Al termine della conferenza tenuta dall’autore nei locali della libreria Feltrinelli, abbiamo realizzato l’intervista che segue, all’interno di un comodo salottino in un bar del centro di Bologna.
Legenda:
G – Guglielmo Nigro; A – Alberto Casiraghi
G: Come hai scoperto il fumetto da lettore e che percorso hai fatto per diventare un autore?
Ho cominciato a seguire i fumetti da piccolo e allora ne leggevo tantissimi, ma da adolescente ho un po’ rallentato, tanto che quando ho deciso di iscrivermi a una scuola di disegno per cominciare a disegnare seriamente non stavo assolutamente leggendo fumetti. La cosa proprio non mi interessava, tant’é che ho fatto tre anni di studio di altro tipo: due in una scuola di grafica, per diventare poligrafico, e uno in una scuola di belle arti più indirizzata verso l’arte contemporanea.
Quando ho cominciato a disegnare professionalmente ho fatto soprattutto l’illustratore nel campo della letteratura per ragazzi, oltre a fare dei carnet di viaggio. Per caso poi sono entrato in un atelier di artisti, tra i quali c’erano David B. e Lewis Trondheim, e proprio loro mi hanno ridato il gusto per il fumetto che avevo da piccolo. Comunque fin da quand’ero bambino ho sempre disegnato, non necessariamente fumetti, senza mai fermarmi.
G: C’era un contesto familiare che ti spingeva a disegnare o era una tua esigenza?
Non pensavo di farne un mestiere da adolescente, nemmeno a diciotto, diciannove o vent’anni. Assolutamente. È capitato più tardi. Tant’é vero che ho deciso di intraprendere gli studi di disegno molto tardi, attorno ai diciotto, diciannove anni e disegnare BD a ventitré.
L’unica cosa che i miei genitori mi hanno detto, senza mai incitarmi o dissuadermi, era di farlo, basta che fosse un lavoro con cui guadagnarsi da vivere.
A: Sei passato da un disegno di illustrazione a un disegno che invece è finalizzato a raccontare. Questo scarto, questo cambiamento è stato difficoltoso? C’é voluto uno studio specifico o è stata una cosa naturale dettata dalle tue letture precedenti?
In realtà mi sono subito lanciato nel mondo del fumetto con un albo (La Révolte d’Hop-Frog, su testi di David B., inedito in Italia) e sono stato consigliato molto da David B. e Trondheim. Già lavoravo come illustratore e andava tutto bene.
Lewis mi ha raccomandato affinché il mio disegno non dovesse essere bello e fine a sé stesso, ma che raccontasse qualcosa. All’inizio ero molto attento a questo per adattarmi, e quando sbagliavo i miei compagni me lo rimarcavano, facendomi notare dove il mio lavoro non fosse efficace. Questo mi ha aiutato molto e ho compreso di albo in albo come il mio lavoro diventasse sempre più narrativo e sempre più in sintonia con la BD. Non ho mai avuto dei momenti in cui ho dovuto fermarmi per riflettere. Ho cominciato a lavorare subito, ponendo la questione e risolvendola direttamente sulla storia di David B.
G: Ne parlavamo stamane all’incontro con Paul Gravet. Nel fumetto mondiale c’é questo aspetto, più che nelle altre arti, che è quello di imparare facendo. Questo porta a una grande consapevolezza del mezzo. Cosa ne pensi?
Sì, sono d’accordo. Non penso che la BD sia un qualcosa che si può imparare a fare esclusivamente con l’acquisizione di una tecnica. Questo può valere sicuramente per il solo disegno, per il quale ci sono dei metodi di insegnamento e delle tecniche con cui fare pratica. Per il fumetto non credo che possa esistere un vero metodo di insegnamento. Bisogna essere in possesso di una volontà e di un’urgenza personale. Bisogna dirsi “devo raccontare questa cosa” e chiedersi “come lo posso fare?”. E quindi farlo.
Non a caso i migliori insegnanti che ho avuto – e penso di esser stato fortunato – sono stati i compagni con cui dividevo l’atelier, che mi suggerivano “questo va bene” o “questo non funziona”, per cui la storia sulla quale si stava lavorando cambiava e si sistemava in base ai consigli che ognuno dava agli altri. Un’altra cosa importante è avere iniziato a fare fumetti supportato da una storia che non era la mia, ma di cui avevo fiducia. Perché, evidentemente, cominciare a raccontare una storia e disegnarla contemporaneamente è molto difficile, se sei alle prime armi; ma se c’é quell’urgenza, allora questo può spingerti a realizzarla al meglio possibile.
Non è impossibile, ma è una cosa per cui viene richiesta tanta maturità e di solito quando si è giovani e si comincia a fare questo tipo di attività non se ne ha abbastanza. Il problema è imparare ad essere semplici e quando si è agli inizi e inesperti si è invece complicati.
Trovo che la BD sia un cammino molto personale e intimo e faccio fatica a comprendere come la si possa insegnare. Si può lavorare sul disegno, ma non si può spiegare come diventare autori, perché la BD è troppo particolare. Il tratto è solo una parte del fare fumetti. Allo stesso modo non si può imparare ad essere uno scrittore, a scrivere un romanzo, ma si può invece lavorare sullo stile.
G: E questi suggerimenti di David B. e Trondheim in che direzione erano?
Erano molto concreti e spesso riguardavano le inquadrature. La cosa che più mi rimproveravano era che l’immagine doveva raccontare e non esser bella ma fine a se stessa, e che i personaggi, una volta sulla carta, dovevano essere più vivi possibile. Dei piccoli consigli, molto semplici, molto chiari, e non ci sono mai state grandi discussioni sul metodo.
G: Pero’ è un approccio tipico di quel gruppo d’autori. In Francia ci sono altre scuole fumettistiche più attente alla forma e alla bellezza del disegno, no?
Lo stile viene semplicemente dalla voglia di raccontare e dall’urgenza di doverlo fare. Perché quando racconti una storia, al suo interno ci sono dei momenti in cui non puoi fingere. Sei obbligato a usare tutti gli strumenti che conosci e anche a superarli per capire quello che tu vuoi dire. A partire da quel momento dimentichi il tuo stile. Il tuo stile è un limite. È quello che tu non riesci a fare.
È un po’ come quando firmi: non pensi a come farai la tua firma, è semplicemente una scritta fatta rapidamente. Quella diventa e resta così. Lo stile non è un qualcosa per cui tu ti prendi la testa e pensi: “che cosa devo fare?” È un mix di quello che si ama, di quello che non si riesce a fare, dei propri limiti, di quello che non sappiamo fare e che quindi ci sorprende nel momento stesso in cui ci troviamo a farlo. E questa cosa si ripete ogni volta che si ricomincia un nuovo lavoro. Insomma, non bisogna cercare di avere stile, ma semplicemente fare ciò che va fatto. Lo stile è composto da un insieme di piccole cose. E spesso la via verso il bello passa dalla semplificazione.
A: Dici che raccontare una storia deriva da un’urgenza creativa, narrativa, espressiva. Vorrei capire pero’ quanto ci sia d’istintivo e quanto invece c’é di ragionato nel momento in cui devi costruire anche la singola tavola, se non la storia intera. Insomma, al di là dell’urgenza di narrare quanto ti fermi per capire come devi narrare?
Non c’é una regola. È come srotolare un gomitolo: a volte, semplicemente, trovi un filo, tiri e si srotola tutto. A volte invece devi perderci del tempo, impegnarti. Capita a volte di perdersi perché questa massa cresce da sola e poi improvvisamente si scioglie e inaspettatamente la storia arriva da sola. Pero’ c’é un’attesa, c’é una sedimentazione e passa del tempo prima che scocchi la scintilla.
G: Abbiamo visto alcune tue tavole nella bella mostra al museo navale, alcune a matita sulle quali poi tu hai realizzato le tavole finite, come fossero una brutta copia. Erano molto dettagliate, elaborate, non differivano moltissimo dalla versione finale. La lavorazione avviene sempre in questo modo?
Prima lavoravo con la lavagna luminosa e poi sostanzialmente inchiostravo le matite, ma siccome è un procedimento molto noioso ora faccio la matita e ci inchiostro direttamente sopra. Non uso più la tavola luminosa, perché oltre tutto fa molto male agli occhi. Le matite che avete visto in mostra erano matite sulle quali ho utilizzata la lavagna luminosa per inchiostrare.
Generalmente all’inizio di un albo le matite sono più precise e poi più avanti le si lascia andare. Si ha bisogno di fermarsi nel dettaglio mostrando tutto, si lascia meno all’improvvisazione e all’inchiostrazione, ma mano a mano che la storia procede ci si lascia andare di più e le matite si fanno sempre meno definite. Si riconoscono meglio i personaggi, per cui basta fare un occhio e poi attorno non serve più nulla.
A: Qualche anno fa, all’uscita in Italia di Riduttore di velocità, scrissi in un articolo in cui interpretavo il viaggio che il protagonista faceva su quella nave da guerra come un viaggio d’iniziazione. Un viaggio, tra l’altro, in due direzioni: orizzontale sul mare e verticale nelle viscere della nave. Un percorso nella vita e dentro sé stessi. Ho in qualche modo compreso le tue intenzioni?
C’est beaux! (Blain, arroscise e ride, ndr.). Non ci avevo pensato!
Io non posso dire queste cose dei miei fumetti perché è il tuo lavoro dirle. È un’interpretazione che mi piace molto. Una cosa molto divertente è ascoltare quello che la gente dice del tuo lavoro perché spesso si scoprono cose che non si erano nemmeno pensate.
G: Nella conferenza che hai tenuto poco fa hai parlato dei tuoi lavori sui pirati, sul western: storie avventurose e picaresche. Quali sono gli elementi in quei generi che sono ancora oggi efficaci e attuali e che parlano addirittura dell’oggi?
Non mi sono mai posto questo problema. Forse ciò che resta sono le storie d’amore e d’amicizia che in fondo sono sempre uguali in qualsiasi momento storico. Le puoi riprendere; puoi provare a trasferire tutti i dettagli nelle varie epoche e questo crea delle situazioni divertenti, ti fa fare delle scoperte. Quando si crede a una storia ci si crede per via dei sentimenti dei personaggi. Non importa se il dettaglio è preciso, ma che l’insieme funzioni.
Fondamentalmente si tratta di storie d’amore che, anche se sono anacronistiche e se nella banalità quotidiana possono sembrare ridicole, nel momento in cui le metti in contesti storici e geografici differenti diventano storie eclatanti. Ma questo non vuol dire che non debbano sempre sembrare verosimili.
Riferimenti:
Il sito di Kappa Edizioni: www.kappaedizioni.it
Il sito della seconda edizione del festival BilBolBul: www.bilbolbul.net