rubato a uno dei passeggeri. Nel frattempo, fra l’equipaggio serpeggia il malumore e avviene un ammutinamento: solo tredici i passeggeri sopravvissuti all’evento, che iniziano a morire, uno dopo l’altro, a distanza di un anno esatto. Fra i superstiti c’è anche Cromwell Stone, che decide di indagare sulla vicenda.
La storia imbastita da Andreas, in realtà molto semplice e lineare, è un coacervo di fascinazioni da svariati generi narrativi e autori differenti. Possiamo ritrovarvi dentro elementi tipici del romanzo d’avventura ottocentesco (su tutti, R.L. Stevenson), una componente fantastica (M. Moorcock) e mystery e rimandi alle atmosfere del romanzo gotico, oltre che picchi orrorifici degni del miglior H.P. Lovecraft.
Il tutto è condito da riferimenti alchemici e di numerologia, in particolare sono ricorrenti i numeri tredici e ventitré in molti passaggi della trama, e da richiami alla tradizione celtica, con le ambientazioni dell’ultimo dei tre capitoli nella terra magica per antonomasia: la Scozia.
La vera consistenza del pensiero di Andreas è data da una riflessione filosofica sulla cosmogonia, che pone particolare enfasi sullo spirito e sull’energia, forze creatrici di un universo non finalistico che tende solo alla perpetuazione di se stesso (una sorta di conatus schopenhaueriano) e alla creazione continua e caotica da parte di queste forze/divinità, indifferenti alle loro creature, che si frantumano sempre più, lasciandosi alle spalle pezzi della loro essenza.
Dietro un apparente determinismo del cosmo, che sembra configurare un rapporto di gerarchia fra i vari creatori originari e non – esseri fatti di spirito ma che hanno una loro manifestazione tangibile alla bisogna nel loro vagare perpetuo – Andreas rivendica invece la centralità dell’uomo. Nelle battute finali infatti l’autore esalta il ruolo dell’anima e delle potenzialità sopite dell’essere umano, delle capacità dimenticate per via di una tendenza al pragmatismo che ha portato a trascurare lo stimolo dell’interiorità.
I personaggi chiave del racconto soffrono d’ineluttabile solitudine e si portano dietro un pesante carico di responsabilità: l’autore tedesco crea dei caratteri estremamente umani e realistici, regalando anche delle toccanti parentesi di vita familiare, che ricordano per certi aspetti la delicatezza ed empatia con cui Tiziano Sclavi trattava i temi della diversità nei suoi plot, su tutti in Johnny Freak.
Alla base della scelta di narrare una storia tutto sommato piana, sebbene molto solida e curata, vi è la necessità di fare da contraltare ad un’impostazione della tavola particolarmente articolata e che necessita attenzione nella lettura.
Andreas abbandona totalmente l’idea di uno storytelling d’impianto classico che abbia dei punti fissi (come ad esempio delle griglie), e stratifica le sue tavole in un avvicendarsi di decine di vignette.
Il racconto è così spezzettato e i cambi di ritmo sono netti ed efficaci: all’interno di tavole ricolme di vignette dedicare anche una sola pagina ad un rallentamento appare – per contrasto – una dilatazione estrema, se affiancata ad una successiva tavola in cui la velocità di lettura diventa bruciante, grazie a una miriade di vignette frammentate e mute che rappresentano azione concitata.
Il linguaggio a fumetti di Andreas è sfrenato e innovativo, l’autore adotta una soluzione diversa e ottimale per tavola, tanto che ogni pagina sembra raccontare una storia a sé, frutto di autonomo studio narrativo, sebbene il risultato finale non sia certo una costellazione di isole, ma un corpus vulcanico e in costante mutamento.
Un esempio di come la costruzione delle vignette vada di pari passo con la storia è rappresentato dall’evento in cui Phil Parthington Jr., separato dall’artefatto magico da cui dipendono le sue ricchezze, perde la ragione. Attraverso l’espediente grafico di uno specchio che si infrange alle spalle del personaggio, lo sfondo della tavola diviene lo specchio stesso, che si incrina e va in mille pezzi, creando una rifrazione numericamente esasperata del volto contrito di Parthington in una serie infinita di microvignette che rappresentano la resa della sua sanità mentale sgretolata.
A tale freschezza nell’organizzazione formale delle vignette non poteva che corrispondere una trama servente, priva di incongruenze e che sfrutta al meglio gli stilemi di genere che il lettore esperto ha ben presenti, per permettergli di entrare a pieno nell’efficace ritmo narrativo dato dalla stratificazione all’interno delle tavole.
Il tratteggio maniacale di Andreas, con la sua esasperata cura per ogni singolo dettaglio, dalle architetture, alle composizioni, sino alle inquadrature ultra dinamiche, lo rendono uno dei maestri incontrastati nell’utilizzo di questa tecnica. In alcuni momenti i bianchi esplodono di luminosità, per via dell’accostamento con le porzioni contigue riempite fittamente di nero dal tratteggio incrociato; nelle sue tavole si respirano le atmosfere dei grandi incisori come Gustave Doré, e in particolare di un altro grande maestro del tratteggio: il compianto Bernie Wrightson, con cui Andreas condivide anche il gusto per certe storie oscure.
L’uso di prospettive ardite con linee di fuga convergenti ad amplificare la profondità di campo – che ricordano molto le vertiginose scene di Moebius – garantisce inoltre ariosità e ordine alle tavole, per far da contraltare al sovraffollamento di vignette ed evitare che il lettore le senta strette.
Ulteriore segno dell’attento studio di Andreas è poi dato da alcune trovate peculiari nell’utilizzo del lettering, come ad esempio il momento in cui Parthingthon – muto dalla nascita e guarito dal possesso dell’artefatto magico – rinizia a perdere la parola: il passaggio è sottolineato dai testi nei balloon, in cui via via parti delle lettere iniziano a scomparire, sino a divenire irriconoscibili.
La trilogia di Cromwell Stone, pubblicata a fasi alterne fra il 1982 e il 2004 (e in effetti è visibile l’evoluzione stilistica dell’autore, se si mette a paragone la prima parte con la terza), è qui riproposta in edizione integrale, con una traduzione molto valida e tavole purtroppo ridotte; il che non compromette la lettura, ma di certo nell’ultima parte la affatica, per via di una riduzione eccessiva dei testi.
Opera ingiustamente sottovalutata rispetto ad esperimenti folgoranti come Rork, la trilogia di Cromwell Stone gode di una narrazione sapiente e coinvolgente, con dei personaggi che riescono ad entrare nel cuore del lettore, oltre a fare della cura formale e della sperimentazione sulla tavola il suo cavallo di battaglia, proponendo percorsi di lettura inediti e stimolanti.
Abbiamo parlato di:
Cromwell Stone. L’integrale
Andreas
Traduzione di Mauro Bianchi e Marco Farinelli
Magic Press, agosto 2017
144 pagine, brossurato, bianco e nero – 18,00 €
ISBN: 9788869133145