Il nome di Caronte evoca nell’immaginario comune la figura del vecchio traghettatore che accompagna le anime dei defunti oltre il fiume Acheronte in cambio dell’obolo con cui sono stati sepolti.
Fin dal titolo e dalla copertina, la raffigurazione di un Caronte giovane costituisce una sorpresa e un’introduzione alla natura inedita del protagonista che ancora non svolge la sua professione o meglio, come dicono nell’oltretomba, non gioca il suo ruolo.
Poiché il padre di Caronte è scomparso, il figlio abbandona i giochi infantili per imparare a sostituirlo, e deve quindi affrontare una vera e propria iniziazione alla scoperta delle diverse sfaccettature dell’esistenza umana.
Per la prima volta la vita si rivela agli occhi del bambino nella sua infinita gamma di possibilità, rappresentata prima della nascita dagli spermatozoi, e in seguito dai compromessi dell’età adulta, fino all’inesplicabilità della morte.
Il tema dell’iniziazione all’età adulta e ai suoi problemi non è nuovo, perciò rappresenta un terreno insidioso per qualunque autore, dal momento che a ogni passo rischia di scadere nell’ovvio e nel già detto, ma questo non accade ne Il Piccolo Caronte grazie all’originalità del punto di vista di Sergio Algozzino, e alla libertà espressiva nelle scelte di stile e di colorazione di Deborah Allo.
La riduzione di un archetipo mitologico a personaggio infantile nel personaggio di Mono, figlio di Caronte, genera infatti una visione nuova dei miti classici sull’esistenza umana perché costringe il lettore a riflettere con una visione rinnovata sugli aspetti più comuni della vita, quelli più ampiamente condivisi e condivisibili.
Proprio queste caratteristiche universali del vivere e dell’essere umani sono quelle che, secondo l’autore, spingono ogni persona a prendersi carico anche delle anime altrui oltre che della propria.
L’identificazione con Mono – dal greco monos “solo” – assegna infatti, oltre che al protagonista, anche al lettore l’arduo compito di essere il traghettatore delle anime che lo hanno preceduto e che lo accompagnano nel corso della vita. Questo pesante carico è ancora maggiore per il protagonista poiché il filtro protettivo dei genitori è venuto meno ed è rimasto solo davanti a tutte le sue responsabilità, privo non soltanto del proprio padre ma anche della presenza di “padre” superiore, dal momento che l’autore pone nell’oltretomba anche le spoglie di Dio, escludendo qualunque forma di conforto religioso.
L’unica omissione del mito classico, l’obolo dovuto a Caronte, non è quindi un caso ma un implicito invito dell’autore, come detto all’inizio, a vivere l’esistenza non come un lavoro, un carico imposto, ma consapevolmente nel ruolo che ciascuno sente proprio.
Lontano dall’essere un cupo ritratto delle peripezie umane, Il piccolo Caronte restituisce una senso di profonda libertà e leggerezza del peso della vita, con la grazia di un linguaggio che, sincero e genuino come quello di un bambino, è capace nella sua semplicità di parlare a una persona giovane come a una matura.
Sensazione aumentata dalla canzone composta appositamente per il fumetto da Sergio Algozzino, che può essere ascoltata nel momento in cui le parole del testo appaiono nel volume grazie ad un codice QR.
Deborah Allo ha mantenuto, collaborando con Algozzino, già suo insegnante alla scuola di fumetto, una piena libertà espressiva con il suo tratto istintivo e immediato che accompagna in perfetta sintonia la trama della storia, nonostante si potesse presumere un maggiore controllo dell’autore palermitano, qui per la prima volta solo nelle vesti di sceneggiatore.
Come risulta da una recente intervista rilasciata allo Spazio Bianco le scelte di sceneggiatura sono state condivise dai due autori senza alcuna imposizione reciproca; il risultato è una gabbia che rappresenta in maniera coerente l’ampiezza e l’assenza di sclerosi della visuale di un bambino, con vignette dai bordi irregolari e tondeggianti e una costruzione dello schema della tavola che risponde all’unica regola di una consapevole espressione delle sfumature emotive del protagonista.
Allo stesso fine è compiutamente diretta la scelta della tecnica computerizzata ad acquerello che rende l’idea della suggestiva esplosione di colori e variazioni cromatiche che la realtà costituisce nella costante scoperta dei bambini. Il livello della colorazione sfonda il muro del disegno fine alla rappresentazione della storia e diventa un’illustrazione che lascia approfonditamente spaziare lo sguardo. A lasciare ampio campo alla veste pittorica è l’uso insistito delle splash page che rallenta o accelera la lettura sia nei cupi toni dell’oltretomba che in quelli vividi della realtà, per poi virare al bianco e nero del sonno, anticamera della morte.
In conclusione una riuscita prova di maturità per entrambi gli autori che esprimono la loro voce autentica e coraggiosa in una storia che pur leggendosi tutta d’un fiato lascia al lettore il desiderio di traghettare ancora una volta nei panorami di Mono nella consolante sensazione di condividere il suo viaggio.
Abbiamo parlato di:
Il Piccolo Caronte
Sergio Algozzino, Deborah Allo
Tunué, marzo 2017
144 pagine, bianco e nero e colori, cartonato – 16,90 €
ISBN: 9788867902187