Cicatrici

Cicatrici

Warren Ellis, Jacen Burrows Magic Press 2004 - ppg. 178 b&n - 13,00euro

Cosa c’é di più straziante e doloroso che la perdita di un proprio caro? Warren Ellis risponde: l’uccisione della propria bambina.

Da questo assunto impietoso, Ellis cerca di raccontare l’orrore come nessuno mai ha fatto in un libro a fumetti. Scevro di violenza gratuita, in un mondo dove la violenza è spettacolo voyeuristico, questo Cicatrici risalta per le sue intenzioni ambiziose. Nel raccontare la vicenda, di per se non originalissima, di un detective ossessionato dall’assassino della propria figlia, lo scrittore americano si concentra soprattutto sul dolore del protagonista e gioca sui sentimenti del lettore che, angosciato da un processo di identificazione quanto mai poco opportuno ed indesiderato, difficilmente troverà questa lettura un innocuo passatempo. Mostrarci con un linguaggio semplice e assolutamente non retorico una delle più grosse paure che un genitore può avere è un esercizio stilistico che Ellis padroneggia con eccellenza. L’orrore che viene raccontato è meno importante della disperazione e delle cicatrici che il detective dell’omicidi John Cain si porta dietro, ed è meno rilevante dell’orrore che ci possiamo immaginare e che sentiamo come nostro nella lettura di questo fumetto.Pur non essendo un capolavoro, Ellis scardina ancora una volta con inusuale scaltrezza un altro limite del fumetto di genere americano, dove quasi sempre il dramma narrato sappiamo essere finzione e i mostri in esso contenuti, in realtà, ci servono per non aver paura della vita, quella vera. Ma in questo libro, per una sorta di processo anti-catartico, questo concetto è ribaltato e alla fine della lettura, infatti, il sollievo non arriva. Perlomeno, per me è stato così.

Poche volte nei fumetti ho provato sensazione del genere, come invece mi è capitato più spesso al cinema (faccio l’esempio del recente Mystic river di Clint Estwood) dove queste argomentazioni e questi aspetti estetici, tutt’altro che banali, già da molti anni, con fortune alterne, sono stati attenzione di vari registi.
Ci troviamo comunque di fronte ad un prodotto seriale, è bene dirlo, che non ha la pretesa di scalare vette artistiche ed aprire la strada a nuove sperimentazioni. Cio’ è dimostrato dal linguaggio semplice e diretto che lo scrittore usa, privo di iperboli e di didascalie ingombranti, ma raffinato nell’uso di sequenze molto cinematografiche dove l’utilizzo di lunghi silenzi amplifica il senso di angoscia e la solitudine del dolore dello sfortunato protagonista.

Gli stessi disegni di Jacen Burrows, già collaboratore di Ellis su Blu Scuro (altro prodotto dell’Avatar, già presentato in Italia anch’esso dalla Magic press) e su Bad World (pessimamente proposto in Italia dalla fu-Lexy), per quanto interessanti nella loro sobrietà di linee filiformi, per l’assenza di pieni neri e per le chine leggere e nervose, raccontano la storia con una metodologia abbastanza consueta per il fumetto americano, giocando con le inquadrature come farebbero per un serial poliziesco, con buona sintesi ed efficacia narrativa.
Niente per cui strapparsi i capelli, anche se siamo in bilico tra una piacevole normalità stilistica ed alcune più che buone vignette dove l’uso di prospettive eccentriche (ma mai esageratamente vertiginose) e lo zoomare su alcuni particolari, fanno di questo disegnatore una sorpresa che dovremo tener d’occhio in futuro.

In definitiva, un buon fumetto che ha la pecca di avere uno svolgimento non all’altezza delle ambizioni iniziali e di perdersi un po’ nel finale, forse scontato, sospeso com’é nel dire/non dire qual’é veramente la pagina che dovremmo vedere (ma che ci viene tenuta nascosta) dopo l’ultima.

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