A fine 2015 è finalmente uscito in USA, dopo una gestazione ultradecennale, la miniserie Batman Europa, che vede il Cavaliere Oscuro in trasferta nel vecchio continente sulle tracce del Joker.
Al Napoli Comicon 2016 la RW Lion ha presentato in anteprima la versione italiana dell’opera che, fin dalla sua genesi avvenuta nel lontano 2004, ha visto a bordo del gruppo di autori coinvolti gli italiani Matteo Casali alle sceneggiature e Giuseppe “Cammo” Camuncoli ai disegni e ai layout.
Proprio con loro abbiamo fatto una lunga chiacchierata, ripercorrendo tutte le tappe che hanno portato in questi anni alla forma definitiva della miniserie.
Il progetto Batman Europa prende corpo nel 2004, durante un soggiorno di Jim Lee nel nostro Paese. Ci racconti qualche dettaglio di come sia nato e da dove scaturisce l’idea di un’avventura europea del Cavaliere oscuro?
Matteo Casali (MC): L’idea originale nasce durante una trasferta tedesca con Panini Deutschland. Cammo e io eravamo lì per promuovere l’edizione alemanna di Bonerest, Jim Lee e Gabriele Dell’Otto erano invece gli ospiti ufficiali per la DC. La sera, tra fiumi di birra e di (meno tedesca) tequila, Jim lanciò l’idea di fare un progetto che portasse Batman a spasso per l’Europa, con artisti italiani (e non solo) a realizzare ogni capitolo, che avrei dovuto scrivere io, che ero all’inizio della mia collaborazione con DC/Vertigo. È stato uno spunto divertente, sembrava impossibile, ma poi, grazie anche all’arruolamento di Brian [Azzarello n.d.r.] che mi avrebbe affiancato ai testi e dato più “peso politico”, è diventato una realtà. Io e “Azz” ci siamo quindi messi a pensare a come portare il Cavaliere Oscuro in Europa e cosa fargli fare e da lì è partito (davvero) tutto.
Il fatto che, dopo ben undici anni dalla sua genesi, questo progetto abbia visto finalmente la luce significa che, nonostante le vicissitudini che in questo lungo periodo ne hanno posticipato la pubblicazione, Batman Europa è rimasto comunque un progetto in cui la DC Comics crede. Ci raccontate come avete vissuto questi continui rimandi e se avete mai perso la speranza di vedere pubblicata la storia?
Giuseppe Camuncoli (GC): Sì, la speranza l’abbiamo persa più volte, a ogni mezzo passo falso, a ogni assenza di segnale sulla linea quando ogni tanto ci facevamo sentire per sapere se c’erano delle novità. E al tempo stesso si riaccendeva ogni volta che tornava a muoversi qualcosa, che tornava a farsi sentire qualcuno dalla DC, e che faceva sperare in un passo in avanti. Certo più passavano gli anni e più Europa sembrava destinato a diventare una leggenda urbana, uno di quei progetti destinati a restare per sempre nel cassetto, e ogni volta ad accarezzare l’idea di vederlo finalmente terminato e pubblicato sembrava sperare in un miracolo. Io di natura sono sempre ottimista, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno anche quando i segnali sono poco confortanti. Insomma, mi arrendo solamente quando è evidente e definitivo al 100% che qualcosa non andrà in porto. E mi piace pensare che in tutti questi anni, a tenere viva la fiamma della speranza, anche quando tutto remava contro, siamo stati anche Matteo ed io, da questa parte dell’oceano, quando appunto ricordavamo ai nostri partner che Europa da qualche parte esisteva ancora, e aveva voglia e diritto di “nascere”. Ricevere fisicamente le copie del primo numero è stato qualcosa di incredibile, e ancor di più ricevere il quarto, che significava concretamente che la miniserie era stata portata a termine. Passatemi il termine, è stato come una sorta di coito arrivato dopo un atto sessuale portato avanti per dieci anni.
MC: Beh, a un certo punto abbiamo anche cominciato a scherzarci sopra. Un mio amico aveva iniziato a chiamarlo Batman Pangea e quando lo faceva ridevamo insieme pensando allo spostamento dei continenti e alle ere geologiche che sembravano necessarie a veder realizzato il progetto. Ci sono stati un paio di riavvii che hanno acceso le nostre speranze, negli anni, ma poi si finiva in un nulla di fatto, soprattutto a causa dell’enorme mole di impegni di Jim Lee, nel suo ruolo di disegnatore di punta-barra-vice presidente-barra-uomo immagine della DC Comics. L’episodio più divertente avvenne alla New York Comicon del 2010: Jim mi aveva appena detto, “Si fa, si fa! Abbiamo la copertina di Previews!” (con il suo accento italiano divertentissimo) e quando l’ho detto a Brian Azzarello, lui ha fatto una smorfia senza levare le mani che teneva cacciate nelle tasche. “Never gonna happen,” il suo caustico commento, sembrava aver smesso di crederci. Un mese dopo eravamo davvero sulla copertina di Previews e ci ridevamo sopra al telefono.
Oramai, in coppia, avete “messo le mani” su una serie di personaggi iconici davvero notevole. Che cosa significa per voi aver avuto la possibilità di lavorare anche su Batman?
MC: A dire il vero, il lavoro più “grosso” in questi termini, è stato riprendere Gli Scorpioni del Deserto di Hugo Pratt. Lì ci siamo confrontati con una voce unica e incredibile, quella del Maestro, mentre con Batman, beh… molti sono venuti prima di noi e molti verranno dopo. Con questo, non voglio dire che non sia stata un’esperienza straordinaria. Dopo l’esordio su Catwoman, anche in questo caso è stato un piacere che sia toccato a me essere il “primo italiano” a scrivere Batman. Se poi ci mettiamo che la squadra di lavoro era formata in buona parte da colleghi-amici, le cose assumono un altro valore. È stata un’esperienza unica, e non importa quante altre occasioni potranno presentarsi di riscriverlo, questa prima volta sarà irripetibile. Che poi, visto quanto ci abbiamo messo, è anche una speranza, eh eh!
GC: A dire il vero a me era già successo una decina di anni fa, su testi di Bill Willingham, durante le saghe di War Games e War Crimes. Già quella per me fu un’incredibile emozione. Ma Europa ha rappresentato il raggiungimento di ulteriori motivi di soddisfazione. Sia perché si tratta di un progetto nato e portato avanti personalmente in team con Matteo, Jim, Brian e altri amici autori, sia perché ha rappresentato per me la possibilità di lavorare per la prima volta con uno stile pittorico, quindi una sfida e una prova completamente inedite per uno che si è quasi sempre occupato di matite. E poi nello step successivo, ovvero quello della realizzazione dei layout degli altri numeri, mi ha offerto la possibilità di vedere lavorare su tavole impostate da me un autore come Jim Lee, che da sempre adoro. Infine, essere al fianco di due sceneggiatori che per me rappresentano tanto, professionalmente e umanamente parlando, ha chiuso il cerchio in maniera perfetta.
Quali sono gli autori dell’Uomo Pipistrello che avete tenuto presente in questo lavoro e qual è il vostro ciclo di storie di Batman preferito?
GC: Miller su tutti, da sempre. Anche lo Year One disegnato da David Mazzucchelli resta uno dei miei preferiti di sempre. Stesso discorso per The Killing Joke di Moore & Bolland, o per l’ossessionante Arkham Asylum di Gaiman & McKean. Anche Hush di Jeph Loeb e Jim Lee ha avuto un’influenza sul nostro progetto. In tempi più recenti, mi è piaciuto e sta piacendo moltissimo la run di Snyder e Capullo, ma questo te lo dico da lettore puro, visto che il lavoro svolto su Europa è precedente a questo ultimo ciclo del Cavaliere Oscuro, che già si candida a diventare un classico per tutte le stagioni.
MC: Ripeterò parte di quanto ha già citato Cammo, perché Year One e The Dark Knight Returns mi hanno segnato come autore (in erba) fin dall’inizio. Non credo però di poter citare alcun riferimento specifico per quanto riguarda il lavoro di Brian e mio. Lui aveva già scritto Batman con il Broken City disegnato da Eduardo Risso, ma qui abbiamo pensato ad altro. L’ispirazione è venuta più dai Grand Tour dei nobili inglesi dell’Ottocento. Abbiamo pensato di spedire Bats lontano da casa e strapparlo dall’ambiente famigliare di Gotham City per vedere come se la sarebbe cavata. La risposta? Senza Joker, piuttosto male.
Quanto ha influito ed è stata determinante l’estrazione culturale eterogenea dei vari autori nel caratterizzare l’inconsueta ambientazione di questa avventura di Batman? Ci troviamo in un’Europa americanizzata oppure rispecchia fedelmente il vecchio Mondo, grazie all’apporto di voi autori europei?
MC: Abbiamo dovuto alleggerire l’effetto “guida turistica” che il fumetto rischiava di avere, sacrificando le informazioni sulle diverse città – eccetto quelle che ritenevamo interessanti – per favorire il progresso della storia. Ma nessuna americanizzazione, tanto che per alcuni lettori e recensori yankee, le informazioni sulle città sono state “eccessive”, pensa un po’. Poi, va detto, la scelta delle città e degli autori a esse originariamente collegati non era casuale e aveva influenzato la stesura iniziale della sceneggiatura.
Avete intenzione di proporre altri progetti su Batman? O su qualche altro personaggio DC Comics?
GC: Beh, io sono piuttosto impegnato su Amazing Spider-Man, anche se sono sempre rimasto in contatto con la DC Comics e ci sono continue proposte di collaborazione che spero prima o poi si possano coagulare. Qualche copertina per DC ogni tanto riesco a infilarla nel mio workflow, chissà che prima o poi non riesca a tornare a mettere mano anche a qualche interno.
MC: Sì. Ma è presto per parlarne.
Giuseppe, ti sei occupato dei layout dei vari numeri: questo significa che hai pensato anche a studiare le ambientazioni, il look dei personaggi e altri aspetti grafici generali della miniserie?
GC: Sì, inizialmente questo riguardava solo il numero che avrei dipinto in solitaria, il secondo, e questo grosso modo lo faccio quasi sempre. Poi ho semplicemente “ripetuto l’operazione” per i numeri di cui mi hanno affidato i layout. Si è trattato comunque principalmente di un lavoro di documentazione sulle città visitate dal Disfunzionale Duo (questa non è male…), perché a parte un paio di personaggi “nuovi” non c’è stato moltissimo da creare a livello di design. Forse il mio numero è proprio quello con più cose e personaggi da “studiare”, come i Golem e il Trojan Horse. Devo dire che nel 2006 fare ricerca e documentarsi era un po’ più complesso. Per cercare di far funzionare una scena ambientata nella piazza Venceslao di Praga mi sono dovuto cercare foto su riviste e libri di viaggio e farle combaciare in maniera verosimile. Solo per le statue del Ponte Carlo se ne sono andati giorni. Ora, per dire, con Google Street View la vita per fortuna è molto più semplice.
Inizialmente i nomi dei disegnatori che avrebbero dovuto lavorare sul progetto e sui tuoi layout erano quelli di Jim Lee , il nostro Gabriele Dell’Otto, Diego Latorre e Jock: quali sono stati poi gli avvicendamenti che hanno portato al roster definitivo di autori?
GC: La prima “formazione” ufficiale degli autori dei quattro numeri, oltre a me e Jim che siamo sempre rimasti nel team, comprendeva come dici tu Gabriele per il #4 (Roma) e addirittura Claire Wendling per il #3 (Parigi, giustamente). Diego e Jock fanno parte della “seconda formazione”, quella dell’ipotetica uscita del 2010. Diego consegnò le sue tavole “parigine” e in effetti è rimasto confermato, mentre Jock in realtà mise mano solamente alla sua copertina (che poi è diventata la variant cover del #4) ma mai agli interni. Quando poi, nel 2015, i giochi sono di nuovo ripartiti, è stata mia l’idea di contattare Gerald Parel, autore che adoro e che avevo conosciuto anni addietro a una fiera a Lille, che per fortuna è riuscito a incastrare queste trenta pagine all’interno del suo flusso di lavoro.
Se il tuo Batman è granitico, fortemente milleriano, il tuo Joker è uno dei più originali visti nell’ultimo periodo, graficamente malleabile alle varie situazioni narrative. A chi ti sei ispirato per questa caratterizzazione? E quali sono, poi, le differenze sostanziali tra i due coprotagonisti della serie?
GC: Beh, intanto ti ringrazio per il “milleriano”. Credo che un po’ si noti, non solo nel mio Batman, che Frank Miller abbia definitivamente cambiato il modo in cui vedo e disegno i supereroi. Il suo Dark Knight Returns lasciò in me, parecchi anni or sono, una traccia tra le più profonde. Al tempo stesso, il Joker che visivamente mi ha più condizionato e probabilmente influenzato è quello di Dave McKean, da quella gemma che è l’Arkham Asylum di Morrison. Non avevo mai visto un Joker più schizzato di così, una maschera tragica grottesca, spaventosa e al tempo stesso affascinante. E anche malleabile, per tornare alla tua domanda. Così come Miller per Batman, McKean col suo Joker (di cui posseggo un preziosissimo sketch fattomi da McKean in persona alla Lucca Comics del 1992) ha piantato un seme che è andato a germogliare a distanza di tanti anni, e che ancora nutre le mie versioni dei due personaggi. Poi, credo e spero che con gli anni sia riuscito a rendere più personali il mio Batman e il mio Joker. Ma so benissimo da dove vengono.
In Batman Europa le differenze tra i due personaggi vengono costantemente mescolate, sovrapposte, scambiate quasi (non è certo la prima volta), grazie al virus Colossus che sta minando le difese immunitarie e la lucidità di entrambi, Joker incluso. Quello che invece li accomuna è che entrambi stanno morendo, e che devono per la prima volta contare l’uno sull’altro se vogliono salvarsi. Ma poi, vogliono davvero salvarsi?
GC: Beh, la risposta la lascerei bastardamente ai lettori. Ma se c’è una sorta di costante legata a questi due personaggi, esplorata e raccontata in tanti modi e da tanti autori nel corso dei decenni, è che ciò che li tiene in vita e che li fa per certi versi andare avanti, è la lotta e il confronto reciproco. Se uno dei due morisse, se uno dei due uccidesse l’altro, allora finirebbe l’ossessione. Finirebbe il senso del loro stesso essere ciò che sono. Quindi, per me sì, in fondo vorrebbero salvarsi anche quando sanno che basterebbe lasciarsi morire per eliminare una volta per tutte l’odiata nemesi. Aldilà di questo giochino, però, uno degli aspetti più divertenti del loro contagio è quanto il virus influisca su di loro, alterandone percezioni e sensazioni, sia a livello fisico che a livello psicologico. Ci sono tanti momenti forti nella miniserie, visivamente e narrativamente, che gettano luci inedite e al tempo stesso paurosamente familiari, su Batman e Joker. In questo senso Matteo e Brian hanno davvero realizzato qualcosa di notevole.
Matteo, tu condividi appunto la scrittura dei quattro numeri della miniserie con Brian Azzarello: cosa significa per te lavorare con uno dei più importanti sceneggiatori del comicdom statunitense e come avete impostato la suddivisione del lavoro?
MC: Con Brian eravamo già amici da anni quando il progetto è partito. Ci eravamo conosciuti alla San Diego Comicon del 2000, quando io ero il traduttore italiano di 100 Bullets. Ci siamo trovati bene e avevamo parecchi interessi in comune e così abbiamo iniziato a sentirci spesso – almeno una volta a settimana – per chiacchierare di wrestling, fumetti, politica e chissà cos’altro. Quando abbiamo iniziato la lavorazione, abbiamo fatto lunghi brainstorming telefonici per mettere a punto il soggetto, scambiandoci spunti, idee e suggerimenti. Poi io recuperavo il tutto e scrivevo un draft che gli sottoponevo prima di passarlo in DC. Quando il progetto è stato approvato da Mark Chiarello, Art Director DC Comics che è stato il nostro primo editor, ho iniziato a scrivere tutta la sceneggiatura, regia e dialoghi, che sottoponevo alla revisione di Chiarello dopo l’approvazione di Brian. L’idea è sempre stata, come poi è avvenuto, che Brian sarebbe intervenuto in secondo momento per una revisione dei dialoghi – che visti i tempi di produzione decennali, è stata una revisione/aggiornamento.
Di che cosa si occupa, a grandi linee e senza troppi spoiler, la storia contenuta nella miniserie?
MC: Niente spoiler? Hmmm… Allora, diciamo solo che Batman scopre di essere stato infettato con un virus letale. Gli unici indizi a sua disposizione puntano al vecchio continente, obbligandolo a una “vacanza-lavoro” a Berlino. Dove trova solo un pezzo della verità sul virus e una sorpresa che riguarda anche Joker. E che dà il via alla rumba transnazionale.
La storia ha subito modifiche rispetto all’idea iniziale del 2004?
MC: Direi di no. Dopo qualche bozza di soggetto completamente diversa, ci siamo concentrati sulla trama che avevamo elaborato allora e siamo rimasti fedeli a essa.
Autori del passato, in particolare Dennis O’Neil, hanno dimostrato che Batman può recitare un ruolo da eroe di stampo internazionale. Cosa vuol dire oggi, con il rapporto sempre più stretto con Gotham creato da Scott Snyder, riportare all’attenzione dei lettori una storia di questo respiro?
MC: Per prima cosa, va detto che il “nostro” Batman è stato pensato prima del New 52 e ben prima del ciclo di Snyder. C’è stato un momento, nelle varie tappe di pre-produzione, dove ai disegnatori (Cammo e Diego, che erano più avanti di tutti nella lavorazione) venne chiesto di aggiornare il costume di Batman a quello “senza mutandoni” del New 52. A me l’idea non piaceva granché, preferivo pensare a Europa come una storia senza tempo, dove Batman aveva le mutande sopra la calzamaglia e Joker la faccia attaccata al cranio. Per fortuna, quando è stato il momento di ripartire davvero, siamo andati in questa direzione. Quello che mi piace pensare, per l’opera, è che possa avere una vita lunga sugli scaffali, perché è una storia completa che non fa riferimento a nessuna continuity.
Bruce Wayne non ha solo viaggiato molto come Batman, ma si è anche formato in Europa. La caratterizzazione delle capitali europee, però, sembra non tanto quella che potrebbe fornire un viaggiatore, per quanto superficiale, ma un americano medio che si basa su impressioni riportate e una cultura piuttosto superficiale. Potete spiegare questa scelta? E non è, tutto sommato, un’occasione persa per raccontare con un’ottica più corretta dei classici stereotipi l’Europa oltreoceano?
MC: Come dicevo prima, la lezione di storia e geografia che Batman Europa poteva diventare, è stata alleggerita in favore di una narrazione che potesse far risaltare le doti visive degli artisti coinvolti. E per fortuna, aggiungo io. Sarebbe stato facile mettersi a fare i “professorini” e spiegare agli americani quanta arte, cultura, drammi e sangue racchiudono le storie delle nostre capitali. Ma saremmo stati didascalici e abbiamo preferito concentrarci su piccoli elementi storici e “topografici” per esaltare alcuni aspetti delle diverse città che interagissero al meglio con la storia. Prendete l’esempio di Parigi: certo, ci sono Notre Dame e riferimenti al suo Gobbo, ma l’idea forte che ho messo sul tavolo era di rendere Joker popolare e amato in un ambiente esclusivo e libertino che riecheggiasse della storia e dei trascorsi che solo una città come Parigi poteva avere. Lo stesso vale per Praga e i suoi riferimenti a Rodolfo II. Gli stereotipi abbiamo provato a schivarli tutti – quelli schivabili, almeno. E credo si possa dire che ci siamo riusciti abbastanza bene.
Intervista realizzata via mail e conclusa nel mese di aprile 2016