La forma è il contenuto - Nick Fury tra Steranko e ACO

La forma è il contenuto – Nick Fury tra Steranko e ACO

In questa sede ci siamo spesso soffermati sul disegno nei fumetti cercando di capirne la funzionalità narrativa sia all’interno di una tavola o di una sequenza più lunga. Quello che però spesso si tende a sottovalutare è l’importanza del disegno in sé come valore autonomo del linguaggio fumetto, il punto in cui forma e contenuto coincidono.

È vero infatti che il cosiddetto storytelling è un’arma fondamentale nell’arsenale di qualunque fumettista degno di questo nome, ma è altrettanto vero che non è l’unica caratteristica necessaria a un disegnatore: per farla breve è importante che “i disegni siano belli”.
Entriamo qui in un campo spinosissimo che spesso mi ha portato a discussioni, anche molto accese, con amici sostenitori del “de gustibus”. È ovvio che il giudizio personale su un’opera d’arte è sempre e comunque soggettivo e che ognuno di noi è influenzato maggiormente da determinati aspetti piuttosto che da altri. Nel campo dei fumetti poi, dove le variabili sono molteplici, il ventaglio di possibilità che influiscono su questa valutazione è ancora più ampio: a seconda che si prediliga un determinato layout, o che si cerchi maggiormente una coerenza formale rispetto a trattamenti più sperimentali, che si preferisca un tratto descrittivo a uno più iconico, il colore al bianco e nero e via dicendo, ci saranno diverse sfumature nella definizione di ciò che bello possa voler dire per ognuno di noi (il lavoro del recensore/critico in tal senso è interessante in quanto è, in ultima analisi, un’indagine su sé stessi alla scoperta dei motivi di tali predilezioni).

È però innegabile che viviamo più o meno tutti all’interno di un contesto culturalmente molto omogeneo e siamo circondati dagli stessi canoni estetici che sono facilmente individuabili e riproducibili da un artista dotato. Ne consegue che determinati stimoli visivi provochino nella maggior parte di noi gli stessi effetti sebbene con delle sfumature diverse, per cui, se non si vuole parlare di un concetto come “il bello oggettivo” si può discutere quantomeno su quello di “bello largamente condiviso e apprezzato”.

Detto questo, cosa sono i “disegni belli”? Possiamo dire che sono quei disegni che entrano in sintonia con il lettore e riescono a ottenere una risposta di tipo emotivo da quest’ultimo. Paradossalmente, seguendo questa definizione, un disegno che provochi disgusto può essere considerato un “bel disegno” (ammesso che l’intenzione fosse quella di provocare il disgusto ovviamente). So di spingermi ben oltre le mie capacità critico-analitiche tentando questo approccio ma mi azzardo a dire che il compito della rappresentazione visiva nel fumetto è quello di ottenere una risposta emotiva ancor prima che il lettore si accinga a decifrarne la componente narrativa.

Immaginate l’effetto emotivo che si prova di fronte a una splash-page nel momento in cui si volta la pagina. Ecco, una cosa del genere.

Qui prendiamo a esempio una delle prime tavole di Nick Fury #1 di James Robinson e ACO

L’elemento narrativo inteso in senso stretto qui è ridotto all’osso, solo tre vignette vanno lette in sequenza (quelle in cui sono presenti dei balloon) mentre le altre sono leggibili simultaneamente. Il canonico iato tra le vignette, piegato alle necessità stilistiche, perde la sua natura di separazione e acquista invece un ruolo di connessione tra le varie vignette, accomunate anche dall’uso del colore rosso, leggibili sincronicamente. A una primissima visione siamo già immersi nel contesto e nel mood della tavola e siamo allo stesso livello del protagonista: Nick Fury è una super-spia e i suoi gadget avanzatissimi gli permettono di avere una visione d’insieme del casinò non appena entratovi e anche noi lettori viviamo immediatamente la stessa esperienza. In aggiunta il design della tavola rimanda a un’atmosfera “pop” tipica dei film di 007 e, ai lettori più ferrati, il movimento circolare delle vignette riporterà alla mente il ciclo storico di Jim Steranko sul medesimo personaggio negli anni ’60, ottenendo così un altro responso emotivo sebbene da un pubblico più ristretto.

E su Steranko forse è il caso di spendere un paio di parole in più.

Jim Steranko entra alla Marvel dalla porta principale (letteralmente, si presentò alla scrivania di Flo Steinberg pretendendo di incontrare Stan Lee) con una carriera da pubblicitario/artista/musicista alle spalle con l’intento dichiarato di “lasciare il segno su un medium che ha amato sin da quando ricorda”.

Forte delle sue esperienze artistiche pregresse e cosciente della potenza intrinseca delle immagini Steranko comincia gradualmente a sconvolgere il Marvel Style contaminandolo e introducendo una miriade di influenze esterne al mondo del fumetto: dalla musica al design passando per la pop art. Similmente a quanto stava già facendo Steve Ditko su Dr. Strange ogni tavola di Steranko trasudava di una forza che era indipendente dalla storia narrata. Esemplare il caso della tavola quadrupla che, viste le possibilità editoriali del tempo, richiedeva l’acquisto di due copie di Strange Tales #167 (testata sulla quale venivano pubblicate sia Dr. Strange che Nick Fury), solo affiancando due copie aperte del fumetto infatti la vignetta poteva essere ammirata nella sua interezza.

Altro caso esemplare è rappresentato dalla sequenza di apertura di Nick Fury: Agent of S.H.I.E.L.D. #1

Non una didascalia, un balloon o un’onomatopea: nelle tre tavole domina l’assenza di segni grafici che non siano quelli del disegno stesso, un’assenza che balza subito all’occhio. Una scena totalmente silenziosa che fa più “rumore” di qualunque onomatopea. Qui Steranko si ispira a una celebre sequenza totalmente silenziosa di Rififi, film di Jules Dassin: nel film il regista decide di annullare qualsiasi tipo di suono, colonna sonora compresa, allo scopo di sottolineare la silenziosità necessaria ai protagonisti per portare a termine un furto molto rischioso.  Quest’assenza, combinata con la verticalità del layout e l’uso calibrato del colore, fa sì che il lettore si trovi subito coinvolto nella scalata di Fury alla base Hydra.

(Per un approfondimento sulla figura rivoluzionaria di Steranko e della sua arte mi permetto di consigliare questo bell’articolo di Andrea Fiamma su Fumettologica)

Torniamo adesso al Nick Fury di ACO: Robinson, che non è l’ultimo arrivato nel mondo dei comics, sa già che il disegnatore è abile a gestire le tavole dalla lettura sincronica per cui lo lascia correre a briglie sciolte ottenendo risultati di questo tipo.

Non c’è bisogno di “leggere” la tavola, come si volta pagina si percepisce subito il caos esplosivo del momento rappresentato: la gigantesca onomatopea in alto e la continuità grafica conferitagli dallo sfondo arancione fanno sì che il CRASH si propaghi per tutta la pagina “sparpagliando” le vignette come fossero carte da gioco gettate alla rinfusa su un tavolo.
Una menzione speciale va alla striscia centrale: normalmente le vignette orizzontali sono considerate stabili in quanto seguono il senso della lettura, qui ACO spezza questa stabilità smontando la striscia in tante vignette verticali e creando un movimento a zig-zag che conferisce ulteriore movimento alla tavola.

Anche se non è pertinente all’argomento dell’articolo mi permetto di sottolineare una finezza del disegnatore, al momento di essere letta una tavola del genere può risultare di difficile interpretazione per cui ACO sottolinea il movimento di Frankie Noble inscrivendola in una serie di cerchi, che riprendono l’impostazione grafica, circolare, dell’intero albo. In questa maniera la tavola resta comunque facilmente leggibile salvaguardando il ritmo dell’albo.