Letteratura a fumetti: arabeschi sul Cinquecento
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Letteratura a fumetti: arabeschi sul Cinquecento

Nel mio percorso tra Letteratura e Fumetto, una tappa importante e ineludibile era costituita dal ‘500 letterario italiano. Durante un po’ di ricerche, ho scoperto che tale tema era stato ampiamente coperto da un bel progetto della rivista Arabeschi, che ha dedicato al tema uno studio sistematico di indubbio interesse, disponibile qui.

Il sito è particolarmente ben organizzato, e analizza la ricezione dei poemi letterari (includendo dunque anche la Divina Commedia, di cui ho già parlato qui su questo blog, che è ovviamente trecentesca e di argomento non cavalleresco, almeno in senso stretto). Ad Arabeschi quindi rimando per un’analisi dettagliata delle opere che qui, essendo inutile ripetersi, richiamo in modo sintetico e per quanto serve al mio ragionamento.

Il registro comico

Una prima vasta sezione è dedicata alle parodie disneyane, che tramite soprattutto i Paperi hanno sviscerato più volte la Commedia dantesca, nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1532) e nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (1585).

Va notato che l’approccio è, di fatto, diverso per ciascuno dei tre capolavori letterari: nella Commedia, i paperi (come già prima i Topi) vanno a estrapolare un elemento comico presente (fin dal titolo…) soprattutto nella prima parte, la discesa all’Inferno (che è da sempre quella che più affascina la letteratura popolare).

Nel caso dell’Orlando Furioso, la comicità è già insita nell’operazione di Ariosto (e non come un elemento di un pluristilismo, come in Dante, ma come il collante di fondo della vicenda cavalleresca) che decostruisce il poema cavalleresco medioevale tradizionale, dalla Chanson de Roland (XI sec.) in giù. Inoltre, Paperino è perfetto per farla emergere perché, come l’Orlando di Ariosto, egli è “furioso” per definizione; quindi la parte comica gli calza a pennello.

Nel caso del Tasso, invece, siamo nell’ambito di una parodia dissacrante proprio in virtù della seriosità controriformistica dell’autore. Un po’ come la Secchia Rapita (1614) di Alessandro Tassoni, che nel Seicento è anche una reazione a questo insistito ritorno a un registro tragico.

Dopo i disneyani, a occuparsi del ‘500 a fumetti in chiave sempre comica è  Marcello Toninelli, che, oltre a Dante e ai Promessi Sposi, di cui ho accennato nelle schede corrispondenti, ha adattato anche tutta la Gerusalemme a fumetti, in strisce comiche che – a differenza delle più libere parodie disneyane – restano fedeli al testo originale, parodiandone le situazioni passo-passo (anche i personaggi sono esattamente quelli originali, semplicemente deformati dalla sintesi cartoonistica dell’autore).

Il registro drammatico: Bonelli e fumetto non seriale.

Il fumetto bonelliano, invece, ha affrontato il tema cavalleresco in due fasi distinte: la prima, nel corso dei primi anni ’40, come reazione alla sempre più rigida censura fascista, che imponeva non solo un divieto sempre più rigoroso di eroi americani e stranieri, ma anche un sempre maggiore realismo del fumetto, e una sempre più ferrea “validità educativa” in senso tradizionalissimo. Ecco quindi che questo recupero del fantastico ariostesco serviva come “giustificazione” per la messa in scena di lotte, mostri, e così via.

Interessante notare che questa operazione di recupero anticipa di non molto quella letteraria (e altissima) di Italo Calvino nella Trilogia degli Antenati: un autore che ha sempre apprezzato il fumetto, come ho scritto qui,  e che potrebbe benissimo aver letto quelle storie da ragazzo.

Una seconda fase è quella che si apre col fumetto bonelliano contemporaneo, dagli anni ’80 in poi, quando si abbandona il prevalere assoluto del western in favore di un’avventura di ambientazione moderna, urbana, fantastica, da Martin Mystere (1982) in poi. In Mystere appaiono più volte citazioni letterarie di alto livello, elaborate con la raffinata e coltissima ironia di Alfredo Castelli; in altre serie, il riferimento si limita spesso all’episodio più famoso, quello di Astolfo che raggiunge la Luna con l’Ippogrifo, rielaborato in modo molto libero.

Un terzo momento, parallelo al secondo, è quello del fumetto “non seriale” (definizione che si va sostituendo, ultimamente, a quella più problematica di “autoriale”). Vari autori hanno affrontato il tema, a partire da un nome autorevolissimo come Sergio Toppi, che ha riprendo il tema orlandesco tramite il Teatro dei Pupi; ma si tratta anche di Lorenzo Chiavini, autore di un altro adattamento.

 

Sarebbe poi molto interessante analizzare l’influsso di Tasso ed Ariosto nella cultura popolare extra-italiana. In realtà però queste opere, pur riconosciute come fondanti a livello accademico per tutta la letteratura europea, hanno una diffusione minore nell’immaginario che non un grande predecessore come l’Inferno dantesco. L’immagine che più è rimasta, probabilmente, è appunto (come in Bonelli) l’Ippogrifo, soprattutto grazie alle illustrazioni tardo-ottocentesche di Gustave Doré, di enorme importanza per tutta l’arte grafica successiva. L’Ippogrifo appare nella copertina del suo Orlando illustrato, e diviene una immagine che incide sull’immaginario fantasy universale, dall’Arzach di Moebius in poi. In un caso la derivazione è chiara e molto importante (e poco nota): la cover emblematica di Métal Hurlant, rivista seminale della fantascienza francese a fumetti, il cui influsso è universale. Ecco: l’amazzone a cavallo di un drago in cover richiama in modo evidente la copertina di Doré (autore francese, che sicuramente era noto agli Humanoides Associés fondatori della rivista). Una citazione minimale, forse, ma indice del valore fondante del Cinquecento italiano anche per insospettabili e lontani eredi fumettistici, anche se ormai ridotto a meme minimale.

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