Dieci anni dopo la morte di Batman, di Robin, di Joker e del commissario James Gordon in una devastante esplosione, Selina Kyle alias Catwoman esce dalla prigione in cui era stata incarcerata subito dopo la tragedia, incolpata di quanto accaduto. Quella che trova è una Gotham City molto diversa, che vede la sua sicurezza affidata a uno speciale corpo di polizia dotato delle tecnologie e delle insegne del Cavaliere Oscuro e che ha come sindaco un Due Facce apparentemente rinsavito, riappropriatosi con fermezza del nome e dell’identità di Harvey Dent.
Città solitaria non è solo l’ennesimo elseworld, come si potrebbe superficialmente concludere leggendone la sinossi: Cliff Chiang sceglie di ambientare la sua storia in uno scenario alternativo perché è il contesto ideale per mettere su carta tematiche adulte e complesse che mal si sarebbero sostanziate senza la possibilità, banalmente, di eliminare Batman dall’equazione.
La perdita del vigilante, oltre ad aver segnato in maniera determinante l’intera metropoli, assume un significato particolare per la protagonista che con l’Uomo Pipistrello aveva intessuto una relazione sfaccettata e una collaborazione “professionale” che viene ben esplicitata nei vari flashback disseminati per il volume. Il senso di colpa e la sindrome del sopravvissuto sono due punti cardine all’interno del progetto di Chiang, che ha l’evidente obiettivo di lavorare sulla figura di una donna forte, non più giovane ma con ancora tanto da dimostrare, per quanto intimamente ferita e smarrita nelle responsabilità che ritiene di avere.
Lonely City diventa così una sorta di corrispettivo de Il ritorno del Cavaliere Oscuro cucito addosso a Catwoman, anche se orchestrato con un approccio e con un intento molto diversi dalla seminale opera di Frank Miller che ridefinì il mito di Batman.
Il titolo stesso dell’opera fornisce subito le coordinate tematiche su cui si basa il lavoro dell’autore: c’è infatti una malinconia di fondo che permea i quattro lunghi capitoli che costituiscono la miniserie e, nonostante nel corso dell’avventura la protagonista abbia modo di collaborare e relazionarsi con diversi comprimari, il senso di isolamento che Selina prova rimane immutato, incapace di trovare qualcuno che possa davvero capire e condividere con lei il mondo che la circonda.
In tal senso sono interessanti i tentativi di connessione che la donna indirizza verso la figlia del commissario Gordon, Barbara, che probabilmente individua come una figura colpita quanto lei dal lutto e dai rimpianti; tentativi che rimbalzano però contro un muro di gomma dal momento che l’ex Batgirl è “andata avanti” e, nonostante tenga ben viva in sé la memoria del padre, ha sostanzialmente messo da parte l’epoca dei costumi e delle imprese eroiche per provare a cambiare le cose attraverso il suo ruolo di consigliera comunale candidata alle elezioni del nuovo sindaco di Gotham.
Ci sono altri livelli di lettura che il progetto offre.
Risulta sicuramente stuzzicante vedere la versione agée di alcuni nemici della rough-gallery batmaniana quali l’Enigmista, il Pinguino, Killer Croc e Poison Ivy, sia per come Chiang li ritrae con diverse primavere in più sulle spalle, sia per il modo in cui decide di caratterizzarli: Nygma risulta più posato, Ivy ha raggiunto una maggior sicurezza personale e una diversa ottica per portare avanti la propria missione ambientalista, mentre Penguin porta avanti i suoi affari in maniera non dissimile da quanto ha sempre fatto.
C’erano tanti modi per immaginare l’ipotetico futuro di questi personaggi, così come di altri quali Due Facce o Barbara Gordon, e non è detto che quello scelto da Cliff Chiang sia il migliore; ma è sicuramente quello che meglio si adattava al tipo di storia che ha voluto realizzare, perché queste versioni si amalgamano molto bene nell’intreccio impostato e funzionano ottimamente nelle parti di alleati o avversari di Catwoman all’interno di questo scenario e delle atmosfere che lo permeano.
A proposito della protagonista, è proprio il lavoro su di lei a spiccare su tutto: la troviamo nei panni di una donna vicina alla cinquantina, orgogliosa e sofferente, più nell’animo che nel fisico, piegata dagli eventi ma determinata a scoprire l’ultimo segreto di Bruce Wayne, partendo da un indizio che l’eroe mascherato le aveva affidato prima di spirare.
C’è un misto di altruismo, curiosità e volontà di esaudire l’ultimo desiderio della persona amata nell’ostinato intento della donna, un mix che ci restituisce una figura femminile matura, solida, disincantata ma al contempo abbastanza determinata da mettersi in gioco nonostante i rischi, l’età, le difficoltà. Nelle mani di Cliff Chiang, Selina Kyle diventa un personaggio tragico, indomito e catalizzante, una vera figura ispirazionale che il lettore non può che seguire ammirato e che infatti presta involontariamente il fianco ai cittadini che manifestano per le strade, i quali decidono di indossare una maschera da gatto.
Una donna che inciampa, sbaglia e fallisce, ma che non la dà vinta a chi le mette i bastoni fra le ruote e che ostinatamente persevera.
Anche la risoluzione del mistero che Catwoman vuole a tutti i costi svelare, quasi che le servisse per trovare un senso a tutto quel dolore, conserva in sé gli elementi tematici dell’opera.
Una delle riflessioni sottese porta infatti i personaggi a chiedersi se gli anni degli eroi mascherati che combattevano a suon di pugni fossero serviti a qualcosa oppure no; la stessa Barbara, nel primo capitolo, osserva che i soldi di Bruce Wayne hanno portato più risultati in poco tempo di quanto ottenuto in anni di vigilantismo, sul fronte della legalità.
Nel valeva la pena?, è quindi la domanda che si pone la protagonista verso la fine della storia. La risposta forse non è univoca, e ciascuna pedina in gioco deve trovare la sua a seconda del proprio sistema di valori e di ciò che ama e in cui crede. A Gotham City come nella vita reale.
Questo complesso tessuto morale ed emotivo viene gestito dall’autore con perizia, imbastendo da una parte una trama piuttosto lineare che si concede giusto un paio di colpi di scena ben assestati nel capitolo finale e dall’altra dialoghi asciutti e incisivi che denotano una buona padronanza della scrittura.
Azzeccata è anche la scelta di ricorrere alle didascalie di pensiero per Catwoman come voce narrante della storia, guardando direttamente al voice over dei film hard-boiled in un modo che appare sensato per il tenore della vicenda e che richiama implicitamente anche il Batman di milleriano.
Parlando del disegno, il tratto di Chiang è quello che abbiamo imparato a conoscere negli anni: sobrio ed elegante, riesce a mettere su carta personaggi dotati di vari dettagli – nei volti, negli abiti, nelle espressioni – senza risultare manierista o caricandoli troppo. È un lavoro di sintesi e sottrazione che porta a un risultato apprezzabile, nel quale le figure umane risaltano senza prevalere sulla scena.
Encomiabile è anche l’omaggio verso i diversi costumi indossati da Catwoman nel corso della sua carriera fumettistica, così come si rivelano calzanti le varianti create per l’occasione: il felpone con cappuccio sopra la tuta nera e il poncho che simula l’aspetto di un mantello sono tocchi di stile non banali e che rendono bene l’idea di una vigilante “urban style”.
Gli sfondi, parimenti, seguono lo stesso dettame, contestualizzando i vari momenti senza eccessi ma fornendo comunque tutti gli elementi utili a connotare quel particolare passaggio narrativo: gli edifici sono ritratti in un suggestivo stile liberty che rende bene l’idea estetica di Gotham City, mentre i bassifondi e i quartieri più poveri della città hanno quell’aria trasandata suggerita da tocchi particolari come cassonetti, sporcizia, fanghiglia e architetture dall’aspetto grezzo e poco definito.
Discorso a parte per la bat-caverna, che Chiang illustra rimanendo fedele agli elementi ormai da tempo iconici di questo spazio, quali il penny gigante, la carta da gioco e il tirannosauro meccanico, e personalizzandola quel tanto che basta quando inserisce una sezione per i memorabilia che Batman avrebbe conservato per ricordo. L’ambiente viene reso in maniera austera e maestosa come si confà a un posto del genere, anche in virtù del significato che riveste all’interno della trama quale obbiettivo ultimo della missione di Catwoman.
La skyline del centro di Gotham City, infine, con i suoi moderni palazzi di vetro, è la protagonista dell’ultima tavola e assume un senso particolare nella presa di coscienza e nella definitiva maturazione di Selina Kyle: le linee nette e l’aspetto cinetico delle alte torri di vetro, unite ai colori caleidoscopici che le illuminano nel cielo notturno, forniscono quasi una sfida motivazionale per la protagonista e e un incoraggiamento a guardare ancora verso l’alto per andare avanti.
L’edizione italiana di Città solitaria si presenta come un solido cartonato nel formato 21.6X27.7 cm della maggior parte dei titoli della linea Black Label; dotato di una sovracoperta con alette e apribile che, sul retro, pubblica alcuni bozzetti di Chiang sull’aspetto dei personaggi e sui loro abiti, il tomo è un oggetto elegante e piacevole.
All’interno troviamo una competente introduzione di Elena Pizzi che tratteggia efficacemente personaggio e opera mentre, in coda alla storia, viene presenta una galleria con le copertine originali e vari sketch e studi grafici dell’autore nelle diversi fasi di lavorazione del fumetto.
Cliff Chiang realizza un volume che entra immediatamente e di diritto tra i migliori titoli dedicati alla Gatta, che riesce ad andare oltre all’approccio supereroistico mainstream per affrontare tematiche serie con un piglio intenso e sentito.
Abbiamo parlato di:
Catwoman: Città solitaria
Cliff Chiang
Traduzione di Sveva Scaramuzzi
Panini Comics, 2023
224 pagine, cartonato, colori – 39,00 €
ISBN: 9788828719236