Il Grande Dio Pan di Machen e Fyda.

Il Grande Dio Pan di Machen e Fyda.

 

“Il grande dio Pan” di Arthur Machen è un classico della letteratura dell’orrore, che viene ora riproposto in un bell’adattamento a fumetti di Adam Fyda per NPE Editore, in una edizione cartonata di 168 pagine.

Adam Fyda, diplomato all’accademia di belle arti di Wroclaw, è un fumettista, illustratore, pittore e designer, i cui fumetti sono pubblicati in Polonia, Inghilterra e Italia. Online non vi sono molte informazioni al riguardo dell’autore, di cui però si può consultare il sito adamfyda.com.

 

 

Molto noto è invece l’autore del racconto originario. Arthur Machen, pseudonimo di Arthur Llewelyn Jones (1863 – 947), è stato uno scrittore gallese, noto in particolare per la sua produzione nel fantastico.

Nel 1881 la sua prima opera, Eleusina, è un poema ispirato ai misteri di Eleusi. In seguito, dopo molte altre attività culturali, Machen iniziò a occuparsi di racconto fantastico verso il 1890, in una scena fortemente influenzata da Stevenson e dal suo “Jekyll e Hyde”.

 

 

“Il grande dio Pan” (The Great God Pan) fu il suo primo successo, pubblicato nel 1894 da John Lane in Keynotes Series, rivista del nascente movimento estetico. Il romanzo di Machen ottenne forti critiche per i temi scabrosi trattati, sia pure in modo non così esplicito (questa versione a fumetti non li mette più di tanto in evidenza, mantenendo un atteggiamento piuttosto sobrio al riguardo); ma la cosa contribuì al grande successo di quest’opera.

Oggi è in parte meno ricordata, ed è un peccato, poiché si tratta indubbiamente di un capolavoro del gotico. Stephen King la giudica infatti “one of the best horror stories ever written. Maybe the best in the English language.”.

 

 

Pan in quest’opera diviene un simbolo delle indomabili e ancestrali forze pagane della natura, secondo un simbolismo diffuso dell’epoca (pensiamo, poco dopo, alla “Pioggia nel pineto” e a tutto un certo panismo dannunziano, da noi) ma lo sviluppo che ne dà Machen ha una sua unicità.

Lo stesso Lovecraft la analizza con cura e attenzione nel suo testo critico Supernatural Horror in Literature (1926), e trae forse alcuni spunti da un certo stile evocativo di orrori ancestrali, sovraumani, in particolare ne L’orrore di Dunwich.

 

 

L’adattamento fumettistico è presentato come “ispirato a” l’opera di Machen, e in effetti l’adattamento, pur fedele allo spirito, opera alcune modifiche del resto necessarie alla trasposizione.

I disegni sono in bianco e nero, in mezzatinta, con un segno minuzioso, dal tratto sottile e accurato, che si concentra a mio avviso in particolare sullo studio di atmosfere e di espressioni dei vari protagonisti. Le ambientazioni, tendenzialmente, sono piuttosto cupe, sfruttando abilmente le penombre vittoriane sotto il profilo espressivo.

 

 

Anche il Lettering minuto, in stampatello minuscolo, in un carattere lievemente desueto, contribuisce a evocare quel gusto XIX secolo di cui è pervasa l’opera.

Particolarmente brillante l’espediente grafico con cui si apre e si chiude l’opera. L’esperimento folle con cui si apre la storia è evocato solo con le battute di dialogo su uno sfondo nero, bianco, o con il solo dettaglio dell’occhio a tutta pagina.

 

 

L’occhio si tramuta nel sigillo esoterico già apparso nel frontespizio di questo primo capitolo. Circolarmente, questo sfumare nel nero delle tavole tornerà nel drammatico finale.

Benché l’opera sia in bianco e nero, appare sporadicamente l’uso del blu per marcare dettagli significativi, in un uso ben calibrato e raro che rende l’espediente più efficace, che sottolinea soprattutto il tema dell’occhio, del vedere, che percorre tutta l’opera.

Dal secondo capitolo in poi, dopo il total black dell’inizio, la storia presenta disegni più tradizionali, ma c’è comunque un taglio delle vignette che crea inquadrature irregolari, originali, che segmentano la scena in modo a volte volutamente inquietante.

 

 

Nonostante il ritmo narrativo sia tradizionale, non mancano tavole particolari come p. 47, dal taglio “verticale”. Come detto, appare grande accuratezza nella resa di atmosfera, soprattutto nelle ambientazioni tenebrose, di grande effetto espressionistico. Aiuta anche la cura dei particolari – il diavolo è nei dettagli – come la citazione del Crono di Goya (vedi qui sopra), e di altri dipinti inquietanti in altre pagine.

 

 

Anche il rimando a Whitechapel, pur senza ulteriori connessioni alla storia di Jack The Ripper, ha un forte potere evocativo, dato che le vicende dello squartatore si erano tenute nel 1888, pochi anni prima del libro.

 

 

Nel complesso, quindi, un lavoro riuscito, in grado di sedurre soprattutto gli appassionati di certo coté gothico d’un tempo.