Il Batman di Tom King – Sulla commedia e la decompressione
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Il Batman di Tom King – Sulla commedia e la decompressione

L’obiettivo principale di questo blog è quello di comprendere come funzionino i meccanismi del linguaggio fumetto e del mondo che circonda la Nona Arte. In sintesi si cerca di scoprire cosa sottende alle centinaia di tavole che noi appassionati divoriamo ogni mese.

Si fa un gran parlare della cosiddetta decompressione del fumetto americano, chi mi conosce sa bene quanto questo termine mi sia poco simpatico ma gli riconosco la comprensibilità e l’immediatezza necessaria. Continuo però a detestare cordialmente quanti lo usano come metro di valore qualitativo, come se la sola quantità pagine potesse determinare automaticamente la bellezza di un fumetto.

Il Fumetto ha, come sappiamo, linguaggio ben preciso ma, come ci insegna Daniele Barbieri ne “I Linguaggi del Fumetto”, ha sempre attinto ad altri ambienti linguistici: l’illustrazione, la letteratura, la musica, il teatro e, in maniera preponderante, dal Cinema. Quest’ultimo è sempre stato il termine di riferimento narrativo principale della stragrande maggioranza dei fumetti popolari.
Negli ultimi anni però il termine di paragone principale sembra essere cambiato passando dal cinema alla TV e, nello specifico, alle serie tv che stanno declinando il linguaggio cinematografico in maniera del tutto nuova.
Senza più la “fretta” dovuta al formato ristretto della pellicola cinematografica, attori, scrittori e registi hanno potuto dare più respiro a trame, caratterizzazioni e interpretazione. Il tutto a vantaggio di una recitazione meno enfatica e più sfumata. Lo stesso sta succedendo al fumetto occidentale (i manga giocano in un campionato a parte) e il fatto che gli stessi autori pensino alle proprie serie in termini di “stagioni” (penso ad Aqualung di Paliaga e Carlomagno o anche a Orfani di Recchioni) credo sia sintomatico della coscienza di questa direzione.
Negli anni 60 Stan Lee introduceva e caratterizzava Peter Parker, lo trasformava nell’Uomo Ragno e gli faceva vivere la sua prima avventura nello spazio di 22 pagine mentre oggi Tom King impiega 20 numeri (da 22 pagine ognuno) per presentarci in maniera compiuta il “suo” Batman. Come abbiamo già avuto modo di vedere, negli Stati Uniti questo nuovo modo di intendere il fumetto seriale influenza e viene influenzato dallo stesso mercato che tende sempre più a premiare i volumi più corposi a scapito degli albi spillati.

Aldilà delle mere questioni cartotecniche però abbiamo delle reali necessità narrative sia da parte di chi i fumetti li fruisce, lettori ormai abituati a un certo linguaggio televisivo, sia da parte di chi li realizza, in cerca di nuovi modi di raccontare.
Per gli autori una delle sfide più interessanti e appaganti è quella determinata dai limiti stessi del mezzo di comunicazione, pensiamo a invenzioni come quella delle onomatopee e alle linee cinetiche nate dai limiti strutturali del racconto disegnato. Ogni ambiente linguistico ha in sé infatti dei punti di forza e dei punti inevitabilmente più deboli rispetto a un altro.

“In generale, la concisione favorisce l’intensità ritmica, e descrivere le azioni per immagini è indubbiamente più conciso che descriverle a parole […] là dove si raccontano sequenze di azioni di carattere pratico, visivamente rappresentabili, fumetto e cinema si trovano avvantaggiati rispetto al romanzo – il quale a sua volta potrebbe essere tanto più avvantaggiato quanto più le azioni sono di carattere virtuale o psicologico” (D. Barbieri – Semiotica del Fumetto)

Pertanto la sfida degli scrittori di fumetti del nuovo millennio è quella di approfondire questa dimensione psicologica approfittando del maggior spazio a disposizione: non più monologhi shakespeariani e fitti balloon di pensieri ma un modo di raccontare più dipendente dai dettagli inseriti in una dimensione narrativa più realistica e simile al nostro vissuto quotidiano (quando conosciamo qualcuno infatti, questi si rivela a noi gradualmente e non tramite enfatiche enunciazioni degne di un palco ottocentesco).
Proviamo a vedere nel dettaglio come Tom King abbia provato a fare questo lavoro inBatman #16
Il primo capitolo di I Am Bane comincia così (in realtà questa è pag.8 ma quelle precedenti sono una sorta epilogo/prologo).

King, prima di arruolarsi nella CIA, è stato assistente di Chris Claremont, l’uomo che ha fatto la fortuna degli X-Men tra gli anni ’80 e ’90, ed evidentemente ha appreso da X-Chris le basi per la narrazione seriale. Qui vediamo il primo espediente: una prima, sintetica, vignetta a tutta pagina ci illustra efficacemente il contesto. Siamo in un momento di relax (simile alle partite di softball degli X-Men) nel quale lettori e personaggi tirano il fiato al termine di un’avventura e si apprestano a viverne un’altra, in più il commesso del BatBurger, di fatto una figura parodistica, ci introduce in un’atmosfera da Sit-com.
Siamo quindi nell’ambito della commedia e, di conseguenza, si sfruttano le caratteristiche di concisione e immediatezza del fumetto che sono fondamentali in questo genere, una singola vignetta ci fornisce in un istante quello che in una narrazione verbale richiederebbe molto più spazio e tempo. Si entra qui in un circolo virtuoso: la commedia, per essere efficace, necessita di protagonisti fortemente caratterizzati e King utilizza i vantaggi offerti dall’Arte Sequenziale per offrirci un segmento comico e contemporaneamente darci uno spaccato psicologico di Batman e dei Robin. Personaggi che caratterizzano una commedia che, a sua volta, caratterizza i personaggi stessi. Si tratta del classico metodo della situation comedy nel quale le sfumature psicologiche emergono dalle dinamiche che si instaurano una volta inseriti i nostri eroi in un determinato contesto volutamente leggero.

Qui le dinamiche che regolano i rapporti tra Bruce e Duke vengono sottolineate nella contrapposizione espressiva dei volti dei due: da un lato l’immutabilità del volto di Bruce e dall’altra la variabilità espressiva (nei limiti di David Finch) di Duke. È la più classica situazione comico/spalla evidenziata dalla pausa silenziosa di vignetta 6 che prelude alla battuta dell’ultima vignetta.  Una gag che, senza snaturare i personaggi coinvolti, riesce a raccontarci i due senza doverceli spiegare.

A questa fa seguito un’altra pagina in cui si vedono i tre Robin (Dick Grayson, Jason Todd e Damian Wayne) interagire in maniera simile. In questo caso la gag è incentrata sull’acquisto di un Happy Meal per Damian (il più giovane dei tre) che, smacco ulteriore, contiene un‘action figure di Red Hood (Jason).

Nella sequenza successiva di due tavole King e Finch sfruttano un’altra delle caratteristiche forti del linguaggio Fumetto: il sincretismo. Ovvero la compresenza di più elementi sullo stesso piano narrativo.

Qui abbiamo due racconti che si svolgono contemporaneamente. Il primo, sottolineato dai dialoghi, tra Bruce, Dick e Duke è quello necessario al proseguimento della macrotrama: Batman informa i suoi alleati che Bane è in arrivo per riprendersi lo Psico Pirata (per una maggior comprensione degli antefatti leggete QUI) mentre questi sembrano disinteressarsi della gravità della situazione preferendo mantenere un tono scanzonato: le battute sui sandwich di Alfred e su Bruce che mangia l’hamburger con coltello e forchetta. Il secondo è quello che si svolge sullo sfondo: l’alterco, evidenziato in rosso, tra Damian e Jason incentrato sull‘action figure di cui sopra, anche questo volto a sottolineare il tipo rapporto, fraterno, tra i due Robin. Non serve specificare che un tipo di narrazione simile sarebbe impossibile, o quantomeno poco efficace, in un romanzo o in un qualsiasi tipo di racconto verbale. Questo è un tipo di espediente utilizzato spesso nel fumetto umoristico, come si può vedere dalla tavola di Don Rosa qui sotto.Ma, a differenza di quella di Don Rosa, che ha un intento puramente umoristico, la sequenza di King e Finch assolve anche al compito di fornire ulteriori dettagli sui personaggi e sulle relazioni tra loro: si percepisce chiaramente il rapporto conflittuale-affettivo tipico delle relazioni tra fratelli, si assegna un ruolo autoritario-materno alla figura di Alfred e uno protettivo-paterno a quella di Bruce.
King ci sta mostrando delle dinamiche famigliari, in virtù di quanto andrà poi a raccontare nella saga I Am Bane.

Per farla breve i due autori hanno affrontato e risolto un problema insito nei limiti degli strumenti a loro disposizione approfittando delle nuove possibilità offerte dal mercato: ovvero la coscienza di avere a disposizione un formato che non è più usa-e-getta, non necessita di essere auto-esplicativo, ma che è destinato a una pubblicazione in volume e a un tipo di lettore con delle nuove esigenze.

Sia chiaro che quanto detto non implica un valore in sé, il numero delle pagine necessarie per raccontare un evento non è indice di qualità ma solo di una scelta narrativa, lo Spider-man di Stan Lee non è meglio o peggio del Batman di King per via del numero di vignette e balloon utilizzati. Ogni autore utilizza lo strumento come ritiene più opportuno per raggiungere lo scopo prefisso. In questo preciso caso ritengo che King e Finch abbiano utilizzato in maniera efficace gli strumenti a loro disposizione.

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