Čapek: come realizzare una rivista di fumetti e vivere felici

Čapek: come realizzare una rivista di fumetti e vivere felici

In occasione dell’uscita del numero due di "Čapek, la rivista che piacek", intervistiamo Ivan Hurricane Manuppelli e Nicola Feninno.

In occasione dell’uscita dell’atteso numero 2, che potete già preordinare qui, pubblichiamo una serie di pillole dedicate a Čapek, la rivista che piacek: rivista aperiodica di fumetti, reportage, interviste, stranezze e vita campestre nata da un’associazione editoriale a delinquere tra cinque note realtà indipendenti, con storie diverse, che decidono di incontrarsi e fecondarsi: Strade Bianche, l’ultima reincarnazione della storica Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, la rivista underground Puck! fondata dal fumettista Hurricane, la rivista e casa editrice di reportage narrativo CTRL magazine, il collettivo maceratese Uomini Nudi Che Corrono e il festival di autoproduzioni AFA – Autoprodizioni Fichissime Andergraund.

Per conoscere meglio questo incredibile progetto editoriale, abbiamo intervistato due delle colonne portanti della redazione di Čapek: il fumettista Ivan Hurricane Manuppelli e Nicola Feninno, direttore di CTRL magazine.

Claudia Bagnoli e Marcello Baraghini
Claudia Bagnoli e Marcello Baraghini

Come vi siete conosciuti tu e Nicola?
Nicola:
Ci siamo conosciuti attraverso una post-adolescente e un anziano signore: Claudia Bagnoli e Marcello Baraghini, il fondatore della casa editrice Stampa Alternativa. Naturalmente la post-adolescente è Claudia, non Marcello. Claudia seguiva i corsi di fumetto di Ivan, mentre io avevo realizzato un reportage su Baraghini.
Ivan:
Esattamente. Claudia un giorno mi ha portato una copia di CTRL magazine – la rivista che dirige Nicola – con l’intervista a Baraghini. Stava svolgendo una ricerca su di lui e voleva metterci in contatto. A me interessava tantissimo l’idea, all’epoca stavo facendo tutta una serie di autoproduzioni, come Piccolo Manuale di Anatomia Spiccia e Anarcoinsurrezionalista, che si ispiravano proprio a Stampa Alternativa, erano una versione meno rivoluzionaria e più scalcinata dei manualetti che produceva lui negli anni ’70, come Contro la famiglia: Manuale di autodifesa e di lotta per i minorenni. Quando ancora non lo conoscevo di persona, volevo invitare Baraghini alla prima edizione del festival AFA – Autoproduzioni Fichissime Anderground per l’incontro su Stefano Tamburini. Ma lui stava a Pitigliano e, non sapendo che tipo di personaggio fosse, quando mi ha risposto di non potere non ho insistito.
N: Claudia ci ha messo in contatto e ci siamo incontrati: l’occasione è stata una presentazione alla libreria milanese Verso, in cui sul palco – che non è un palco, ma ci siamo capiti – con me c’era anche Baraghini. Lì ci siamo conosciuti tutti.
I: Non facciamo in tempo a conoscerlo, Baraghini, che già ci chiede di fare riunione di redazione!
La collaborazione tra me e Nicola è nata così. Io poi dovevo anche fare una cosa per CTRL che alla fine non si è fatta, collaboravamo entrambi con Linus nello stesso periodo… Io ho realizzato con Baraghini anche Come distruggere Ikea e salvare il tuo sabato!, ma già quando abbiamo fatto il secondo, Cragnologia scientifica della moderna editoria (insieme a Francesca Ghermandi) stavamo pensando a una rivista assieme.
N: Quando ancora non conoscevo né Marcello né la sua mitologia, non sapevo nulla delle Millelire, la collana di libri venduta al prezzo di 1000 lire per promuovere una lettura davvero popolare.
Un giorno alla redazione di CTRL era arrivato questo Millelire, portato da un redattore. Era Le Mille Lire Scritte: Marcello aveva trovato un casellante dell’autostrada che aveva raccolto tutte le mille lire con delle scritte sopra. Quando nel colophon scopro il nome di Marcello, faccio due googlate e capisco che in realtà lui era il papà adottivo di tutti noi. E io non lo conoscevo! Gli ho mandato subito un messaggio su Facebook dicendo che volevo conoscerlo, e magari fare un reportage su di lui. Marcello mi rispose di sì, che era a casa e potevo passarci il tempo che volevo, tanto in giardino aveva una yurta – io non sapevo manco che cazzo fosse una yurta, che è una tenda mongola.

La yurta mongola - sede della prima redazione
La yurta mongola – sede della prima redazione

Perché ha una yurta?Contro la Famiglia - Stampa Alternativa
N: Gliel’ha montata una sua amica. Lui si è appassionato al fatto che queste tende erano delle case mobili, e voleva costruirci una libreria…è una domanda difficile, perché Marcello abbia una yurta mongola.
I: Ma la cosa importante è che questa yurta è stata la sede della redazione di Čapek 1!
N: Comunque sono stato una settimana con lui, l’ho conosciuto, ho fatto il reportage, sono tornato più volte, e siamo diventati amici in senso “sbilanciato”: è difficile essere alla pari, Marcello è un centro gravitazionale talmente forte che porta tutto verso di lui. Ha fatto qualunque cosa, compreso un anno e mezzo di latitanza per reati di incitamento all’aborto e obiezione di coscienza nel 1976.
Nel manuale Contro la Famiglia aveva infatti inserito un numero telefonico con scritto “Cara minorenne, se vuoi abortire chiama questo numero di Londra: ci sono delle psicologhe con cui potrai dialogare”. Nulla di illegale, in Inghilterra era una specie di consultorio. Quando lo beccano, ed era già stato accusato di incitamento all’obiezione di coscienza, gli salta la possibilità della condizionale. Come campagna in suo favore e per difendere la libertà di stampa, la Federazione della Stampa aveva organizzato una conferenza a Roma in pompa magna dove Marcello si sarebbe consegnato alle autorità. Solo che lui il giorno stesso decide di non consegnarsi e si dà alla macchia, con la compagna di allora e il cane. Va in giro per l’Italia e scova questa casa contadina nello sterrato più puro, all’epoca disabitata, a Elmo di Sorano, vicino a Pitigliano in Maremma. E quindi la casa in cui siamo andati a fare Čapek 1, quella con la yurta, è proprio la casa in cui è arrivato da latitante.

la prima redazione di Capek al completo
La prima redazione di Čapek al completo

Quindi il ruolo di Baraghini è stato fondamentale.
N: Assolutamente, Marcello è il parafulmine di tutte le riviste indipendenti.
I: Noi abbiamo creato una rivista con la persona che ha permesso la nascita di “Cannibale” e di tantissime riviste indipendenti italiane, di fumetto e non solo.
N: Marcello è stato iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Ai tempi delle pubblicazioni del primissimo Partito Radicale serviva qualcuno che si iscrivesse all’Ordine oltre a Marco Pannella, che era amico di Baraghini: Pannella fece finta che Marcello avesse scritto il numero necessario di articoli per diventare giornalista. Da iscritto all’Ordine, Marcello poteva garantire la legalità di qualsiasi rivista dell’underground: bastava scrivere “Supplemento a Stampa Alternativa. Direttore: Marcello Baraghini”. Si è preso così un sacco di denunce, perché non sapeva manco lui di cosa cazzo fosse responsabile.
I: Quindi è partito tutto con un coinvolgimento simbolico, poi però Baraghini ci ha dato un aiuto effettivo e pratico: la cosa bella di lavorare con lui è che è super pragmatico, il contrario di come si immaginerebbe un ex fricchettone. Lui deve produrre, deve fare, è sempre in perenne guerra editoriale.
N: Lui è il più produttivo di tutti noi.

Da dove viene il nome della rivista, Čapek?

Il leggendario libro di Josef Capek - la prima ispirazione
Il leggendario libro di Josef Čapek – la prima ispirazione

I: In realtà avevamo pensato a vari nomi e io non sono bravo a dare i nomi. Una possibilità iniziale era “La Macchia”, solo che sembrava il nome di un giornalino per bambini. Mi ricordo che AkaB disse qualcosa come “Ho letto male, pensavo ‘La Macchina’ e già suonava meglio, ‘La Macchia’ è proprio un nome di merda”. Naturalmente il nome doveva piacere a tutti i coinvolti. Baraghini aveva proposto “Raptus”, ma poi l’abbiamo scartato. Alla fine stavamo tutti per votare “Yurta”, visto che ci eravamo trovati in una yurta. Sento i guru coinvolti nella rivista, e Vincenzo Sparagna dice “Ah un nome bellissimo, anch’io ho fatto una rivista che si chiama Yurta, magari potete scrivere che è una continuazione della mia”.
N: Alla fine Čapek è saltato fuori la sera in cui abbiamo chiuso il numero 1. Devi sapere che noi tutti abbiamo esperienze di fanzine e riviste, e quindi di riunioni di redazione. Eravamo insomma tutti abituati – almeno parlo per me – a fare riunioni di redazione sempre molto anarchiche. Ma immagina l’All Star Game di una riunione redazionale, tutti intorno a questo tavolo con il vino del contadino e il cibo portato da Marcello. Era proprio l’apoteosi.
I: Ci aveva dato la yurta per dormire come nostra redazione notturna (nel primo numero trovi anche un disegno della tenda). Di giorno invece eravamo nella libreria di Baraghini, in centro a Pitigliano, che è anche il cuore della sua casa editrice Strade Bianche.
Una sera troviamo a casa di Marcello questo libro di stampe bellissime, e iniziamo a sfogliarlo. L’aveva trovato a un mercatino di Porta Portese a Roma, pagandolo pochissimo: era un libro di grafiche di questo Josef Čapek, fratello dello scrittore Karel Čapek – morti malissimo tutti e due. Due artisti straordinari: Karel era super ironico, ha scritto La guerra delle salamandre, uno dei miei libri preferiti, e ha inventato la parola “robot”.Il fratello era non solo scrittore ma anche pittore e grafico e Baraghini ci confidò di aver rubato tutte le grafiche di Josef Čapek per le copertine dei suoi Millelire. Quel libro aveva un valore simbolico altissimo, era proprio amore e furto: Marcello aveva fatto questa mossa artistica di mettere al servizio dell’editoria indipendente italiana una roba che non c’entrava niente, la grafica russa degli anni Venti.
N: Lui è talmente sfacciato che nelle sue prime Millelire si firmava Čapek. Ma in realtà era Marcello che aveva adattato le grafiche di Josef Čapek. È stato anche un outing vero di Marcello, perché non l’aveva mai detto prima.
I: Curiosamente, in quei giorni mi stavo studiando i disegni del nostro amico e complice Maurizio Ercole, un disegnatore super visionario anche lui coinvolto nel numero. Ercole aveva fatto una serie di illustrazioni a tema onirico (“La Materia dei Sogni”) dove comparivano degli strani anfibi umanoidi che mi avevano colpito. E così prima di partire per Pitigliano faccio un sogno molto inquietante, dove mi ritrovavo in questa specie di acquario enorme circondato da strani anfibi mutanti che si avvicinavano minacciosi fino a quando non mi sveglio di soprassalto. Questo sogno mi aveva ricordato una scena iniziale de La guerra delle salamandre di Karel Čapek, che però avevo letto tanti anni fa. È stata proprio un’incredibile coincidenza.

La guerra delle Salamandre di Karel Capek - che ha ispirato la copertina del numero 1
La guerra delle Salamandre di Karel Capek – che ha ispirato la copertina del numero 1

E come si pronuncia Čapek?
I: Il primo numero lo chiamavo Čapek con la c dura, ora Čapek con la c morbida. Mi piaceva di più la pronuncia con la c dura…
N: A me piace che ci sia la k dura in fondo e la c morbida all’inizio. Una caramella morbidissima fuori, e poi addenti ed è durissima.

Ivan, nella tua carriera le riviste sono sempre state presenti. Quando non ti sei occupato di autogestirle direttamente, sei stato pubblicato su realtà come Linus dove uno degli elementi predominanti è la periodicità. Cosa pensi renda così importante la formula della rivista?
I: Io ho vissuto il mondo delle riviste sia come collaboratore di riviste dirette da altri, sia dirigendole io stesso. Anzi, ho proprio iniziato facendole. Da collaboratore esterno hai la possibilità di crescere – se la rivista ha una periodicità – senza l’ansia di dover produrre un intero libro a fumetti che richiede una prestazione incredibile: puoi venire serializzato e puoi testare poco per volta le tue capacità. E puoi farlo in relazione con il pubblico e con gli altri autori con cui stai lavorando.

Capek #1
La copertina di Čapek 1

Trovi sia questo rapporto con il pubblico a rendere uniche le riviste?
I: Il rapporto con il pubblico è fondamentale, perché tu inizi a buttare dei germi e a vedere se qualcuno ne subisce le conseguenze.
Ma è fondamentale anche essere in relazione con altri autori. Le prime grosse riviste che mi hanno pubblicato sono anche due dei miei grandi amori, Frigidaire e Il Male di Vincino. È stato bellissimo, mi trovavo a stretto contatto con autori su cui mi sono formato: per esempio ne Il Male ero all’interno di un contenitore dove trovavi una vignetta di Willem, una di Vincino; c’era Tanino Liberatore, e poi la pagina dopo c’ero io. E questo essere in relazione con autori molto più grandi di te ti responsabilizza, non sei più al livello del gioco con gli amici, sei in una dimensione più adulta. E poi la serialità. Io ho lavorato a Frigidaire dal 2008 quando era mensile, quindi una serialità importante che mi ha permesso di crescere. Il Male di Vincino invece era settimanale, ma pagava bene, e questa cosa – io avevo 24, 25 anni – mi ha praticamente sconvolto: potevo pagarmi l’affitto con i miei cazzo di disegnini! Però se una settimana non avevo idee non venivo pagato, quindi dovevo assolutamente trovare un’idea ogni settimana. Queste due riviste sono state la più bella palestra che potessi avere. E avevo come direttori dei personaggi assurdi, dei luminari come prima Sparagna e poi Vincino: persone che hanno vissuto delle esperienze che ti sarebbe piaciuto vivere, con cui senti una sintonia umana oltre che artistica.
Come autore, mi interessano le riviste con questo spirito di complicità. Che poi è quello che cerco dai miei soci quando invece si tratta di crearle e dirigerle. Mi piace pensarle come delle grandi spedizioni, come gli Argonauti… la parte più divertente è reclutare i migliori compagni di avventure per affrontare la missione impossibile: chi saprà scalare le rocce di Marte? Chi catturerà i pericolosi Uomini Talpa? Ognuno aggiunge qualcosa e si crea un disegno generale, imprevedibile, una specie di Frankenstein con una vita propria.
È facile farsi prendere dal proprio ego autoriale, dalle proprie seghe autoriali: ma di autori come Andrea Pazienza, per esempio, se togli la produzione per le riviste, cosa rimane? Tutti i suoi capolavori li ha fatti per testate periodiche. Quando sei dentro un contesto vivo e pulsante ti fai le ossa. Non sempre un editore esterno al tuo gioco ha la stessa pazienza e interesse nel seguirti.
N: La rivista è un’altra via rispetto alla comunicazione diretta, autoriale; è diverso da chi pubblica direttamente sui social i suoi lavori. È anche diverso dal lavoro su commissione, dove ti vengono date direttive precise con un obiettivo, ma dove non ci metti del tuo. Secondo me la rivista è quella via di mezzo in cui le tue idee, il tuo ego, tutto il resto si vanno a sciogliere, a mischiarsi con le idee e l’ego degli altri: è molto interessante e fondamentale, cambia tutto a livello di lavoro di redazione.
I: E poi le riviste sono racconti di vita. Cioè, se io dovessi morire domani, ad esempio, per ricostruire la mia vita ti basterebbe mettere in fila tutte le riviste che ho avuto la fortuna di fare. Perché nelle riviste ci sono gli amici che frequenti in quel momento, con tutte le idee che girano nell’aria, e non è che per forza ci debbano collaborare solo autori di professione: possono esserci collaborazioni più naïf, personaggi di strada, compagni di sbronze, fidanzate… in alcune autoproduzioni ho invitato anche mia madre! Per me la rivista dev’essere questo, deve essere vita. E io ho trovato questo tipo di anarchia anche in CTRL.
N: È un buon momento per le riviste. Perché il mercato delle riviste classiche – quelle dei grandi gruppi – è al tracollo. È il momento migliore: perché puoi osare. Permetterti di distaccarti dal modello classico…perché, appunto, non funziona più. Sperimentare, e non pensare al lettore come a un target: ma come a un complice, qualcuno che ha voglia di essere sorpreso.

Anteprima da Capek 2 scuro- di Dast e Daniela Perissinotto
Anteprima da Capek 2 scuro- di Dast e Daniela Perissinotto

Ma voi cosa volete che diventi Čapek?
N: Čapek, per ora, è quasi uno sfogatoio, un laboratorio, un’officina di gente che fa già riviste e non ha più l’ingenuità (l’ingenuità egoica) dei sedici anni. E che dice ok: sperimentiamo.
Oh, se poi qualcuno vuole darci dei soldi, li prendiamo, sapremmo cosa farne…
I: Vorremmo anche un’evoluzione del progetto, il primo numero è stato caotico sia volutamente sia per le circostanze: l’intento era di chiuderlo nei tre giorni in cui eravamo a casa di Marcello, una specie di “rivista lampo”. Ovviamente alla fine altro che tre giorni, ci abbiamo messo un fottuto mese e mezzo per dare un senso a tutto! Il nostro obiettivo era aprire le porte dell’inferno e invitare più mondi possibili.
Il secondo numero, ora in uscita, ha invece tutto un suo ordine, una sua precisione, meno contenuti ma più approfonditi. Il terzo sarebbe bello se fosse ancora diverso. Ci vuole un’evoluzione, nelle cose.
N: Il primo era una crisi epilettica… anche Dostoevskij era epilettico. Il secondo numero dovrebbe essere un post epilessia, facendo tesoro di quell’esperienza pazza ma avendo tempi più umani di produzione. Anche questo è il bello di non avere degli obiettivi di mercato. Se è un business che non funziona e che magari non funzionerà mai, allora divertiamoci.
I: La cosa più difficile e affascinante di Čapek è che continua a cambiare in corso d’opera: non sai mai cosa aspettarti da ogni pezzo, ma in qualche modo tutti i pezzi sono collegati. La sua forza è proprio questa unione tra differenti percorsi, per esempio il mio e quello di Tommy Gun Moretti sono abbastanza simili perché vengono dal fumetto e dall’autoproduzione, Francesca Kanzi viene dalla grafica e dall’attivismo, Nicola è nel mondo del giornalismo, e Baraghini è il nostro Che Guevara, l’elemento simbolico che aleggia portando un alone di illegalità e personaggi scomodi che a noi mancavano: come lo psichiatra Enrico Baraldi, che si finge mentalista, o l’ex ergastolano Carmelo Musumeci. Per me, fare una rivista è unire dei percorsi lontani.
Ma poi pensa a quanto è curioso il mondo adesso, quante cose che sembrano uscite da un film di fantascienza distopico sono diventate realtà e quanto materiale ci sarebbe da raccontare. Nel prossimo numero c’è un servizio del nostro amico chimico, Simone Barbonetti, che è andato in Argentina a intervistare Aquilles Ramon Coppin, uno scultore argentino rappresentante del culto di San La Muerte, con un reportage che non stonerebbe su Internazionale o L’Espresso.

Capek 2 e Capek 2 bis
Čapek 2 e Čapek 2 bis

Come è strutturato questo secondo numero di Čapek?
I: È diviso in due: il numero chiaro e il numero scuro, con contenuti diversi. Francesca Ghermandi ha illustrato la doppia copertina del numero chiaro, mentre per il numero scuro c’è il disegnatore e incisore americano Bruno Nadalin, un maestro del macabro. Saranno numeri diversi per atmosfere, contenuti, linea editoriale e cast.
N: Il tema del “2” è sviscerato in varie declinazioni: dal sosia al clone, dalla doppia vita all’amore contro la morte, dai robot alle doppie identità, dai gemelli siamesi agli amici immaginari, fino alla storia vera di un tizio che è nato con due teste.

Le Sorelle Gibbons - illustrazione di Laura Giardino
Le Sorelle Gibbons – illustrazione di Laura Giardino

Qualche contenuto particolare?
I: Una delle cose più belle di Čapek è che può contare su collaboratori improbabili e inaspettati. Per esempio, noi volevamo pubblicare un estratto delle sorelle June e Jennifer Gibbons: note come “The Silent Twins”, avevano un rapporto di simbiosi psicologica e parlavano una lingua che capivano solo loro. June scriveva romanzi inquietanti, introvabili: cercando scopriamo che del suo romanzo Pepsi-Cola Addict ne esistono solo 5 copie, di cui una nella biblioteca di Oxford. Un nostro inviato speciale è andato laggiù di nascosto e ha fotografato con il cellulare le prime 20 pagine, dandoci così la possibilità di pubblicare la prima traduzione italiana in assoluto di questi racconti!
Tra le nuove realtà delle autoproduzioni invece segnalo i Ciang Official (Francesca Colombara e Matteo Dang), due giovanissimi di Bologna, insieme ai Doner Club tra i collettivi che più mi hanno attirato delle nuove realtà autoprodotte. E poi l’illustratrice Samantha Woods e Simone Chiolerio.

Anteprima da Capek 2 chiaro - di Adriano Carnevali
Anteprima da Capek 2 chiaro – di Adriano Carnevali

In questo numero 2 puntate molto all’interazione con i lettori, con la costruzione di varie rubriche.
I: In effetti di rubriche ce ne sono diverse, ci piace catturare esperienze e racconti che altrimenti non potremmo avere. La posta onirica è tenuta da Aleksandar Zograf, lo “Psiconauta” del fumetto, che ha chiesto ai lettori di raccontargli i loro sogni e incubi. Poi abbiamo fatto un esperimento sulle frustrazioni, con “La Rubrica dell’Eterno Secondo” disegnata da Bruno Bozzetto e affidata a un frustrato per eccellenza: Minivip. C’è anche un articolo post mortem del nostro economista di fiducia, Lo Svizzero, ex rapinatore di banche e genio del crimine, che qui ci spiega come barare alle corse dei cavalli.
N: Poi c’è la rubrica della tanatoesteta, una professionista che si occupa di truccare i morti prima di metterli nella bara. Lei, TanatoLady, è anche instagrammer e youtuber. Qui abbiamo chiesto ai lettori di affrontare l’ultimo tabù, attraverso curiosità riguardo ai loro corpi da morti.

Anteprima da Capek 2 chiaro - di Ciang
Anteprima da Čapek 2 chiaro – illustrazione di Ciang

Come è nato il coinvolgimento di realtà così diverse, tra cui anche il festival AFA – Autoproduzioni Fichissime Anderground?
I: AFA è stato coinvolto perché nella redazione ci sono anche Giacomo Rasta Bello, Jazz Manciola e Vash, gli altri tre organizzatori di AFA insieme a me, tutti e tre con il pallino della rivista. Siamo complici e fratelli, abbiamo condiviso di tutto, impossibile non averli anche qui.
In realtà il primo, super caotico numero di Čapek è nato da tante persone tutte ossessionate dal concetto di rivista, tutti direttori e fondatori di progetti editoriali clandestini e terroristi. Io venivo da Puck! e The Artist, Baraghini da Stampa Alternativa, Nicola da CTRL magazine e quindi dal reportage narrativo; Tommy, Jazz e gli Uomini Nudi che corrono dal festival Ratatà e produzioni come Quel piccolissimo Giganteschio. E a questo nucleo, che ha compreso anche pezzi di AFA e della rivista satirica L’Antitempo (Rasta e Davide Caviglia, su tutti), si sono aggiunti Claudio Cipriani e Gigi Re del Centro Studi Canaja di Rho, una realtà che si occupa di sottobosco urbano e ha fatto delle produzioni molto interessanti; i ragazzi bolognesi del collettivo Doner Club; Ivan Carozzi che è stato caporedattore di Linus; Oral Giacomini di Snuff Comix; la redazione della rivista satirica veronese L’ombroso; Marco Tonus da Mataran, Michele Mordente di Muscoli Magazine; il mail artist e agitatore culturale Vittore Baroni; Max Capa e Matteo Guarnaccia (i rispettivi direttori dei fogli controculturali anni ‘70 Puzz e “Insekten Sekte”); Elena Rapa che è la madrina di milioni di autoproduzioni; AkaB che ha fondato Nixon e lo Shock Studio; Vincenzo Sparagna di Frigidaire e Federico Zenoni che da solo è la mitica Casa Editrice Libera e Senza Impegni. A tutti loro si sono aggiunti personaggi esotici e inaspettati come la Dottoressa Fiumara e Jose Altafini, l’ex calciatore, che grazie al nostro comune amico e collaboratore Fabio Tonetto ha disegnato per noi il suo primo e unico fumetto.

Anteprima da Capek 2 scuro- di Hunt Emerson
Anteprima da Čapek 2 scuro- illustrazione di Hunt Emerson

A proposito Ivan, da sempre mi affascina la tua capacità di coinvolgere personaggi enormi del mondo del fumetto, della cultura pop e underground, a livello nazionale e internazionale. Qual è il tuo segreto? Come fai a farti dire sempre di sì? Hai un taccuino nero con tutte le peggiori nefandezze commesse dal jet set dell’undeground?
I: Ho un libro delle anime. Un libretto con segnati tutti i nomi e i peccati di ognuno, anche i tuoi.
In realtà è tutto molto spontaneo. Non credo di avere nessun tocco magico, semplicemente alcune energie sono nell’aria e c’è chi ha voglia di recepirle e chi no.
Tra autori si costruisce una rete, che è la vera forza dell’autoproduzione, e quindi viene facile capirsi e scambiarsi le collaborazioni.

Ma questo numero di Capek è stato concepito prima o dopo la pandemia?
I: È stato concepito in un mondo parallelo in cui la pandemia non è ancora arrivata.
N: È stato concepito in un mondo parallelo in cui la pandemia è già stata superata.

Una anteprima da Capek 2 - numero scuro - illustrazione di Stephen Blickenstaff
Una anteprima da Čapek 2 – numero scuro – illustrazione di Stephen Blickenstaff

Parliamo della parte meno divertente di qualunque avventura editoriale: il lato economico. Čapek si sta sostenendo?
N: Per il momento per realizzare Čapek ci mettiamo i soldi delle nostre realtà. Abbiamo 5 casse per 5 realtà, come i pirati: CTRL magazine, AFA – Autoproduzioni Fichissime Anderground, Puck!, Uomini Nudi che Corrono e Le Strade Bianche di Stampa Alternativa. Ognuno mette i sacchetti con le sue monete d’oro, stampiamo e poi se la cosa va bene abbiamo il bottino che si moltiplica e facciamo i numeri successivi.
I: Questa volta, poi, abbiamo deciso di far partire un pre-order. Un pre-order estivo, così potete ordinarvi in anticipo una copia della rivista (che poi sono due riviste in una) e portarvela in vacanza! Basta seguire questo link.

Quanto costa?
I: 10 euro, due riviste al posto di una…che poi comunque è due, ma anche una.
N: E, ai primi 10 che chiameranno il numero in sovrimpressione, arriverà a casa un set di pentole in acciaio inox.

Una anteprima da Capek 2 - numero chiaro - illustrazione di Lord Hurk
Una anteprima da Čapek 2 – numero chiaro – illustrazione di Lord Hurk
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