“Che cos’è un fumetto”: introduzione del saggio di Valerio Bindi e Luca Raffaelli

“Che cos’è un fumetto”: introduzione del saggio di Valerio Bindi e Luca Raffaelli

Introduzione tratta dal saggio "Che cos'è un fumetto" (Carocci editore, 2021), storia di un medium di difficile definizione.

Il fumetto è davvero un perfetto oggetto di consumo. È portatile, flessibile, abbastanza economico da durare diverse vite con un’adeguata cura archivistica, leggero, colorato e semplice […]. Ho il sospetto che anche di fronte alla totale indifferenza ci sarà sempre chi continuerà a creare fumetti, se non altro per la vasta prateria che si estende tra quanto è stato fatto e le possibilità elettrizzanti che ci circondano in tutte le direzioni.

Daniel Clowes (Modern Cartoonist, Fantagraphics, 1997, pp. 12 e 14)

1.          Un medium irriducibile

Daniel Clowes (Modern Cartoonist, Fantagraphics, 1997)

Una missione impossibile. Da quando negli anni Sessanta i primi saggi si sono occupati della teoria del fumetto, uno dei tentativi più contraddittori è stato quello di darne una definizione onnicomprensiva. Come scrive Matt Seneca (Your Wednesday Sequence SupaSpecTac DeluXXXury Edition #1, 2011) alla domanda “cos’è il fumetto” forse «la migliore risposta è che è complicato». Il fumetto si è rivelato (sempre di più nel corso degli anni) un medium irriducibile a una definizione standard. Il fumetto trasforma il suo campo e le sue strutturazioni al variare delle modalità di vita collettiva e dei processi materiali che ne caratterizzano la realizzazione. Secondo Elisabeth El Refaie (Autorbiographical Comics: Life Writing in Pictures, University Press of Mississippi, 2012, p. 20), «le opportunità di narrazione in un medium sono sempre modellate sia dalle sue proprietà materiali specifiche, sia dal modo in cui viene utilizzato da determinati gruppi socioculturali in determinati punti della storia». Nel fumetto, la narrazione (che ci sia, che sia labile, o manchi del tutto) è sempre funzione delle forme di produzione. Sappiamo che un medium per essere tale deve soddisfare alcune condizioni: deve comunicare, si deve collegare a specifiche tecnologie e si deve ancorare alla società, alle sue istituzioni e al suo tessuto. Sono tutte cose che un fumetto fa. Ci sono visioni diverse: secondo alcuni è un linguaggio, o un sistema o un dispositivo o è diretto alla rappresentazione in sequenza. Nel libro ci soffermiamo sull’idea che sia un mezzo per trovare linguaggi, per creare regimi e sistemi e, se vuole, per narrare in sequenza. Ma non solo. Un medium lascia il massimo campo libero al pubblico che lo riceve. Il fumetto deve essere consegnato completamente al lettore, senza il cui lavoro intenso come costruzione di senso il medium non si attiva. Scrive Sergio Brancato (Fumetti: guida ai comics nel sistema dei media, Datanews, 1994, p. 32):

È il pubblico che rende “operativi” il cinema, la radio, la televisione. È il pubblico che ne decodifica, in modo comunque “competente”, i messaggi e le strategie. Al di fuori del pubblico non esiste alcuna possibilità di esistenza per un medium.

Se è legata alla forma che assume, quella del fumetto è la storia di una cultura materiale. Lo spazio in cui costruisce storie, visioni o epifanie è quello dell’oggetto finale che viene prodotto e dipende da come si confronta con i processi creativi, e con i rischi che un autore decide di affrontare. In questo modo il formato e la tipologia di prodotto entrano direttamente nello sviluppo, nelle evoluzioni e nelle sperimentazioni di questo medium. E nell’esperienza del lettore al pari degli altri elementi che attivano il meccanismo: immagini, parole e messa in pagina e in serie. Per questo motivo il volume articola l’analisi cronologica dei formati e dei modi di produzione del fumetto, affiancando tematiche, generi, personaggi e poetiche. Una storia che ha condizionato l’immaginario popolare e che ci porta dalla striscia al graphic novel, tra produzione industriale e autoproduzione. Quando ci chiediamo che cos’è un fumetto, non possiamo farlo al di fuori di queste considerazioni.

Nell’individuare gli elementi di una ricerca che attraversa un mondo ormai infinito di modelli e stili, il percorso di queste pagine non ha nessuna pretesa di completezza, ma punta a riconoscere le forme che il fumetto ha preso nel corso delle sue trasformazioni. Perdendo e riacquistando elementi che contribuiscono a configurarlo, certe volte visibili e altre rielaborati fino a scomparire. Senza parole, senza immagini, senza vignette (i quadri separati che si accostano nello spazio della pagina), anche senza nuvolette (i fumetti, appunto), senza la gabbia (la griglia distributiva che ordina le vignette) e senza lo spazio bianco (la terra di nessuno dove scorre il tempo tra una vignetta e l’altra). Ma sempre fumetto.

E forse è il caso di sottolineare come il nostro vocabolo abbia assunto un valore limitativo e assurdamente spregiativo. Negli Stati Uniti vengono chiamati comics, termine usato di frequente anche da noi mantenendo la s del plurale inglese. Qui si fa riferimento alle prime strisce disegnate pubblicate su una specifica sezione dei quotidiani americani, come vedremo nel cap. 1. In Francia il fumetto è la bande dessinée, cioè la “striscia disegnata”: in questo caso si intende sottolineare come ogni tassello, ogni vignetta del fumetto sia inserito in una continuità narrativa. Lo stesso si può dire per il vocabolo spagnolo, historietas (diminutivo di historia, dai molti sottotesti), così come per il cinese lianhuanhua (cioè, “immagini concatenate”). Da noi in Italia i fumetti all’inizio erano storie a quadretti, come ancora si chiamano in Brasile, quadrinhos. Il giapponese manga, invece, si riferisce all’immediatezza del segno del fumetto.

Il fumetto, cioè il balloon, la nuvoletta, ovvero il fiato che esce dalla bocca dei personaggi e che contiene le frasi da questi pronunciate, è solo uno dei possibili strumenti della narrazione disegnata. Benché tipico, alla stessa stregua delle linee cinetiche (o segni di movimento), che permettono a una sola immagine disegnata di offrirci una situazione che vive nel tempo; o delle onomatopee, ossia i Bang, Gulp, Zap, Crash, che vengono inserite graficamente all’interno delle vignette e attraverso le quali si possono immaginare i suoni, o meglio gli effetti sonori scaturiti dall’immagine; o, infine, delle metafore visualizzate: come la lampadina accesa che racconta l’insorgere di un’idea fulminante o il ramo segato che indica il sonoro russare di un personaggio. Allungandosi gli spazi e le storie, e diventando sempre più complessa la narrazione o la simbologia all’interno delle vignette, il fumetto ha perso negli ultimi decenni quelle didascalie che per tanto tempo avevano svolto la funzione di aiuti concreti alla comprensione del racconto (spiegando che le azioni avvenivano “poco dopo” oppure “contemporaneamente”, oppure enfatizzando cosa avveniva: “Ma Tex fulmineamente fece fuoco…”), lasciando il lettore solo di fronte a immagini e passaggi complessi. Oggi le stesse, quando ci sono, hanno un senso diverso, come vedremo per esempio in Chris Ware. Non soltanto il fumetto è un medium freddo (nella celebre classificazione di Marshall McLuhan) per cui il lettore deve scaldare la lettura creando legami tra le vignette e partecipando ad azioni e suoni, ma certe consuetudini del fumetto hanno bisogno di un lettore che le abbia assimilate per essere pienamente comprese.

Con il rischio di ripetersi, è bene ribadire che ci sono fumetti che fanno largo uso della didascalia e altri che non ne hanno, come ci sono fumetti che non hanno nuvolette né parole. Ci sono fumetti che si chiudono nel giro di una sola vignetta e altri che sono vere saghe, sviluppate attraverso centinaia di pagine. Ci sono fumetti a colori, naturalmente, e fumetti in bianco e nero. Fumetti comici e avventurosi, fantastici e legati all’attualità. Ci sono anche, com’è ovvio, dei brutti fumetti, e ce ne sono, invece, alcuni che possono sostenere il confronto con le più ammirate opere letterarie, cinematografiche e pittoriche. In quasi duecento anni di vita la narrazione disegnata è riuscita a essere tante cose diverse. Le immagini-storia a poco a poco, attraverso il fumetto, si organizzano in un sistema, che con il tempo si arma di strumenti propri e derivati dallo scambio con le altre forme di comunicazione come la pittura, la letteratura, l’architettura, l’illustrazione, la scultura, la fotografia, e poi il cinema, il teatro, la danza, il cinema d’animazione anticipando volentieri soluzioni grafiche e narrative, reinventando tecniche di riproduzione. A spasso tra il sublime il tragico e il grottesco.

Un’illustrazione preserva un momento d’azione e lo ferma nel tempo. E questo vale anche per la pittura, che può forzare la rappresentazione fino all’astrazione totale, insistendo sulla funzione contemplativa. Il fumetto spesso usa il tempo per incalzare la narrazione: la sua attitudine a essere popolare e di massa si deve anche al modo in cui stimola la partecipazione coinvolgendo attivamente chi lo sta osservando offrendogli un ritmo, una cadenza. Quella messa in atto da una serie di vignette è una sequenza musicale. Il tempo di percezione, la velocità del ritmo rimane ovviamente a discrezione del fruitore che ha la possibilità di rallentare, accelerare, fermarsi laddove un’immagine catturi la sua attenzione, insomma di gestire il ritmo (e un bravo autore sa come giocare con queste libertà).

Così il disegno all’interno di una vignetta può spaziare nel tempo o illustrare un momento ben preciso: un disegnatore può mostrare l’istante in cui un pugno sta per partire, quello in cui ha appena colpito (e chi ha subito il colpo sta cadendo a terra) o, in una sola immagine, attraverso le linee cinetiche o eventualmente pure tramite più disegni dello stesso personaggio che compie l’azione, tutto il movimento del pugno. Ma anche se la vignetta illustra un solo attimo dell’azione, il tempo di quell’attimo può essere ampliato dalla didascalia, dal pensiero o dal dialogo inseriti nei balloon. E se neppure questo avviene, l’istante della vignetta può essere dilatato dalla presenza di una vignetta precedente o da una che la segue o da entrambe. Allora quell’attimo di un pugno acquista un posto all’interno di una cadenza ritmica di lettura, e ogni cadenza ha, in quanto tale, un suo tempo. La pagina è un territorio spaziale che si dipana nel tempo. Che produce ritmo scandito nell’attraversamento dello sguardo e nella disposizione degli elementi e dei corpi disegnati. Ritmo è misura, spazio è tempo nel fumetto, come nella fisica. Ma un tempo quantico e soggettivo, percepito e ridefinito in maniera diversa a seconda delle esperienze e della profondità di partecipazione di quel particolare fruitore del fumetto. Uno stesso fumetto è anche molte diverse esperienze di quel fumetto.

Una volta create le regole del movimento, ecco che il medium può stravolgerle a suo uso e consumo. Molti personaggi dei fumetti si muovono scardinando ogni legge fisica e creando nuove leggi: a volte queste sono caratteristiche di un autore o di un personaggio; altre diventano strumenti comuni, così come, in certo cinema d’animazione, il personaggio che cade solo dopo essersi accorto di stare nel vuoto diventa un tormentone del genere. Ma questa considerazione apre un altro ragionamento, proprio sulla coscienza di ciò che accade in un fumetto.

2.            Percepire è un’attività del corpo

Una delle questioni più discusse è il classificare il tipo di attività richiesta a chi usufruisce di questo medium. Senza dubbio i primi studi critici sul fumetto si sono concentrati sull’analisi dei metodi che usa per favorire la lettura, dando come prioritario l’aspetto di scrittura di un fumetto. Cosa che però, come stiamo iniziando a comprendere, è indissolubile dalla sua controparte disegnata. Come ha detto Roberto Raviola, cioè Magnus, in una sua celebre intervista al “Treviso Comics” nel 1995, «disegnare i fumetti, e scriverli assieme, non è difficile ma non è neanche facile […], purché si scriva […] con squadra e compasso e si disegni col vocabolario» (https://www.youtube.com/watch?v=f05g26WPLg0; min. 4:50, ultimo accesso febbraio 2021), evidenziando l’interdipendenza dei due regimi di segni.

Allora forse un fumetto si guarda. Ma anche questa visione mette in evidenza lo stesso limite, considerando la prevalenza dell’immagine. Secondo alcuni ricercatori il manga giapponese soprattutto si sente, concentrato com’è sulla rappresentazione degli elementi sensibili, appunto: i suoni, le situazioni in cui il corpo disegnato si trova, le emozioni e le linee cinetiche, la forma delle vignette. Tutti caratteri che amplificano a dismisura le funzioni sensoriali e le indirizzano verso chi sta sfogliando il fumetto. Così in un manga la messa in pagina è spesso organizzata su tagli dinamici che mettono in bilico i disegni e guidano gli occhi rapidamente verso gli effetti sensibili da evidenziare come chiavi di interpretazione del percorso narrativo. Certamente tutte e tre queste operazioni sono correlate al processo di fruizione di un fumetto.

Charles Hatfield (Alternative Comics: An Emerging Literature, University Press of Mississippi, 2005, pp. 32 ss.) individua il fumetto come un’arte all’intersezione di diverse forme di tensione: l’interazione di immagine e testo scritto, dell’immagine singola verso l’immagine in serie, della sequenza verso la superficie (la messa in pagina, il layout dello spazio su cui si rappresenta il fumetto) e, infine, quella fra testo come esperienza e narrativa e testo come oggetto materiale. Scrive Hatfield (ivi, pp. 58 e 60, trad. nostra): «la materialità del fumetto include non solo il design o il layout della pagina, ma anche la composizione fisica del testo, comprese dimensioni, forma, rilegatura, carta e stampa. […] L’arte del fumetto è necessariamente realizzata “in risposta al metodo della sua riproduzione” (Eisner, Comics and Sequential Art, Poorhouse, 1985, p. 153)».

alternative comics

Il fumetto è un sistema complesso di interazioni fra autore e pubblico, fra il pubblico e l’oggetto e fra codici e codici. In cui conta, e più di quanto si tenda a considerare, anche il dispositivo su cui il fumetto si realizza, in quanto è il tramite che usiamo per interagire con il medium. Il pubblico poi è composto da tante singole esperienze, tante persone che entrano in contatto individualmente con il fumetto. Certamente si sviluppa un sistema ricettivo, dedicato all’esperienza fumetto, che prende informazioni da moltissimi elementi contemporaneamente, elementi che interferiscono uno sull’altro e di cui abbiamo una conoscenza, o meglio una coscienza, complessa e molto istintiva.

Di recente, in collegamento alle acquisizioni delle neuroscienze, ci si è focalizzati maggiormente sul dato dell’immedesimazione corporea, l’embodiment, che coinvolge allo stesso modo chi produce un fumetto, scrivendolo e disegnandolo, e chi ne riceve le suggestioni e si appresta a costruirne in sé il senso. Karin Kukkonen (Space, Time and Causality in Graphic Narratives: an Embodied Approach, in Daniel Stein, Jan-Noël Thon, From Comic Strips to Graphic Novel: Contributions to the Theory and History of Graphic Narrative, De Gruyter, 2013a, p. 49) riporta che

la percezione non è esclusivamente visiva, ma coinvolge l’intero corpo. […] è «una sorta di abile attività corporea», come dice Alva Noë (Action in Perception, MIT Press, 2004, p. 2), non una distaccata contemplazione del mondo o un risultato solo di occhi e cervello. Considerando le attività corporee dei personaggi, i lettori possono avere un’idea di come percepiscono il mondo della storia che li circonda, senza dover leggere i loro stati mentali nelle bolle di pensiero e senza dover vedere il mondo della storia dal loro punto di vista.

Quando vediamo i personaggi fare qualcosa in una pagina o in una vignetta, mettiamo in moto una serie di processi nel nostro cervello che, tramite i neuroni specchio, stimolano l’imitazione e preparano a un’azione che resta mentale. È il processo di “simulazione incarnata” nelle neuroscienze. Una sorta di eco sensoriale che attiva la percezione del nostro corpo. Il riflesso di un’azione ci spinge alla comprensione. Quindi, ora sappiamo che il fumetto lega immagini e parole in uno spazio che permette la lettura e lo sguardo, il sentire e la percezione. Che allo stesso tempo svolge altre interazioni con lo spettatore, di tipo fisico e neuronale. Questo spazio poi a sua volta si unisce indissolubilmente alla produzione materiale (o virtuale) del sistema di diffusione del fumetto utilizzato.

Il fumetto esiste quando instaura un sistema dinamico di relazioni in un ambiente concreto. E questo ambiente è molto intimo, uno scambio personale fra chi riceve un fumetto e chi lo predispone. Che tipo di relazione si sviluppa in questa stanza segreta, oltre a quelle già discusse che riguardano la percezione? Con una metafora si può immaginare questo rapporto svilupparsi di fronte a uno specchio che riflette da ogni lato. Il fumetto è questo specchio. Il confronto dell’autore con sé stesso produce i regimi di segni e di parole e tutte le inferenze fra questi, riversa negli elementi grafici componenti tutte le sue esperienze più personali e la propria coscienza motoria, oltre che il proprio sentire. È un’analisi profonda di sé anche al di là dei temi e delle storie, che si svolge attraverso gli elementi costitutivi del medium e il segno. Dall’altra parte dello specchio chi riceve il fumetto prende tutto questo patrimonio, lo attiva nei vari codici e sistemi dentro di sé e ne costruisce una percezione. Che a questo punto definire “lettura” sarebbe quantomeno limitativo.

Non stupisce come mai l’autobiografia, l’irruzione della raffigurazione della realtà personale, sia così radicata nelle forme contemporanee del fumetto. «La messa in pericolo del corpo di un autore resta alla fine un gioco virtuale: […] i loro avatar non sono invulnerabili fisicamente […], si tratta di un mettersi in pericolo psichico», afferma Julie Delporte (La bédé-réalité, Colosse, 2011, p. 48). I nuovi media digitali possono perfettamente lavorare in questa direzione da blog del sé e, infatti, producono spesso una relazione molto intensa che determina il successo di un certo fumetto e di un certo autore. Ma questo scambio prende forma nel reale, e viene fortemente configurato dall’oggetto feticcio che contiene questo sistema di tensioni e interferenze. Per ora è ancora saldamente di carta, come il fantoccio del “Nannu” che andrà bruciato l’ultimo giorno del carnevale, attendendo la primavera che viene. Solo una raccomandazione. Le domande sono sempre più interessanti delle risposte. Per trovare il fumetto conviene dimenticarsi della ricerca di una spiegazione, abbandonare il punto interrogativo e restare a meravigliarsi delle mutazioni che le sue forme e i linguaggi, gli autori e la storia materiale di quest’arte ci hanno consegnato.

Bibliografia

che cos'è un fumetto

BRANCATO, Sergio, (1994), Fumetti, guida ai comics nel sistema dei media, Datanews, Roma.
DELPORTE, Julie, (2011), La bédé-réalité, Colosse, Montréal, CA
EL REFAIE, Elisabeth, (2012), Autobiographical Comics: Life Writing in Pictures, University Press of Mississippi, Jackson, MS, 2012
HATFIELD, Charles, (2005), Alternative Comics: An Emerging Literature, University Press of Mississippi, Jackson, MS.
KUKKONEN, Karin, (2013a) Studying Comics and Graphic Novels, John Wiley & Sons, Hoboken, NE.
NOË, Alva, (2004), Action in Perception, MIT Press, Cambridge, MA.

Estratto da:
Che cos’è un fumetto
Valerio Bindi, Luca Raffaelli
Caricci editore, 2021
144 pagine, brossurato
ISBN: 9788829003020

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